Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Donne diversamente note (o meno) del secolo Ventesimo… per ricordare a me e a chi legge che non vi sono solo uomini (maschi) importanti

Donne famosissime o famose…, o per nulla, come le nostre mamme, nonne, sorelle, spose, zie, amanti… Alcune brevi biografie senza alcun ordine cronologico, né mie preferenze personali particolari, anzi. Figurati, caro lettore, che cosa mi può interessare di Farah Diba, oltre ad ammettere che era una bella donna, per me più di Soraya Esfandiari, la principessa triste.

Edith Stein. Inizio il mio racconto con questa delicata filosofa tedesca, ebrea e infine cattolica, allieva di Husserl, uccisa dai nazisti nel 1944. Suor Teresa Benedetta della Croce è stata fatta co-patrona d’Europa con Santa Caterina da Siena e San Benedetto da Norcia da papa Wojtyla. Il suo lavoro va intestato al suo essere donna-filosofa, ma non perciò (qualche pregiudizievole potrebbe pensarlo) meno profonda del filosofo-uomo.

Al fine di comprendere il sensus vitae, per Stein occorre l’apertura empatica all’altro, poiché non basta la riflessione logica, né l’argomentazione dialettica. Solo l’intuizione empatica, e qui si manifesta l’influenza del maestro Husserl, permette all’uomo – attraverso un più profondo atto di empatia – di comprendere qualcosa che prima era sfuggito a causa dei preconcetti e dei pregiudizi. Stein divide il processo empatico in tre fasi: l’emersione del vissuto: lettura di un’espressione emotiva sul volto di qualcuno (riprendendo la tesi di Max Scheler sulla percezione diretta dell’espressività altrui; l’esplicitazione riempiente: l’oggetto del vissuto è lo stato d’animo dell’altro con il quale ci si immedesima, accogliendolo quindi dentro di sé; l’oggettivazione comprensiva del vissuto esplicitato: l’attenzione è rivolta allo stato d’animo dell’altro, colto come vissuto altrui tramite una distanza arricchita dalla consapevolezza dello stato precedente. Perché ci sia davvero uno stato empatico devo “far posto”, ritrarmi (cf. Zanella in L’uomo e l’altro di R. Pilutti, 2009): dopo essersi immedesimati è necessario compiere un passo indietro e guardare quello stato d’animo come un oggetto.

Docente a Friburgo, Edith si iscrive al Partito Democratico tedesco, con il quale si batte per ottenere il diritto di voto alle donne. Lentamente si avvicina al cattolicesimo guardando i comportamenti di donne cattoliche, che con semplicità si mostravano presenti nella fede. Legge l’autobiografia di Teresa d’Avila e decide (Kierkegaard direbbe) il “salto nella fede”.

Battezzata il 1º gennaio 1922 a Bad Bergzabern, va ad insegnare pedagogia e filosofia presso due scuole domenicane domenicane per ragazze a Speyer tra il 1923 e il 1931. Studia Tommaso d’Aquino del quale traduce in tedesco le Quaestiones disputatae de veritate. Studia, insegna e prega, vivendo quasi in comunità con le sue studentesse. Si fa suora carmelitana con il nome di Teresa Benedetta della Croce.

Insegna a Muenster, prima che le leggi razziali del 1933 la obblighino a dimettersi.

Simon (Adolphine) Weil, o, si potrebbe dire, della ricerca di Dio nell’uomo e nel suo destino. Filosofa ebrea francese, vissuta meno di trentacinque anni. La sua fama è legata, oltre che alla vasta produzione saggistico-letteraria, alle drammatiche vicende esistenziali che ella attraversò, dalla scelta di lasciare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia, fino all’impegno come attivista partigiana, nonostante i persistenti problemi di salute. Weil si colloca, più che sul versante marxista classico, su una sorta di socialismo anarchico, che a un certo punto si arricchisce di venature cristiane, ma distante dagli aspetti istituzionali e gerarchici.

Weil vive una dimensione politica che è tutt’uno con la dimensione religiosa e morale. Qualcuno ha anche accostato la sua figura a quella di una sorta di “santa laica”, capace di unire l’attività pubblica a quella intellettuale nel campo della ricerca filosofica e della creazione poetica.

Eleanor (Bulloch) Roosevelt, moglie del Presidente USA Franklin Delano. First lady, come si dice in questi casi, la “Prima signora d’America”. Il marito Franklin Delano fu l’unico dei Presidenti USA ad essere eletto più delle due volte previste dalla Costituzione americana, perché, al momento della cessazione del secondo mandato, gli USA entrarono in guerra contro l’Asse nazi-fascista-militarista, dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbour e gli Americani vollero che l’amato e capace Presidente rimanesse al suo posto.

Eleanor sostenne il marito presidente dal 1933 al 1945, quando lui morì, dopo avere pregustato la sconfitta di Hitler e Mussolini (mentre sarebbe stato il suo successore Truman a porre fine alla guerra contro il Giappone con la scelta atomica di Hiroshima e Nagasaki). Per tutta la sua vita questa donna s’impegnò attivamente nella tutela dei diritti civili, quasi come una “militante femminista”.

Il suo ruolo fu importante nel processo di creazione delle Nazioni Unite, ove presiedette la commissione che delineò e approvò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. Il presidente Harry Truman, con una buona dose di retorica che probabilmente a lei non piacque, la definì The First Lady of the World. Lady Eleanor fece molto anche per i diritti delle comunità afroamericane, favorendo obiettivamente l’ottenimento di molti suffragi elettorali per il marito in quegli ambiti popolari e sociali.

Solo sotto il Presidente Lyndon B. Johnson (fatto dimenticato da molti) fu emanata negli USA negli anni ’60 una normativa veramente paritaria per superare ogni residuo razzismo in America, che però ancora abbisogna – per essere veramente debellato – di notevoli progressi culturali.

Grace Brendan Kelly (principessa di Monaco). Bella, classica, algida. Attrice hitchcockiana sposa un aristocratico discendente di pirati genovesi, i Grimaldi. Centro del jet set per decenni, alla sua morte anche tutto questo finisce, in mano a un Ranieri intristito e a figlie inquiete. Il figlio maschio siede sul trono ridicolo del principato. Utilizzo sempre questa figura per esemplificare una leadership di status priva di qualsiasi carisma: solitamente chiedo ai miei studenti di antropologia filosofica e sociologia: se questo Alberto fosse nato in una famiglia qualsiasi della Bassa friulana o parmense, che cosa avrebbe fatto nella vita? Dimanda rettorica! Grace, al contrario, aveva anche talenti suoi.

Agnes Heller. Filosofa ungherese, marxista eretica rispetto alla vulgata cominfomista e stalinista. Viene considerata la massima esponente della «Scuola di Budapest», corrente filosofica del marxismo, parte del cosiddetto “dissenso dei paesi dell’est europeo” (diverso comunque dal dissenso radicale e nazionalistico di un Alexander Solzhenitsyn), prima del crollo definitivo dei regimi dell’est europeo. Nota in occidente come la teorica dei “bisogni radicali” (intesi come il vero terreno di scontro tra soggettività e potere) e della rivoluzione della vita quotidiana, il suo pensiero è stato molto discusso soprattutto in occidente negli anni ’70 e ’80 e in Italia, assieme con György Lukács e Karl Korsch, in particolare con riferimento ai movimenti degli anni ’70.

Le tematiche privilegiate della ricerca della Heller sono sempre state l’etica, la sessualità e la famiglia, nel quadro di un progetto rivoluzionario anticapitalista che muove dalla volontà di superare i rapporti di subordinazione e di dominio.

Hannah Arendt, filosofa tedesca, allieva di Heidegger. E’ stata anche politologa e storica naturalizzata americana, dopo il ritiro della cittadinanza tedesca nel 1937 in quanto ebrea. Apolide fino al 1951 prima di ricevere la cittadinanza americana.

Fu docente universitaria e pubblicò opere importanti di filosofia politica. Rifiutò sempre di essere categorizzata come filosofa, preferendo che la sua opera fosse descritta come teoria politica invece che come teoria politica. Famosa soprattutto per il saggio La banalità del male, che scrisse quasi come un reportage del processo Eichmann, cui assistette in Israele nel 1961. Personalmente non condivido la tesi che in qualche caso il male possa essere definito banale, perché se è tale, non si può considerare in modo adeguato la responsabilità morale dell’autore di atti mali. Proprio come nel caso di Eichmann, che non fu solo un mero esecutore degli ordini di Hitler-Himmler-Heidrich, ma fu un dirigente delle SS che organizzò la Shoah con la massima cura tecnica e un grande empito ideologico. Altro che banalità!

Tina (Assunta Adelaide Luigia Saltarini) Modotti, sorella furlana. Nasce a Udine verso la fine dell’800 e muore a Città del Messico nel 1942. Famiglia artigiana socialista (come me), giovanissima raggiunge il padre emigrato a San Francisco. Aveva imparato la fotografia dallo zio a Udine in via Pracchiuso. Da lì inizia una vita avventurosa e ricchissima di incontri. Lei si è sempre definita una “fotografa”, non mai attrice (anche se lavorò ventenne nel cinema muto a Hollywood), e nemmeno artista, “nomi” che non la rappresentavano. Weston fu il suo grande maestro americano, mentre Diego Rivera e Frida Kahlo i suoi amici del Messico. La vita la portò al comunismo e ad incontri diversi, con persone che comunque non la condizionarono, perché lei a Mosca non accettò di fare la fotografa ufficiale secondo le linee cultural-staliniste di Massimo Gorkij, e venne via.

Fu in Spagna nelle Brigate antifranchiste e tornò a Mexico con Vittorio Vidali, suo “amico”, ma fino a un certo punto. Qualcuno la ha perfino associata al complotto (di cui fece parte Ramon Mercader, fratello di Maria, prima moglie di Vittorio De Sica) per ammazzare Leone Trotskij nel 1940. Una vergogna. Tina Modotti è una mia sorella furlana.

Diana Spencer, fu principessa del Galles e morì giovane correndo su una Mercedes nottetempo a Paris, assieme al suo amante Dodi Al Fayed, che amava, probabilmente più di quanto abbia amato Charles di Windsor. La sua figura è mito e simbolo di tempi di furente comunicazione mediatica. Passata per di lì, per la vita sorridendo, un po’ triste.

Jacqueline Lee Kennedy Onassis, detta Jackie (Jackie O), nata Bouvier. Dell’alta borghesia franco-americana, soggetto di tragedia e di jet set. Il punto moralmente più alto quando gli hanno ucciso il marito, il Presidente degli Stati Uiti John Fitzgerald Kennedy a Dallas, il 22 novembre 1963, in Texas. Da vedova sposò l’armatore greco Aristotele (ahi ahi che destinazione triste questo nome!) Onassis. Una donna della categoria di Diana o di quelle che, se non collocate dove sono state collocate nella vita, sarebbero state, probabilmente, meritevoli dell’anonimato più assoluto. Bella? Sì, ma come tante e meno di tante.

Ella (Jane) Fitzgerald. Una delle più grandi cantanti blues-jazz del XX secolo (accanto a lei porrei Aretha Franklin). Vincitrice di 14 Grammy Awards, era dotata di un potente strumento vocale, vantando un’estensione di più di tre ottave, Ella Fitzgerald è stata attiva per 59 anni vendendo circa 40 milioni di copie della sua settantina di album.

Esibiva spesso la sua grande capacità di improvvisazione soprattutto nello scat, una tecnica vocale tipica del jazz di cui è considerata la maggiore esponente di tutti i tempi: i suoi virtuosismi potevano durare oltre i cinque minuti, pur mantenendo una perfetta impronta melodica.

Nilde Iotti. Politica comunista di cultura cattolica e marxista, compagna di Palmiro Togliatti, è stata la prima donna a ricoprire la terza più alta carica dello Stato come Presidente della Camera dei Deputati, ma il primato per cui è conosciuta ancora oggi è quello di essere stata deputata ininterrottamente dalla prima alla tredicesima legislatura. Cresce tra Reggio Emilia e Cavriago dove è costretta a rifugiarsi durante la guerra. Il padre viene allontanato dal lavoro per il suo impegno nel sindacato e dopo la sua morte Nilde riceve una borsa di studio che le permette di iscriversi all’Università Cattolica di Milano, ricordando le parole di suo padre “meglio preta che fascista”. Si laurea in Lettere nell’ottobre 1942 e inizia a insegnare in un istituto tecnico reggiano.

Nell’Italia del nord c’è la Resistenza e molte bande partigiane lottano contro i nazifascisti. Nilde Iotti viene in contatto con la parte comunista e nel 1943 inizia a collaborare con loro, diventa staffetta partigiana e porta volantini, viveri, medicine e calze di lana con la sua bicicletta. Partecipa attivamente alla lotta di Liberazione attraverso i Gruppi di difesa della donna e nel 1945 l’UDI (Unione Donne Italiane) le affida l’incarico di indagare sulle condizioni delle famiglie più bisognose. Quello sarà l’inizio della sua lunga attività politica. Il 31 marzo 1946 viene eletta nel consiglio comunale di Reggio Emilia e a ventisei anni nel giugno 1946 entra nel palazzo di Montecitorio insieme ad altre ventuno deputate, prime donne elette nel nuovo Parlamento italiano. Ottiene 15.936 voti nella XIV circoscrizione di Parma, Modena, Piacenza e Reggio Emilia.

Gli anni di lavoro all’Assemblea Costituente sono per lei una grande scuola politica, la prova della sua passione e anche la nascita di un grande amore, quello per il leader del PCI Palmiro Togliatti, sposato con la comunista Rita Montagnana e dalla quale ebbe un figlio di nome Aldo. La loro relazione le procura molte inimicizie e difficoltà a causa della rigida morale comunista e della diffidenza di molti compagni. Il 20 luglio il suo nome insieme a quelli di Angela Gotelli, Maria Federici, Teresa Noce e Lina Merlin viene scelto dalla Commissione dei settantacinque per redigere la Carta costituzionale. La sua relazione sulla famiglia resta attuale ancora oggi e ha contribuito a scrivere gli articoli 29-30-31 della nostra Costituzione. Le lettere d’amore che Nilde e Palmiro si scambiano in quei mesi (dal 5 agosto 1946 al 26 agosto 1947) raccontano di due innamorati che soffrono la lontananza e si dedicano frasi bellissime.

Palmiro: “Quanto ho fatto verso di te e con te non è mai stata un’intenzione frivola […] Ho seguito un impulso più forte della mia volontà […]Mi pare che possiamo e dobbiamo solo andare avanti, come in certi passi difficili di montagna. Questa è la lettera più seria che ti ho scritto, cara, stracciala, bruciala, rendimela. Ma voglimi bene!”

Nilde: “Oggi ho avuto una discussione col segretario della nostra federazione. È stato quasi un processo e sono venuta via così profondamente umiliata […] Eppure oggi mi sento animata da uno spirito di ribellione. Mi sento di lottare con le unghie e con i denti per difendere un sentimento che è mio e solo mio.”

Gli anni Cinquanta e Sessanta sono difficili, si sente esclusa e messa ai margini nel partito, ma Nilde non si rassegna, continua a lavorare dentro e fuori dal Parlamento e propone una pensione per le casalinghe mai approvata. Alla fine di questo triste momento della sua vita politica, Nilde Iotti viene rieletta deputata con incarichi importanti nel Comitato Centrale, nella segreteria nazionale dell’UDI e nel comitato federale di Reggio. Con la morte di Togliatti a Yalta nel 1964 la vita di Nilde Iotti è destinata a mutare in peggio per la sua vita personale e in meglio per quella lavorativa. Sono gli anni del movimento femminista, della contestazione studentesca e dei mutamenti sociali, si fa fautrice di molte battaglie come la legge sul divorzio (1970), la riforma del nuovo diritto di famiglia (1975) che promuove la parità giuridica e morale dei coniugi e l’equiparazione tra figli legittimi e illegittimi e infine l’interruzione volontaria di gravidanza (1978).

Il 20 giugno 1979 viene incoronata “regina” di Montecitorio al 1° scrutinio con 433 voti e inizia il mandato ancora oggi rimasto imbattuto di Presidente della Camera per tredici anni rieletta poi nel 1983 e 1987. Sono gli anni di piombo, costellati da violenza, paura e terrorismo nei quali lei mette al centro il ruolo pluralistico del Parlamento e difende le istituzioni democratiche. Iotti è stata un Presidente (al maschile come voleva lei) super partes, attenta alle minoranze e a garantire la massima rappresentanza a tutte le parti, elegante nell’abbigliamento e severa nell’aspetto, Nilde Iotti è stata la prima comunista a ricevere un mandato esplorativo e ha rinunciato alla nomina di senatrice a vita propostale dal Presidente della Repubblica Cossiga. Amica con la democristiana Tina Anselmi negli anni Ottanta le affida l’incarico di presiedere la commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2 e si impegna sul fronte delle riforme istituzionali e della riforma del Regolamento della Camera contro il voto segreto e contingentando i tempi per ridurre l’ostruzionismo dei radicali in aula.

Convinta europeista (fu deputata del Parlamento europeo dal 1969 al 1979), Nilde Iotti è stata una donna forte, coraggiosa e tenace che ha fatto delle scelte a volte anche in controtendenza con il suo stesso partito. Nel 1992 per lei si apre la corsa al Quirinale, ma i tempi non erano forse ancora maturi e al nono scrutinio il PDS abbandona la sua candidatura.

Il 18 novembre 1999 con una lettera indirizzata al presidente della Camera Luciano Violante, Nilde Iotti lascia il suo banco di deputata per motivi di salute dopo aver dedicato cinquantatré anni alla politica. Il suo insegnamento più grande è quello di essere stata sempre se stessa, di non aver dovuto scegliere rinunciando per forza a qualcosa e lo dimostra tutta la sua carriera. In una delle ultime interviste televisive rilasciate a Enzo Biagi che le chiedeva che cosa si augurasse per il futuro lei rispondeva:

Io credo che sarebbe un fatto estremamente importante se il giorno che avessimo portato il nostro Paese fuori dal guado potessimo dire che, dall’inizio alla fine della nostra battaglia, comunque ci siamo chiamati e qualunque forma abbiamo dato alla nostra attività politica, noi abbiamo servito per difendere i lavoratori, per garantire la libertà delle persone e la democrazia del nostro paese.”

Ho dedicato tutto questo spazio all’onorevole Iotti, a differenza di quanto ho fatto per altre, per significare la mia stima personale e politica per questa donna, il cui valore mi sembra abbia meritato questo spazio e questa mia attenzione.

Marie José del Belgio (nome completo in francese Marie-José Charlotte Sophie Amélie Henriette Gabrielle, è stata l’ultima regina consorte d’Italia nel 1946, come moglie di Umberto II, prima della proclamazione della Repubblica. Si tratta della sovrana consorte con il più breve regno nella storia dell’Italia unita. Il suo nome italianizzato era Maria Giuseppina di Savoia benché lei stessa non l’abbia mai voluto adottare neppure su documenti ufficiali quali, per esempio, l’atto di matrimonio. L’unica regina italiana la cui effigie sia apparsa su una serie di francobolli regolarmente emessi.

Il mio gentil lettore può già notare che sto dedicando alcune righe a questa donna più numerose di quelle che sto dedicando a famose abbastanza inutili, perché Maria José seppe distinguersi nel suo ambiente, manifestando senza paura la sua contrarietà alle politiche del fascismo, a partire dalla Guerra d’Etiopia scoppiate nel 1936, per poi confermare con maggiore forza questa sua opposizione, all’atto della firma dell’Asse Roma-Berlino, che rendeva ufficiale l’alleanza dell’Italia con la Germania nazista. Maria José, che probabilmente fu l’anima di un complotto anti-mussolinano che non ebbe seguito, frequentava chiunque le aggradasse, senza preoccuparsi delle conseguenze, né Umberto fece mai qualcosa per dissuadere la moglie dall’agire in questo modo.

Mussolini, dal canto suo, trattò sempre Maria José con una certa freddezza, volle essere informato di ogni sua mossa e affidò la sorveglianza della Principessa al capo della Polizia, Bocchini, fino al 1939, cioè fino a quando ritenne di avere sottomesso i Savoia con lo stravolgimento dello Statuto Albertino e con l’intervento del Gran Consiglio nella successione al trono. Inoltre egli proibì espressamente ai mezzi di informazione di nominare Umberto e Maria José come Principi ereditari e li obbligò a chiamarli solamente Principi di Piemonte.

Marie del Piemonte fotografata durante la Seconda guerra mondiale.

Dopo l’aggressione hitleriana alla Polonia il 1 settembre 1939 e l’attacco italiano alla Grecia del 1940, Maria José, che aveva sempre sostenuto che l’Italia non avrebbe mai potuto vincere la guerra e che l’unico modo per risparmiare al popolo delle inutili sofferenze era quello di eliminare Mussolini e il fascismo, intraprese, a partire dal 1941 fino al colpo di Stato del 25 luglio 1943, un’azione segreta volta a collegare l’ambiente antifascista direttamente con i Savoia.

Incurante dei rischi che correva, incontrò personaggi come Benedetto Croce, Ugo La Malfa, Ivanoe Bonomi, Elio Vittorini, Alcide De Gasperi e monsignor Giovanni Battista Montini, sostituto Segretario di stato di papa Pio XII.  Mussolini, nonostante fosse al corrente delle azioni della Principessa, non fece nulla per impedire il suo operato. Probabilmente la temeva, perché la riteneva l’unico “uomo di casa” dei Savoia. Il 25 luglio Maria José seppe dell’esito della seduta del Gran Consiglio e dell’arresto di Mussolini due ore prima che la notizia fosse diffusa dalla radio. 

In questo momento di grave pericolo per i membri della famiglia reale e, in particolar modo, per il nipote maschio del re, Maria José e i suoi figli riuscirono comunque a rifugiarsi in Svizzera a Montreaux. Poi dovettero spostarsi a Glion, perché la polizia elvetica era venuta a conoscenza di un piano di Hitler per rapire il piccolo Vittorio Emanuele. Infine si stabilirono a Oberhofen, sul Lago di Thun.

Qui Maria José riprese i contatti con le persone con cui aveva collaborato precedentemente al colpo di Stato, in particolare con Luigi Einaudi, anch’egli riparato in Svizzera. Fu tentata a unirsi alla Resistenza, ma le autorità elvetiche la sorvegliavano strettamente. Riuscì comunque, in diverse occasioni, a trasportare armi per i partigiani. Solo nel febbraio del 1945, mentre la Germania stava cadendo, Maria José si decise a rientrare in Italia. Fu un percorso durissimo in pieno inverno e con gli sci ai piedi attraversò il confine sulle Alpi, scortata da due guide e dai pochi uomini che le erano rimasti vicino. Ad accoglierla in Italia c’erano i partigiani, che la scortarono fino a Racconigi. Qui attese fino al giugno seguente, quando fu mandato un aereo per portarla a Roma, dove ad aspettarla c’era Umberto. Non si vedevano da circa due anni. Ad agosto andarono a prendere i bambini e la famiglia fu di nuovo riunita.

… salto alcuni decenni per non esagerare.

…poi fu Regina di Maggio nel 1946, fino al Referendum che vide la vittoria della Repubblica. Pare che abbia votato socialista, area di Saragat alla Costituente, e scheda bianca al Referendum. Muore, dopo quarantuno anni di separazione dal marito, sazia di storie e di anni a novantacinque anni. Una gran donna. E’ sepolta ad Altacomba, nell’abbazia savoiarda, appunto, in Savoia.

Di lei scrisse il giornalista Domenico Bartoli: «La prima delusione venne dal cuore e, forse, fu la più grave. Le altre colpirono l’intelligenza e l’ambizione. Tutte ferirono l’orgoglio…».

Mata Hari, pseudonimo di Margaretha Geertruida Zelle, ballerina e agente segreto olandese, fu condannata a morte dai francesi e fucilata per attività spionistica a favore della Germania durante la Prima guerra mondiale.

Molto interessanti i momenti dell’inchiesta penale che portarono alla sua condanna. Di fronte al titolare dell’inchiesta, il capitano Pierre Bouchardon, Mata Hari adottò inizialmente la tattica di negare ogni cosa, dichiarandosi totalmente estranea a ogni vicenda di spionaggio. Fu assistita, nel primo interrogatorio, dall’avvocato Édouard Clunet, suo vecchio amante, che aveva mantenuto con lei un affettuoso rapporto e che poté essere presente, secondo regolamento, ancora solo nell’ultima deposizione. Poi, con il passare dei giorni, Mata Hari non riuscì a giustificare agli occhi della Corte le somme – considerate dall’accusa il prezzo del suo spionaggio – che il van der Capelen, suo amante, le inviava dai Paesi Bassi, né le somme ricevute a Madrid dal von Kalle, che tentò di giustificare come semplici regali. Dovette anche rivelare un particolare inedito, ossia l’offerta ricevuta in Spagna di lasciarsi ingaggiare come agente dello spionaggio russo in Austria. Riferì anche della proposta fattale dal capitano Ladoux di lavorare per la Francia, una proposta che cercò di sfruttare a suo vantaggio, come dimostrazione della propria lealtà nei confronti della Francia.

L’accusa non aveva, fino a questo momento, alcuna prova concreta contro Mata Hari, la quale poteva anzi vantare di essersi messa a disposizione dello spionaggio francese. Il fatto è che il controspionaggio non aveva ancora messo a disposizione del capitano Bouchardon le trascrizioni dei messaggi tedeschi intercettati che la indicavano come l’agente tedesco H21. Quando lo fece, due mesi dopo, Mata Hari dovette ammettere di essere stata ingaggiata dai tedeschi, di aver ricevuto inchiostro simpatico per comunicare le sue informazioni, ma di non averlo mai usato – avrebbe gettato tutto in mare – e di non avere trasmesso nulla ai tedeschi, malgrado i 20.000 franchi ricevuti dal console von Kramer che ella, sostenne, considerò solo un risarcimento per i disagi patiti durante la sua permanenza in Germania nei primi giorni di guerra. Quanto al messaggio di von Kalle a Berlino, che la rivelava come spia, Mata Hari lo considerò la vendetta di un uomo respinto.

I tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarando di non averla mai considerata una spia. Al contrario, il capitano Georges Ladoux negò di averle mai proposto di lavorare per i servizi francesi, avendola sempre considerata una spia tedesca, mentre l’addetto militare a Madrid, l’anziano Denvignes, sostenne di essere stato corteggiato da lei allo scopo di carpirgli segreti militari; quanto alle informazioni sulle attività tedesche in Marocco, egli negò che fosse stata Mata Hari a fornirle. Entrambi gli ufficiali non seppero citare alcuna circostanza sostanziale contro Mata Hari, ma le loro testimonianze, nel processo, ebbero un peso determinante. L’inchiesta si chiuse con un colpo a effetto: l’ufficiale russo Masslov, del quale Mata Hari sarebbe stata innamorata, scrisse di aver sempre considerato la relazione con la donna soltanto un’avventura. La rivelazione non aveva nulla a che fare con la posizione giudiziaria di Mata Hari, ma certo acuì in lei la sensazione di trovarsi in un drammatico isolamento.

L’inchiesta venne chiusa il 21 giugno con il rinvio a giudizio della donna. Il processo, tenuto a porte chiuse, ebbe inizio il 24 luglio: a presiedere la Corte di sei giudici militari fu il tenente colonnello Albert Ernest Somprou; a sostenere l’accusa il tenente Mornet. Nulla di nuovo emerse nei due giorni di dibattimento: dopo l’appassionata perorazione del difensore Clunet, vecchio combattente e decorato, nel 1870, nella Guerra franco-prussiana, i giudici si ritirarono per rispondere a 8 domande:

  1. se nel dicembre 1915 Margaretha Zelle avesse cercato di ottenere informazioni riservate nella zona militare di Parigi a favore di una potenza nemica;
  2. se si fosse procurata informazioni riservate al console tedesco nei Paesi Bassi von Kramer;
  3. se nel maggio 1916 avesse avuto rapporti nei Paesi Bassi con il console von Kramer;
  4. se nel giugno 1916 avesse cercato di ottenere informazioni nella zona militare di Parigi;
  5. se avesse cercato di favorire le operazioni militari della Germania;
  6. se nel dicembre 1916 avesse avuto contatti a Madrid con l’addetto militare tedesco von Kalle allo scopo di fornirgli informazioni riservate;
  7. se avesse rivelato al von Kalle il nome di un agente segreto inglese e la scoperta, da parte francese, di un tipo di inchiostro simpatico tedesco;
  8. se nel gennaio 1917 avesse avuto rapporti con il nemico nella zona militare di Parigi.

Dopo meno di un’ora venne emessa la sentenza secondo la quale l’imputata era colpevole di tutte le otto accuse mossele: «In nome del popolo francese, il Consiglio condanna all’unanimità la suddetta Zelle Marguerite Gertrude alla pena di morte […] e la condanna inoltre al pagamento delle spese processuali». Quanto all’unanimità dei giudici, questa valeva per la sentenza, ma non per ogni capo d’imputazione, per alcuni dei quali il verdetto di colpevolezza non trovò l’unanimità. Alla lettura della sentenza, incredula per la pena, si limitò a ripetere “non è possibile, non è possibile…”.

La morte

L’istanza di riesame del processo venne respinta dal Consiglio di revisione il 17 agosto e il 27 settembre anche la Corte d’Appello confermò la sentenza di condanna. L’ultima speranza era rappresentata dalla domanda di grazia che l’avvocato Clunet presentò personalmente al Presidente della Repubblica Poincaré.

Il 15 ottobre, un lunedì, Mata Hari, che dopo il processo occupava una cella in comune con due altre detenute, venne svegliata all’alba dal capitano Thibaud, il quale la informò che la domanda di grazia era stata respinta e la invitò a prepararsi per l’esecuzione. Si vestì con la consueta eleganza, assistita da due suore. Poi, su sua richiesta, il pastore Arboux la battezzò; indossato un cappello di paglia di Firenze con veletta, un mantello sulle spalle e infilati i guanti, fu accompagnata da suor Léonide e suor Marie, dal pastore, dall’avvocato Clunet, dai dottori Bizard, Socquet, Bralet, dal capitano Pierre Bouchardon e dai gendarmi nell’ufficio del direttore, dove scrisse tre lettere – che tuttavia la direzione del carcere non spedì mai – indirizzate alla figlia Jeanne Louise, al capitano Masslov e all’ambasciatore francese Cambon.

Poi tre furgoni portarono il corteo al Castello di Vincennes dove, scortati da dragoni a cavallo, giunsero verso le sei e trenta di una fredda e nebbiosa mattina. Al braccio di suor Marie, si avviò con molta fermezza al luogo fissato per l’esecuzione, dove venne salutata, come è previsto, da un plotone che le presentò le armi. Ricambiato più volte il saluto con cortesi cenni del capo, fu blandamente legata al palo; rifiutata la benda, poté fissare di fronte a sé i dodici fanti, reduci dal fronte, ai quali era stato assegnato il compito di giustiziarla: uno di essi, secondo regola, aveva il fucile caricato a salve.

Dei dodici colpi, solo quattro la colpirono, uno sulla coscia, uno sul ginocchio, uno sul lato sinistro. Il quarto trafisse il cuore, uccidendola all’istante; il maresciallo Pétey diede alla nuca un inutile colpo di grazia. Nessuno reclamò il corpo, il quale fu trasportato all’Istituto di medicina legale di Parigi, sezionato e in seguito sepolto in una fossa comune.

Il mio gentile lettore si potrebbe chiedere la ragione per cui ho dedicato tanto spazio a Mata Hari: la risposta è questa. Chi affronta la morte come lei merita rispetto, molto più delle mediatizzate inutili del ‘900.

Virginia Woolf, scrittrice inglese (n. Londra 1882 – m. suicida nel fiume Ouse 1941). Prestigiosa rappresentante del Bloomsbury Group, fu scrittrice, saggista e critica di forte personalità, che emerse anche nel suo impegno libertario e a volte fuori dagli schemi a favore dei diritti civili e della parità tra i sessi. Tra le sue opere Mrs. Dalloway (1925; trad. it. 1946) eTo the lighthouse (1927; trad. it. 1934) sono forse i suoi capolavori.

Tina Anselmi, sindacalista cattolica e parlamentare democristiana. Prima donna ministro della Repubblica Italiana, Anselmi ha dedicato tutta la vita alla democrazia e ai destini delle donne: nella scuola – laureata in lettere ha insegnato nelle scuole elementari; nel sindacato; nel movimento femminile della Democrazia Cristiana; in Parlamento: deputato per sei legislature, è stata ministro della Sanità, e ministro del Lavoro. Si deve a lei la legge sulle pari opportunità. Nata nel 1927 a diciassette anni entra nella Resistenza come staffetta della Brigata autonoma “Cesare Battisti”; fa poi parte del Comando regionale del Corpo Volontari della Libertà. Si laurea in lettere all’Università Cattolica di Milano e insegna nella scuola elementare. Dal 1945 al 1948 è dirigente del Sindacato Tessili e dal 1948 al 1955 del Sindacato Maestre. Dal 1958 al 1964 è incaricata nazionale delle giovani della Democrazia Cristiana e in tale veste partecipa ai congressi mondiali dei giovani di tutto il mondo. Nel congresso di Monaco del 1963 è eletta membro del Comitato direttivo dell’Unione europea femminile, di cui diventa successivamente vicepresidente. È eletta per la prima volta come deputato il 19 maggio 1968 e riconfermata fino al 1992, nel Collegio di Venezia e Treviso. È sottosegretario al lavoro nel V governo Rumor e nel IV e V governo Moro.

Nel 1976 viene nominata Ministro del Lavoro: è la prima donna, in Italia, a diventare ministro. Nel 1978 è nominata Ministro della Sanità e nel 1981 presidente della Commissione di inchiesta sulla loggia massonica P2, che termina i lavori nel 1985: è un capitolo essenziale della vita della Repubblica, una responsabilità che Anselmi assume pienamente e con forza, firmando l’importante relazione che analizza le gravi relazioni della loggia con apparati dello stato e con frange della criminalità organizzata, messe in campo per condizionare con ogni mezzo la vita democratica del Paese.

Successivamente è nominata Presidente della Commissione nazionale per le pari opportunità. Presiede il Comitato italiano per la FAO. Fa parte della Commissione di inchiesta sull’operato dei soldati italiani in Somalia. Ha presieduto la Commissione nazionale sulle conseguenze delle leggi razziali per la comunità ebraica italiana. La commissione ha terminato i suoi lavori nel mese di aprile 2001. È vicepresidente onoraria dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia.

È stata più volte presa in considerazione da politici e società civile per la carica di Presidente della Repubblica: nel 1992 fu il settimanale «Cuore» a sostenerne la candidatura, mentre nel 2006 un gruppo di blogger l’ha sostenuta attraverso un tam tam mediatico che prende le mosse dal blog Tina Anselmi al Quirinale.

Cecilia Danieli. (tratto dal profilo sul web) Industriale friulana dell’acciaio. Da me conosciuta molto bene, perché la frequentai quasi quotidianamente quando ero Direttore del personale del Gruppo Danieli negli anni ’90. Danieli è stata un’imprenditrice italiana, direttore generale e poi presidente per molti anni della Danieli & C. Officine Meccaniche S.p.A. e nacque da una dinastia di imprenditori siderurgici: il nonno Mario, originario della Valsugana, aveva avviato a Brescia nel 1914 assieme al fratello Timo le Acciaierie Angelini, una delle prime in Italia ad utilizzare i forni elettrici ad arco per la produzione dell’acciaio. Mario Danieli si era poi separato dal fratello nel 1929 e aveva trasferito parte dell’attività a Buttrio, in provincia di Udine, avviando la produzione di attrezzature per la lavorazione dell’acciaio e macchine ausiliarie per gli impianti di laminazione. Il padre Luigi aveva assunto la direzione dell’impresa di famiglia. Nel secondo dopoguerra, scegliendo ben presto di abbandonare la produzione di macchinario generico per l’industria meccanica e di concentrarsi sul solo settore delle attrezzature per l’industria siderurgica, ponendo così le basi per la crescita dimensionale e tecnologica dell’impresa che, alla fine degli anni Settanta, contava già circa 1460 dipendenti e un fatturato di circa 120 miliardi di lire.

Cecilia, fa il suo ingresso ai vertici della Danieli nel 1977 come responsabile dell’amministrazione-finanza e della gestione e organizzazione del personale. Al fine di affrontare la delicata situazione che stava attraversando l’azienda, anche a causa della crisi mondiale del comparto siderurgico, avviò con coraggio una radicale ristrutturazione, seguendo una strategia che si sarebbe dimostrata vincente. Creò uno staff manageriale, cui venne affidata la risoluzione dei problemi tecnici, produttivi e commerciali, riuscendo sia a valorizzare dirigenti presenti da tempo in Danieli sia a circondarsi di giovani e capaci collaboratori. Per sperimentare il nuovo assetto, nel 1976 arrivò pure il primo lavoro importante, una commessa per la costruzione di un’acciaieria da 500.000 tonnellate annue nella Germania Est, la prima fornitura di un impianto completo “chiavi in mano”, che segnò il definitivo rilancio dell’azienda. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo le responsabilità di Cecilia andarono via via aumentando, portandola a ricoprire, in luogo del padre, il ruolo di Direttore generale a partire dal 1980. Dopo l’acciaieria di Brandeburgo ci furono i primi contatti con l’Unione Sovietica e nel 1982 la Danieli ottenne, insieme alla Voest Alpine, un’importante commessa per la fornitura chiavi in mano di uno stabilimento siderurgico in Bielorussia. Fino a quel momento l’azienda aveva già costruito impianti in numerosi Paesi e nel 1981 aveva realizzato per conto della Società Europea Tubi Acciaio (SETA) il più grande impianto di colata continua esistente al mondo.

Cruciale nella costruzione del vantaggio competitivo della Danieli è la capacità di realizzare impianti ad alto tasso di automatizzazione, i cui componenti principali sono progettati, sviluppati e costruiti completamente all’interno dell’impresa. La chiave del successo dell’impresa è però la riduzione dei costi di produzione dell’acciaio: negli impianti progettati e assemblati nella seconda metà degli anni Ottanta il consumo di energia passa da circa 500 a 320 kWh per tonnellata prodotta, mentre la produzione di acciaio liquido passa da 0,4 a 1 tonnellata per MW installato.

Accanto al raggiungimento di più elevate soglie tecnologiche, un altro cardine della strategia di Cecilia è costituito dalla specializzazione produttiva. L’azienda di Buttrio si orienta verso la progettazione di unità relativamente piccole (con produzione fino al milione di tonnellate all’anno), fornite “chiavi in mano” e fortemente specializzate in base alle differenti necessità dei consumatori finali di semilavorati d’acciaio, fattore che permette a questi ultimi di ottenere forti risparmi rispetto ai costi di rilavorazione necessari per utilizzare nelle stesse produzioni i semilavorati standardizzati della grande siderurgia.

La determinazione con cui Cecilia riuscì a perseguire gli obiettivi di crescita dell’azienda le valse l’appellativo, attribuitole dal «Time», di “First Italy’s Lady of Steel”, soprannome cui facevano da contraltare uno stile pacato e un animo dolce e gentile. Il New York Times ha osservato che come donna, Cecilia Danieli era “una delle poche che ha raggiunto il vertice nel dominio maschile dell’industria pesante” e che la sua leadership le ha permesso di dire di avere “una percentuale più alta di donne nella direzione rispetto ad aziende italiane di dimensioni comparabili“. Nel 1991 l’assemblea degli azionisti la elesse all’unanimità presidente del gruppo Danieli. I traguardi raggiunti nell’azienda di famiglia le valsero anche la nomina a membro del Consiglio di Amministrazione di importanti società italiane, quali la Falck (1988), di cui Danieli era azionista di minoranza con il 3 per cento del capitale, e l’INA (1994). Le venne pure proposto di ricoprire posizioni di vertice in Confindustria ma declinò l’invito, preferendo il suo ufficio di Buttrio alle luci della ribalta, ufficio dove si recava ogni giorno non oltre le 8,15 della mattina.

Il grande sviluppo dei mercati sui quali opera la Danieli. permette di porre le basi per una vasta serie di acquisizioni. Una prima fase è caratterizzata dall’acquisizione di società impegnate negli stessi settori in cui l’azienda è già presente. Nel 1987 viene rilevato il gruppo svedese Morgardshammar, mentre nel 1988 viene costituta la Centro Met (Svezia), operante nel campo dell’ingegneria per impianti metallurgici. Nel 1991 viene acquisita la francese Rotelec, specializzata nella produzione di attrezzature elettromeccaniche e il 90% dell’italiana Breda Techint Machine, specializzata nella produzione di impianti per l’estrusione di metalli non ferrosi, come l’alluminio. Nel 1993 è la volta della svedese Sund Birsta, leader mondiale negli impianti per il confezionamento di filo di acciaio e delle attività della Wean Industries Inc. (USA) successivamente confluite nella Danieli Wean Inc. di nuova costituzione e nel 1995 il controllo della United Inc. Engineering successivamente denominata Danieli United Inc.. Nel 1997 le società Danieli Wean Inc. e la Danieli United Inc., entrambe operanti nel settore degli impianti per prodotti piani, sono state incorporate dalla Danieli Corporation. Donna friulana, donna del mondo.

Edith Piaf (il suo timbro vibrato mi fa tremare al solo ricordarlo), pseudonimo di Édith Giovanna Gassion è vissuta per meno di quarant’anni, la più grande cantante di Francia. Prolifica interprete del filone della chanson, nel periodo dagli anni ’30 agli anni ’60, è stata chiamata “Passerotto“, per la sua statura minuta (passerotto infatti nel francese popolare si dice piaf).

Definita anche come “l’ugola insanguinata”, che è appunto quella di un passerotto, la sua voce era caratterizzata da numerose sfumature. In molti casi era lei stessa l’autrice dei testi delle canzoni che interpretava. Fu lei a lanciare la maggior parte degli artisti che verranno, in seguito, definiti “suoi successori”, tra cui Yves Montand (Ivo Livi), Charles Aznavour (l’armeno Aznavourian), Gilbert Bécaud, Georges Moustaki e Théo Sarapo.

Malgrado i numerosi eventi negativi che costellarono la sua vita, Piaf viene ricordata come una personalità solare, estroversa, dalle mille sfaccettature, estremamente acculturata e sensibile. È altresì definita la “mecenate di Parigi”, per le frequentazioni di altissimo livello e le amicizie con i più alti esponenti artistici, letterari, musicali, filosofici e culturali del secolo.

Benazir Bhutto, una straordinaria donna politica pakistana. E anche una gran bella donna. Due volte è stata Primo ministro tra gli anni ’80 e gli anni ’90. In quella grande Nazione non è difficile morire ammazzati, come è capitato a lei nel 2007. Il presidente pakistano Pervez Musharraf condannò l’attentato compiuto a sua detta da “terroristi islamici”. La voce fu confermata da Mustafa Abu al-Yazid, capo delle operazioni dell’organizzazione terroristica al-Qa’ida in Afghanistan e uno dei fedelissimi dell’egiziano Ayman al-Zawahiri, numero due di al-Qa’ida, che avrebbe ordinato personalmente l’assassinio. Tuttavia Asif-Ali Zardari, il marito della Bhutto, accusò il governo di Musharraf quale responsabile dell’attentato. Nell’attentato potrebbe avere avuto un ruolo l’ISI (Inter-Services Intelligence), potente servizio segreto pakistano e sostenitore dei Talebani sin dai tempi dell’invasione sovietica dell’Afghanistan del 1979, sotto la direzione di Akhtar Abdur Rahman quando al governo vi era il dittatore Zia-ul-Haq, e mai epurato da Musharraf degli elementi fondamentalisti se non con cambiamenti di facciata ai vertici dello stesso. Una donna coraggiosa, esempio per molte. l’Islam cambierà se e quando lo vorranno le donne.

Maria Salomea Skłodowska, più conosciuta come Marie Curie o Maria Skłodowska Curie è stata una fisica, chimica e matematica polacca naturalizzata francese. Nel 1903 è stata la prima donna insignita del premio Nobel per la fisica assieme al marito Pierre e ad Antoine Henri Bequerel per i suoi studi sulle radiazioni. Un secondo premio Nobel le fu assegnato nel 1911 per la chimica a seguito della scoperta del radio e del polonio. È stata una dei cinque vincitori del Nobel ad averne ricevuti due ed è la sola ad aver vinto il Premio in due distinti campi scientifici.

Marie Curie nacque e crebbe nella Polonia russa: poiché qui le donne non potevano essere ammesse agli studi superiori, si trasferì a Parigi e nel 1891 iniziò a frequentare la Sorbonne, dove si laureò in fisica e matematica. Nel dicembre del 1897 iniziò a compiere gli studi sulle sostanze radioattive, che da allora rimarranno al centro dei suoi interessi. Nel 1906, dopo la morte del marito Pierre Curie, investito da una carrozza, le fu concesso di insegnare alla Sorbona. Due anni più tardi le venne assegnata la cattedra di fisica generale, divenendo così la prima donna ad insegnare alla Sorbona. Morì in Francia nel 1934 per un’anemia aplastica, causata dalle radiazioni a cui il suo fisico era stato per lungo tempo esposto e di cui aveva sempre negato la pericolosità.

Evita Duarte de Peròn. Donna forte d’Argentina, seconda moglie di Juan Domingo Peròn, è stata un’attrice, politica, sindacalista e filantropa argentina, si legge sul web e First Lady dell’Argentina dal 1946 fino alla morte nel 1952, avvenuta per un tumore, a 33 anni. È di solito indicata come Eva Perón o con il diminutivo Evita. Vita avventurosa, Evita si prese tutto in poco più di trent’anni. Politicamente, come il marito, ondeggiò tra populismo e tendenze autocratiche, più capace, però, di Juan Domingo, di parlare al popolo e con il popolo, che lei vedeva come un corpo unico nazionale, dove occorreva avere attenzione per chi aveva di meno. La domanda: Evita era di sinistra? In un certo senso sì, in un’altro anche no, perché il germe dell’egocentrismo autocratico aveva un po’ preso anche lei. Ma questo è il limiti morale di ogni leaderismo sociologico, a destra come a sinistra. Infatti, gli “uomini e le donne forti” si assomigliano, in un certo senso, anche se non del tutto.

La sua figura è tuttora oggetto di venerazione popolare in Argentina, come attesta anche il film musicale Evita.

Forse, con Renata Tebaldi, è stata la più grande soprano del XX secolo è stata Maria Callas, nome d’arte di Maria Anna Cecilia Sofia Kalos, contrazione del cognome originario Kalogheropoulou, in greco Μαρία Άννα Καικιλία Σοφία Καλογεροπούλου. Dotata di una voce dal timbro non omogeneo e di grande volume (soprattutto prima del dimagrimento), Callas sviluppò un magistrale controllo della voce, notevole estensione ed agilità grazie alla formazione belcantistica ricevuta dal soprano Elvira de Hidalgo. Unito alla grande musicalità e natura drammatica, questo forte bagaglio tecnico la rese artefice della riscoperta del repertorio italiano della prima metà dell’Ottocento insieme ai direttori Tullio Serafin, Antonino Votto e Nicola Rescigno, in particolare di Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti. In seguito alle storiche riprese dei ruoli scritti per Maria Malibran e Giuditta Pasta, la critica reintrodusse il termine soprano drammatico d’agilità. Si ricordano Armida e Il turco in Italia di Rossini, Il pirata di Bellini, Anna Bolena di Donizetti, Alceste e Ifigenia in Tauride di Gluck, La Vestale di Spontini, Machbeth di Verdi, Medea di Cherubini, esecuzioni storiche, inarrivabili, secondo la critica. L’esposizione mediatica dovuta alle frequentazioni sociali extra-teatrali hanno costruito un mito attorno a lei, attribuendole l’appellativo di Divina.

Attrice inarrivabile e donna, per mio gusto, bellissima, è stata Greta Garbo, pseudonimo di Greta Lovisa Gustafsson , attrice svedese fra le più celebri della storia del cinema. Anch’essa denominata divina, come Callas e altre famose donne, in seguito. Ingaggiata abbastanza giovane dalla hollywoodiana Metro Goldwin Mayer, Garbo ottiene subito un grande successo, grazie ad alcuni film memorabili come Anna Karenina e La regina Cristina. Icona, come si dice noiosamente oggigiorno, fu quettro volte candidata al premio Oscar e ne ricevette uno.

Margaret (Roberts) baronessa Thathcher. Con Merkel la più forte “donna” politica del ‘900. Da deputato conservatore, ebbe la carica di ministro dell’Educazione, prima di conquistare il vecchio partito Tory. Ciò le permise di essere incaricata da Elisabetta II (che non ebbe mai in simpatia, e ciò è di facile interpretazione: donna di potere la regina, se pure mitigato da un Costituzione storicamente democratica, faceva fatica a sopportare un’altra donna che invece esercitava un potere reale, ma probabilmente non si “prendevano” proprio, come persone). Fu Primo ministro per oltre dieci anni, sostenitrice di una politica rigida verso i sindacati e assai liberista. I suoi libri di memorie non manifestano cambiamenti né “pentimenti” sul suo modo di concepire la politica e di gestire il potere.

Elisabetta II Windsor. Regina del Regno Unito e sovrana (formale) del Commonwealth. 70 anni di regno, un record. Figlia maggiore del Duca di York, che in seguito diventò re con il nome di giorgio VI, e di sua moglie Elisabetta, prima Duchessa di York e poi regina consorte, divenne erede al trono nel 1936, anno dell’abdicazione di suo zio Edoardo VIII, che preferì sposare la divorziata americana Wally Simpson piuttosto che restare sul trono che gli spettava. Noto per le sue simpatie nazistoidi. Dopo aver servito nella Auxiliary Territorial Service durante la Seconda guerra mondiale, nel 1947 sposò il Principe Filippo Mountbatten (Battenberg), dal quale ebbe quattro figli: Carlo III, suo successore, Anna, principessa reale, Andrea, Duca di York e Edoardo, Duca di Edimburgo. Salì al trono come regina alla morte del padre, il 6 febbraio 1952, quando aveva venticinque anni e ivi rimase fino al settembre 2022. Un pochino tanto.

Maria Isabella (Marisa) Bellisario. Grande manager. Nata da padre pugliese e da madre ligure, dopo gli studi superiori di ragioneria, conseguì la laurea in economia e commercio nel 1959 a Torino. Successivamente, recatasi a Milano, entrò da neolaureata alla divisione elettronica dell’Olivetti, con le funzioni di programmatrice sul main frame di progettazione Olivetti, Elea 9002 (Elaboratore elettronico aritmetico), il primo computer interamente progettato e prodotto in Italia, per poi occuparsi di applicazioni commerciali. Nel 1963 partecipò alla fusione dell’Olivetti con la Bull, e l’anno dopo assistette alla cessione della divisione elettronica di Olivetti alla General Electric, che opererà con il nome GEISI (General Electric Information Systems Italia) passando ad occuparsi di pianificazione prodotti. Nel 1970 la General Electric vende la GEISI al colosso dell’automazione Honeyweell e la GEISI Diviene HISI (Honeywell Information Systems Italia). Nel 1969 sposò Lionello Cantoni, professore del dipartimento di informatica dell’Università di Torino ed EDP manager della Olivetti e, successivamente, della Fiat Auto. La coppia non ebbe figli. Rientrò in Olivetti nel 1971, chiamata dall’allora amministratore delegato a ricoprire l’incarico di responsabile della direzione pianificazione operativa. Ha il compito di riordinare i rapporti tra le aree della ricerca e sviluppo, della produzione, della commercializzazione e marketing. In più si tratta di accelerare la completa transizione dei prodotti dalla meccanica all’elettronica.

Con l’arrivo di Carlo De Benedetti quale nuovo azionista di riferimento dell’Olivetti, nell’aprile 1978, le funzioni della Bellisario cambiarono nuovamente e nel gennaio del 1979 divenne presidente della “Olivetti Corporation of America”, risanandone in breve tempo il pessimo bilancio. Nel 1980 s’iscrisse al Partito Socialista Italiano, al cui interno diventerà membro dell’Assemblea Nazionale.

Nel 1981 tornò in Italia per assumere la dirigenza della Italtel, grande gruppo industriale parastatale di 30 aziende elettromeccaniche con circa trentamila dipendenti, allora in grave crisi e da ristrutturare. Il gruppo fatturava allora 503 miliardi di lire all’anno, perdendone 2 327. Il piano da lei proposto e seguito, che prevedeva l’avvio di nuovi progetti e la sostituzione della dirigenza, trasformò il gruppo Italtel in una moderna azienda. Il gruppo da lei diretto, in soli tre anni, elevò il proprio fatturato a 1 300 miliardi di lire, producendo anche un notevole attivo. Per questo lavoro ottenne il consenso dei, che in precedenza erano stati dubbiosi nei confronti del suo piano di ristrutturazione. Nel 1986 le viene assegnato il premio di Manager dell’anno.

Credeva nella meritocrazia e nella gerarchia del merito e si ritiene che sia stata vittima di pregiudizi femminili allorquando le fu negato il consenso del Gruppo Fiat alla nomina ad amministratore delegato della Telit, azienda che avrebbe dovuto nascere dalla fusione di Italtel e Telettra e che sarebbe dovuta diventare l’azienda italiana di riferimento del settore delle telecomunicazioni.

Nel 1984 entrò a far parte della Commissione Nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, istituita dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi, come presidente della sezione per le nuove tecnologie. Nello stesso anno la rivista Capital le dedicò una copertina. Nel 1987 venne riconfermata amministratore delegato dell’Italtel per altri tre anni. Il risanamento dell’impresa si confrontava allora con la prospettiva di costruzione di un mercato europeo delle telecomunicazioni, basato su accordi tra grandi imprese del settore; allo stesso tempo, Italtel rafforzò i rapporti con imprese americane (nel 1987: l’accordo di cooperazione tecnologica e di marketing con Apple e l’accordo con Bell Atlantic).

Nonostante una malattia irreversibile (tumore delle ossa) che la portò lentamente alla morte, continuò a gestire il proprio lavoro, anche a distanza, fino al termine dei suoi giorni. Si spense a 53 anni, nella sua villa torinese presso la collina di Superga. Dopo i funerali, celebrati con cerimonia civile, fu sepolta nel cimitero di Ceva.

Indira Priyadarshini Nehru-Gandhi è stata una politica indiana. Fu la prima donna (e l’unica, ad oggi) a ricoprire la carica di Primo ministro dell’India. Fu figura centrale nel Congresso Nazionale Congresso Indiano. Lavorò in politica dal 1966 al 1977 e poi di nuovo dal 1980 fino al suo assassinio nel 1984; fu il secondo ministro per anzianità di servizio. Indira Gandhi fu l’unica figlia del Primo ministro indiano, Jawaharlal Nehru. Fu designata Capo di Stato maggiore dell’amministrazione capeggiata da suo padre tra il 1947 e il 1964 e arrivò a esercitare una notevole influenza, seppur non ufficiale, al governo. Fu eletta presidente del Congresso nazionale indiano nel 1959. Fino alla morte di suo padre nel 1964, la Gandhi rifiutò di gareggiare per la presidenza del partito e al contrario decise di diventare capo di gabinetto nel governo capeggiato da Lal Bahadur Shastri. Nelle elezioni di partito tenutesi all’inizio del 1966 (dopo la morte di Shastri), sconfisse il suo rivale Morarji Desai per diventare leader del partito e quindi succedette a Shastri come Primo ministro indiano.

A seguito dell’annullamento della sua elezione nel giugno 1975 da parte di una Corte locale, impose lo Stato d’emergenza per due anni, governando di fatto con poteri quasi dittatoriali fino all’inizio del 1977 per implementare un programma di stampo socialista. Tale periodo è ancora uno dei più controversi della storia dell’India moderna. Fu uccisa nel 1984 da un fanatico (si dice così, no?) Sikh.

Anna Kuliscioff, socialista russa esule, prima con Andrea Costa l’anarco-socialista, e poi con Filippo Turati. I poveri di Milano la chiamavano “la dotòra”Anna Kulišëva, italianizzato in Anna Kuliscioff, pseudonimo di Anna Moiseevna Rozenštejn, nata nel 1855 a Sinferopol e morta a Milano nel 1925. Kuliscioff è stata un medico, una giornalista, una rivoluzionaria, una femminista russa naturalizzata italiana, tra i fondatori e principali esponenti del Partito Socialista Italiano.

Nel 1885 si era legata sentimentalmente a Filippo Turati, avvocato socialista e futuro leader del Partito, e si era trasferita con lui in un appartamento di Portici Galleria al numero 23, sempre portando con sé la figlia Andreina. Trasformò il salotto di casa in studio e redazione di Critica sociale, la rivista del socialismo riformista italiano, che Anna diresse assieme a Turati dal 1891: mucchi di giornali e plichi di libri circondavano Anna e Filippo che lavoravano insieme. Nel salotto c’era un piccolo divano verde dove la Kuliscioff riceveva i visitatori ad ogni ora del giorno: personaggi della cultura, come Ada Negri e altri, esponenti della politica milanese, persone più umili e le “sartine” che trovano in Anna un’amica e una confidente.

«…il migliore cervello politico del socialismo italiano fu realmente quello della soave e fiera donna, innanzi alla quale non vi fu mai chi non si chinasse deferente e ammirato, persino Mussolini compreso

(Carlo Silvestri in Turati lo ha detto, Rizzoli, Milano 1947, p. 55)

A Genova il 15 agosto 1892 fu tra i fondatori del Partito dei Lavoratori Italiani (che nel 1893 divenne il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani e nel 1895 assunse il nome definitivo di Partito Socialista Italiano), che sancì la separazione dei socialisti dagli anarchici, essendo presente con Turati ed altri (Camillo Prampolini, etc.) alla riunione preparatoria della sera del 13 agosto per discutere delle proposte da presentare al congresso nei giorni seguenti. Si deve quindi anche a lei la nascita del più antico partito politico in senso moderno, la prima formazione organizzata della sinistra in Italia.

Con Turati Anna partecipò attivamente a tutte le battaglie portate avanti dalla nuova formazione politica. Il suo lavoro venne bruscamente interrotto l’8 maggio 1898 quando un gruppo armato irruppe nel suo famoso salotto e l’arrestò con l’accusa di reati di opinione e di sovversione. A dicembre venne scarcerata per indulto, mentre il suo compagno Filippo dovette aspettare un anno.

Elaborò un testo di legge per la tutela del lavoro minorile e femminile che, presentata al Parlamento dal suo Partito, venne approvata nel 1902 come Legge Carcano, nº 242.

Nel giugno de 1911 assieme al compagno Filippo Turati inaugurò a Molinella il Palazzo delle Leghe e delle Cooperative, per celebrare il successo delle società cooperative nella cittadina emiliana.

Madre Teresa di Calcutta (Anjezë Gonxhe Bojaxhiu), al secolo Anjezë Gonxhe Bojaxhiu, per la Chiesa cattolica Santa Teresa di Calcutta per il culto tributatole, e spesso nota semplicemente come Madre Teresa, nata a Skopje nel 1910, morta a Calcutta nel 1997, è stata una religiosa albanese naturalizzata indiana, di fede cattolica, fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della Carità. Il suo lavoro instancabile tra le vittime della povertà di Calcutta l’ha resa una delle persone più famose al mondo e le ha valso numerosi riconoscimenti, tra cui il premio Nobel per la pace nel 1979. È stata proclamata beata da papa Giovanni Paolo II il 19 ottobre 2003 e santa da papa Francesco il 4 settembre 2016.

Farah Diba, nobildonna iraniana, seconda o terza moglie, poi vedova dell’inutile e servile Shah (o re dei re, come Ciro il Grande, che ridere!) Mohammad Reza Pahlavi, nata a Tehran nel 1938 è l’ultima imperatrice del moderno Iran.

Katherine Hepburn. Attrice statunitense d’intensità inarrivabile è stata vincitrice di quattro premi Oscar.

Nella sua carriera, durata più di sessant’anni, recitò in una vasta gamma di generi cinematografici, dalla Screwball Comedy ai film drammatici. Nel 1999 l’American Film Institute l’ha classificata al primo posto fra le più grandi star, ritenendola la più grande attrice cinematografica di tutti i tempi.

Cresciuta in Connecticut, Katharine Hepburn incominciò a recitare mentre studiava al Bryn Mawr College. Dopo quattro anni di teatro, le recensioni favorevoli del suo lavoro a Broadway la portarono all’attenzione di Hollywood. I suoi primi anni nel mondo del cinema furono segnati dal successo e dal premio Oscar per il suo terzo film, La gloria del mattino (1934), ma in seguito fu protagonista di una serie di film che fecero fiasco quanto all’attenzione del pubblico, tanto che nel 1938 venne etichettata come «veleno per il botteghino». L’attrice fu la stessa artefice della propria rimonta, riscattando il suo contratto con la RKO Radio Pictures e comprando i diritti cinematografici di Scandalo a Filadelfia: li vendette a condizione di interpretare il ruolo della protagonista ed esso la consacrò nuovamente a Hollywood. Nel 1940 venne ingaggiata dalla Metro-Goldwin-Mayer, dove lavorò a fianco di Spencer Tracy, suo partner cinematografico in nove film e segretamente compagno nella vita fuori dal set.

Nella seconda parte della sua carriera apparve in produzioni teatrali shakespeariane e affrontò una serie di ruoli letterari. Vinse altri tre premi Oscar per le sue interpretazioni in Indovina chi viene a cena? (1967), Il leone d’inverno (1968) e Sul lago dorato (1981). Nel 1970 iniziò a comparire in film per la televisione, ove proseguì la sua carriera fino in età avanzata. Nel 1976 vinse anche un Premio Emmy, come miglior attrice protagonista per Amore tra le rovine, al fianco di Laurence Olivier. Abbandonò le scene nel 1994, all’età di 87 anni, dopo aver recitato in Love Affair – Un grande amore. Dopo un periodo di inattività e cattiva salute, morì nel 2003 a 96 anni. L’elenco delle sue interpretazioni è smisurato.

La tedesca. “l'”uomo politico” (mi perdonino tutti) più importante dei decenni a cavallo del millennio europeo, Angela Dorothea Kasner, coniugata Merkel, nata ad Amburgo nel 1954 è una politica tedesca, Cancelliere federale della Germania dal 22 novembre 2005 all’8 dicembre 2021.

Eletta al Parlamento tedesco nel Meclemburgo- Pomerania Anteriore, è stata Presidente dell’Unione Cristiano-Democratica (CDU) dal 9 aprile 2000 al 7 dicembre 2018 e Presidente del Gruppo parlamentare CDU-CSU dal 2002 al 2005. Nominata per la prima volta Cancelliera a seguito delle elezioni federali del 2005, ha guidato una grande coalizione con il partito consociato, l’Unione Cristiano-Sociale (CSU), e con il Partito Socialdemocratico (SPD) sino al termine della legislatura (2009).

Nel 2007 è stata anche Presidente del Consiglio europeo e Presidente del G8. Ha svolto un ruolo fondamentale nei negoziati per il Trattato di Lisbona e nella Dichiarazione di Berlino del 2007. In politica interna, i principali problemi affrontati sono stati la riforma del sistema sanitario e lo sviluppo energetico futuro. Angela Merkel è la prima donna a ricoprire la carica di Cancelliere della Germania e la seconda a presiedere il G8, dopo Margaret Thatcher. Nel 2008 ha ricevuto il Premio Carlo Magno «per la sua opera di riforma dell’Unione europea.

Angela Merkel presenta le dimissioni del suo VI governo il 26 ottobre 2021, tuttavia il presidente della Repubblica federale tedesca Steinmaier, accettando la inviterà a restare in carica per il disbrigo degli affari correnti fino al giuramento del nuovo governo. Il 4 dicembre 2021 Angela Merkel saluta ufficialmente la Cancelleria federale.

Il suo mandato come Cancelliera federale ha segnato profondamente la storia recente della Germania e dell’intera Unione europea, ragion per cui è considerata fra le donne più potenti del mondo, tanto da essere stata, secondo Forbes, in cima a questa classifica ininterrottamente dal 2006 al 2020, con la sola eccezione del 2010. È stata insignita del Premio Nansen per i Rifugiati dell’UNHCR 2022, in ragione della decisione del suo governo di accogliere in Germania più di 1,2 milioni di rifugiati e richiedenti asilo nel 2015 e 2016, all’apice della Guerra civile siriana.

Marylin Monroe (Norma Jeane Mortenson Baker Monroe). Immagine, femmina, piccola, esplosiva, ingenua, triste e sfortunata. 1926/ 1962 è stata un’attrice, cantante, modella e produttrice cinematografica americana, tra le più celebri attrici della storia del cinema.

Dopo aver trascorso gran parte della sua infanzia in case-famiglia, iniziò a lavorare come modella, prima di firmare il suo primo contratto cinematografico nel 1946; dopo alcune parti minori, i film Giungla d’asfalto e Eva contro Eva, entrambi del 1950, furono i suoi primi successi di pubblico. Negli anni successivi, le sue interpretazioni in Niagara e Gli uomini preferiscono le bionde vennero apprezzate dalla critica e le valsero un Golden Globe nel 1954. La definitiva consacrazione internazionale avvenne poi con le pellicole Come sposare un milionario, Quando la moglie è in vacanza, Fermata d’autobus e A qualcuno piace caldo, per la quale vinse un Golden Globe per la migliore attrice in un film commedia musicale nel 1960.

Nel 1999 Marilyn Monroe è stata inserita, dall’American Film Institute, al sesto posto nella lista delle più grandi star femminili di tutti i tempi e tra le 100 donne più attraenti di tutti i tempi. Morta suicida?

Rita Levi Montalcini. Scienziata immensa e donna potente. Nasce a Torino nel 1909 e muore a Roma nel 2012. E’ stata una studiosa di neurologia e di medicina, capace di straordinarie scoperte. Negli anni cinquanta, con le sue ricerche, scoprì e illustrò il fattore di accrescimento della fibra nervosa (nella fattispecie della struttura assonale) NGF, e per tale scoperta è stata insignita nel 1986 del premio Nobel per la medicina. Insignita anche di altri premi, è stata la prima donna a essere ammessa alla Pontificia accademia delle scienze. Il 1 agosto 2001 è stata nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi “per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale“. È stata socia nazionale dell’Accademia dei Lincei per la classe delle scienze fisiche.

«L’umanità è fatta di uomini e donne e deve essere rappresentata da entrambi i sessi.»

(Rita Levi-Montalcini)

Levi-Montalcini sostenne sempre di sentirsi una donna libera; cresciuta in «un mondo vittoriano, nel quale dominava la figura maschile e la donna aveva poche possibilità», dichiarò d’averne «risentito, poiché sapevo che le nostre capacità mentali – uomo e donna – son le stesse: abbiamo uguali possibilità e differente approccio».

Riguardo alla propria esperienza di donna che dedicò tutta la propria vita alla ricerca e all’insegnamento in ambito scientifico, descrisse i rapporti con collaboratori e studiosi come sempre amichevoli e paritari e sostenne che le donne, pur costituendo al pari degli uomini un immenso serbatoio di potenzialità, siano lontane dal raggiungimento di una piena parità sociale.

La prima metà degli anni settanta la vide partecipe dell’attività del Movimento di Liberazione Femminile per la regolamentazione dell’aborto. La scienziata dichiarò, durante alcune interviste, una manifesta attribuzione di questa visione di vita a quanto appreso dal padre: “Da bambine mio padre ripeteva a mia sorella e a me che dovevamo essere libere pensatrici. E noi siamo diventate libere pensatrici prima ancora di sapere cosa volesse dire pensare“.

e donne ignote, ma esistite e dal valore in dignità umana pari a quello delle donne famose: contadine, casalinghe, prostitute per necessità o per scelta, mamme, figlie, sorelle, nonne, amanti, uxoricide, eroine, scienziate, medico, terroriste, insegnanti, operaie, filosofe naturali come mia nonna Caterina, autiste, poliziotte, vittime, DONNE.

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