Renato Pilutti

Sul Filo di Sofia

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…lui è “andato avanti”

…è il modo di dire “alpino” per ricordare un compagno, un amico, un commilitone, un fratello, che è morto in battaglia, oppure è mancato da civile dopo la guerra, e spesso anche per le conseguenze di infinite sofferenze e dolore.

La lunga fila della ritirata italiana dal Don

E’ andato avanti” è come un atto di fede nell’anima immortale, cari professori Rovelli, Odifreddi, Hack (requiescat in pace)…, e cari voi che militate contro, incomprensibilmente. Prima di tutto, non lo capisco. Filosoficamente e teologicamente. Non occorre “militare” per l’inesistenza dell’anima immortale, e quindi di Dio. Non che uno sia obbligato a credere nell’anima immortale come credevano Platone e non pochi (!!!) altri, perché ciò non è di-mostrabile con argomentazioni logiche, così come non è di-mostrabile la sua non-esistenza, ma la semplice frase “alpina” fa capire come questo ambiente spirituale colga dell’uomo alcune caratteristiche intuitive di un qualcosa che potrebbe non avere fine con la morte fisica.

Chissà, forse, contro-intuitivamente, ce la farà la fisica dei quanta-qualia (con gran disdoro dei fisici di cui sopra) a mostrare la plausibilità dell’esistenza della coscienza-anima immortale (cf. Giacometti 2022/ 2023), fermo restando l’actus fidei, che si colloca in una dimensione teologico-metafisica.

Di seguito inserisco il testo della deliberazione governativa con la quale mio suocero Cesare, “andato avanti” prima, ma dopo la battaglia, è stato insignito di Medaglia di Bronzo al valor militare, a seguito dei suoi atti generosi durante la rotta dell’inverno ’42/ ’43 in Ucraina, lui caporal maggiore del )9° Battaglione della Brigata Alpina Julia. Durante la rotta che vide la Cuneense, la Tridentina e la Julia cercare di sganciarsi dalla sacca del Don attraverso Izjum (nome richiamato in recenti cronache guerresche d’aggressione), Nowo Kaljtwa, Nowa Postojalowka, Nikitowka e Njkolajewka.

“MINISTERO DELLA DIFESA, il Presidente della Repubblica (Giovanni Gronchi), con Suo Decreto in data del 8 Agosto 1955, Visto il Regio Decreto 4 Novembre 1932 n.ro 1423 e successive modifiche; Visto il Regio Decreto 23 Ottobre 1942 n.ro 1195; sulla proposta del Ministro Segretario di Stato per gli Affari della Difesa; ha conferito la Medaglia di Bronzo al Valor militare coll’annesso soprassoldo di Lire 5.000 al caporale maggiore, 9° alpini (Brigata alpina Julia)

Rivoldini Cesare di Evangelista , da Bertiolo (Udine), n. 1920

  • Puntatore di cannone da 47/ 32, in aspro combattimento, visto cadere il capopezzo ne assumeva con decisione il comando, assolvendo il nuovo compito con coraggio e calma esemplari e continuamente incitando i propri compagni alla lotta. Esaurite le munizioni, posto in salvo il congegno di puntamento, si lanciava coraggiosamente al contrassalto con i reparti fucilieri giunti in rinforzo. Kopanki (Russia, 20 gennaio 1943)

Il Ministro Segretario di Stato per gli Affari della Difesa rilascia dunque il presente documento per attestare del conferito onorifico distintivo.

Roma, addì 10 Gennaio 1956

Registrato alla Corte dei Conti

addì 18 Ottobre 1955

Registro 45 Foglio 116

f.to Massimo – il Ministro Gaetano Martino

Tornato dalla guerra aveva fatto la sua parte nella Osoppo come partigiano.

Erano là innocenti, inviati nell’inverno russo con mezzi inadeguati e una strategia subalterna (alla Germania hitleriana) e potenzialmente suicida, dal criminale regime fascista del cavalier Benito, inerte e succube il re Savoia, che dopo l’8 settembre io avrei fatto arrestare. Un vigliacco. Mi risulta che in tempo di guerra i traditori vadano fucilati. A mio parere quello sarebbe stato il suo giusto destino, o almeno il confino, altro ché un dorato esilio egiziano. Mussolini ha pagato con la vita per le spicce, chiunque sia stato a fucilarlo, non mi interessa se Walter Audisio o “Colonnello Valerio” (pare di no) o il “Capitano John” per conto di Churchill che voleva avere tra le mani il suo carteggio segreto con il Capo del Governo fascista (quante volte nel dopoguerra Sir Winston è tornato in vacanza a dipingere paesaggi sul Lago di Como? e perchè?), Bruno Lonati o il “Capitano Neri” (alias Luigi Canali), su decisione del CLNAI (comandato dal Gen. Raffaele Cadorna, da Luigi Longo, da Sandro Pertini, da Leo Valiani, da Italo Pietra, etc.). Vittorio Emanuele III, no.

E poi i Savoia pretendevano che la monarchia continuasse, pur se il “Re di Maggio” Umberto II si comportò lealmente dopo il referendum che scelse la Repubblica, di certo ben consigliato da quella donna intelligente che era sua moglie, la regina Maria Josè del Belgio. Ti immagini, gentile lettore, se nel 1946 avesse vinto la monarchia, ancora oggi ci troveremmo come re Vittorio Emanuele IV, quello che sparò e uccise un turista all’Isola del Cavallo al largo della Sardegna una quarantina di anni fa. E come principe ereditario Emanuele Filiberto, il ballerino televisivo. Ogni tanto mi viene da pensare se sia stato meglio Andreotti… Ma sì, nonostante tutto, perché possiamo “mandare a stendere” chi non governa bene, però dobbiamo andare a votare!!!

Mio suocero Cesare Revoldini (la “i” nel documento è un errore anagrafico) e mio padre Pietro non combatterono per questi “signori”, e neanche per alcuni delinquenti repubblicani che gli succedettero dal 1946 a oggigiorno. Poveri Pietro e Cesare.

Tutti e due sono “andati avanti“, prima Cesare, che non ho fatto a tempo a conoscere bene, e poi Pietro, mio padre.

Nessuno dei due ha avuto il tempo di conoscere la nipotina Beatrice, ma da quando è nata la guardano con occhi buoni da lassù, perché loro due sono solo “andati avanti.

Della maternità. U.S.A.: “pro-life”, “pro-choice”, “pro-voice”. Care signore, care donne e mamme vi scrivo

In queste settimane/ mesi negli USA ferve un dibattito distinto e delineato su tre posizioni: la prima, detta pro-life, concerne la scelta per la vita, assolutamente contro ogni ipotesi di interruzione di gravidanza; la seconda, chiamata pro choice, riguarda la scelta libera che può portare anche all’interruzione di gravidanza; la terza, definita pro voice, si riferisce al diritto di ogni donna di fare una scelta libera, senza condizionamenti e/o manipolazioni che la costringano in qualche senso, in qualsiasi senso.

In Italia c’è addirittura – come sempre – ancora più confusione e polemica politica e mediatica. La stampa, i media in generale e la politica, al di là delle legittime e anche utili differenze di opinione, registrano una sostanziale incapacità teorica, culturale, di affrontare il tema (che è anche problema, si tenga conto della differenza semantica tra i due termini – problema che dice inciampo, difficoltà e tema che dice argomento– che spesso sono erroneamente utilizzati come sinonimi).

E’ difficile, quasi impossibile, ascoltare o leggere opinioni fondate su riflessioni di carattere antropologico e morale, riflessioni capaci di collocare il tema della scelta di abortire, di non abortire, o di ottenere un figlio in qualsiasi modo, in una cornice di ragionamento completa, che tenti di tenere in considerazione tutti gli aspetti connessi, da quelli riguardanti le scelte valoriali e morali individuali, passando per quelle culturali e politiche, fino a quelle relate al tema demografico e al tasso di fecondità nazionale, e alla sua formidabile differente distribuzione nel mondo, ad esempio tra Europa e Asia/ Africa.

La valenza etica di queste tematiche è immensa, come si può ben concordare, mentre l’argomento può essere trattato in diversi modi, da quello prevalentemente accademico e scientifico ivi comprendendo gli aspetti medici, giuridici, politici e sociologici, a quello etico e valoriale, fino al modo più dialogico ed empatico. Ed è il modo che in questa sede ho scelto, ovviamente “sullo sfondo” delle mie convinzioni etiche, per affrontare il tema, al fine di non attizzare – se pure nel mio piccolo – il fuoco sulla polemica, assai facile in questi casi.

Proverò a scrivere una lettera a ciascuna delle donne o madri che si riconoscono in ciascuno dei tre “modelli” sopra distinti.

Cara signora che hai deciso di abortire, e che sei tormentata nel cuore e nella mente… ti sono vicino come un fratello. Ti sono vicino, perché sei una persona, che vale come me e come ogni altra persona umana di questo mondo. Ti sono vicino perché immagino che tu non stia molto bene con te stessa, che tu sia pensierosa su di te, su chi ti è vicino e sulla scelta che hai deciso. Immagino che decidere possa essere stato per te molto difficile. Penso che tu sia stata tormentata per diversi giorni fino a che, per qualche motivo che neppure mi permetto di chiederti, hai deciso… Ho sentito da voci circostanti che una delle ragioni della tua decisione è stata anche questa: “come fai a mettere al mondo un bimbo in un mondo del genere?” Mi chiedo: in che mondo? Forse che i “mondi” precedenti, magari quelli del XX o del XIX secolo, erano migliori?

Cara signora che hai deciso di tenere il tuo bambino, e già pensi agli impegni grandi che ti toccheranno per anni… ti sono vicino come un fratello, perché so quanto sia difficile tirare su un figlio. Ti sono vicino perché immagino quanti momenti di sconforto incontrerai e quanto stanca moltissime sere sarai. Sono con te perché sei una sorella nella genitorialità, di questi tempi difficili, in una situazione che non ti aiuta sempre a pensare al futuro con equilibrio e con un ragionevole grado di fiducia. Ti sono vicino nella speranza di potercela fare e nella fede che ciò accadrà. Vedi come qui si citano due delle tre virtù teologali, fede e speranza, perché la carità, la terza, non finisce mai, in quanto è sinonimo dello stesso amore che ci hai messo nella scelta di avere un figlio e di tirarlo su, finché sarà compito tuo.

Cara signora che non sai ancora che cosa decidere, e stai valutando sballottata tra sentimenti contrastanti e parole che senti non sempre opportune ed equilibrate, consigli pro e contro, valutazioni su e per… ti sono vicino come un fratello, perché sei nell’incertezza. Ti sono vicino perché ascolti mille tesi che si scontrano e ti sconcertano senza requie, e lo devi fare perché vivi nel mondo come me e incontri tante esperienze differenti e anche contraddittorie. La ricerca della tua verità di vita, in questo momento, passa per la scelta se (provare ad) avere un figlio, o meno. Si tratta di una ricerca nella quale, mi permetto di dire per esperienza, occorre mettere davanti a sé con chiarezza tutto, positività e negatività che conosciamo di noi stessi, perché se il fine è quello di diventare genitore, nel momento in cui la nuova vita ti farà visita, dovrà essere messa al primo posto, nella tua vita. Non sempre, te lo dico con sincerità, io stesso sono stato in grado di rispettare questa Legge di natura, che è semplicemente umana.

Inoltre, due ultime brevi lettere voglio scrivere, la prima a una donna che vuole essere madre a tutti i costi, anche chiedendo a un’altra donna di diventarlo per lei, biologicamente, la seconda a quella donna che vorrà, dovrà (?) accettare di essere disponibile.

Cara signora che vuoi essere madre a tutti i costi, anche al costo di incaricare una tua simile a partorire per te. Qualche domanda. Sono d’accordo che se si adotta un figlio da un orfanotrofio lo si ama come se fosse proprio (esperienza della mia famiglia). Perché dunque desideri che nasca un bambino da un’altra, provenendo da due gameti altri, la cui origine sarà: per il “padre” tenuta rigorosamente nascosta, perché gamete deposto in un’agenzia specializzata, e circa la madre idem, anche se la “madre” accogliente dovrà certamente conoscere la “madre” donante. Che cosa potrà pensare un figlio nato da un’altra madre biologica e da un padre-gamete, nel momento in cui comincerà a farsi delle domande? Cara “madre-che-accoglie” il figlio d’altra, forse che nasconderai per sempre quanto accaduto, a tuo figlio?

Cara signora che “presti” (non voglio dire “affitti”) il tuo corpo per partorire per altri, che cosa te lo fa fare? Il bisogno? Un illustre giurista italiano ha scritto recentemente che la legittimità di una “gravidanza-per-altri” è moralmente analoga alla donazione di un organo sano a chi lo ha irrimediabilmente ammalato: un cuore, un fegato, del midollo osseo, per il citato giurista, sarebbero come un figlio nato da altra. Non sono d’accordo, perché un essere umano non è comparabile a un organo di un essere umano, perché è un vivente cosciente, mentre un organo è una sua parte, che non vive se non dentro l’intero.

In questo caso, filosoficamente, non si dà autosimilarità, vale a dire che la parte non rappresenta il tutto. E di conseguenza, a me pare, ciò sia un illecito morale e dovrebbe essere, per tutti, un illecito giuridico e quindi un reato.

La maternità surrogata o gravidanza per altri, o utero in affitto (horribile dictu, che rinvia alla legislazione sulle locazioni immobiliari) non può essere legittimata da alcuna aspirazione alla genitorialità, perché, diciamolo chiaramente: avere un figlio NON E’ un diritto, ma un desiderio che può diventare DONO.

Infine, il tema delle adozioni è una delle connessioni pratiche e operative a quanto sopra trattato. Quando un bambino deve venire al mondo o è già venuto al mondo, innanzitutto DEVE essere (comunque e in ogni caso) riconosciuto e registrato. Sull’adozione di coppie omosessuali ho già scritto più volte e non mi ripeto. Dico qui, ancora una volta, che non la condivido, per ragioni che ho spiegato in altri scritti.

“De vulgaribus verbis in hoc saeculo diffusis diurnariis culture inopia plenis” (in altre parole, ad sensum, in un tempo nel quale circolano molte parole volgari per la carenza di cultura dei giornalisti)

Da quasi tutta la mia vita lavorativa e di studi ho avuto e ho a che fare con le Aziende di Confindustria, prima come sindacalista (da “ragazzo” fui in Direzione nazionale Uil con Giorgio Benvenuto), successivamente come dirigente industriale nell’area risorse umane in una grande azienda metalmeccanica, e poi come consulente direzionale e ora come presidente di una decina di Organismi di vigilanza ex D.Lgs 231/ 2001.

Inoltre, come docente universitario (PhD in Filosofia e Teologia, e Laurea in scienze politiche), nonché presidente dei Filosofi pratici italiani, svolgo da tempo anche formazione per i gruppi dirigenti aziendali e per gli imprenditori stessi. Potrei citare, ma non lo faccio, alcune aziende nelle quali presiedo l’Organismo di Vigilanza. Chi lo desidera può incontrarmi sul mio blog dove sono citate le mie pubblicazioni di carattere filosofico e socio-politico.

E ora desidero parlare brevemente della trasmissione di Rai24 La zanzara, che mi capita di sentire in viaggio, a volte smanettando tra i canali radiofonici. Riconosco che si tratta di una trasmissione che svela interessantissimi dati sociologici sul livello culturale e morale degli italiani, che hanno bisogno di ascoltarsi e di farsi ascoltare per radio, e comunque – ovviamente – non conosco però quanta percentuale di persone di quel livello e tipologia etico-culturale rappresentino in ambito nazionale.

Su ciò non si può fare direttamente nulla se non constatare la realtà fattuale. Su altri piani, educativo, formativo, scolastico e familiare si deve intervenire con una maggiore attenzione e impegno, nel piccolo di ciascuno.

La cosa che però desidero segnalare concerne i due conduttori, che, capisco, sono opportunamente assortiti per favorire l’audience.

Capisco anche che i modelli linguistico-culturali attuali hanno “sdoganato” espressioni e lemmi che fino a qualche anno fa sarebbero stati sottoposti a sentimenti e giudizi di ludibrio e vergogna, quest’ultimo oramai sentimento assai desueto.

Detto questo, voglio esprimere un mio giudizio e una preoccupazione proprio sul linguaggio che, sia il signor Cruciani (di più, ma non molto) sia il signor Parenzo, hanno in costante uso. Nonostante la mia formazione etico-filosofica e i miei principi morali, in ciò che segue non vi è nulla di moralistico o bacchettone.

Ebbene: mi sembra che il linguaggio dei due, spesso caratterizzato da insulti inaccettabili, tipo cretino, imbecille rivoltia ogni malcapitato ascoltatore che telefona, la coprolalia compiaciuta, le espressioni sprezzanti da antico trivio che esultanti e in medium confusionis maximae questi signori proferiscono con compiacimento, mi pare abbia superato ogni limite della decenza. Con il tempo anche i radioascoltatori che ascoltano e telefonano hanno preso ad imitarli al loro peggio, utilizzando le stesse inutili parolacce ed espressioni offensive.

A volte mi chiedo come una organizzazione così importante socialmente, economicamente e culturalmente come Confindustria, possa sopportare una simile deriva. Non capisco proprio il fine, lo scopo, l’obiettivo, Tommaso d’Aquino e Aristotele direbbero che non si comprende la “causa finale” di tutto ciò.

Questo è l’esempio più orrido e diseducativo. Nel restante panorama della comunicazione trovo approssimazione e superficialità, banalizzazione e scarso controllo dei concetti e dei ragionamenti proposti. A volte anche insufficiente documentazione e imprecisioni linguistiche ed espressive. Una deriva da fermare.

LUKAKU, DONNARUMMA, CHALANOGLU, tre ottimi calciatori ben pagati, ma tre persone pretenziose e confuse: occasioni per una riflessione di etica dello sport

sig. Romelu, ventinove anni, afro-belga, grande attaccante, colonna della sua nazionale, sia ex (2021) sia nuovo (2022) giocatore dell’Internazionale F.C. di Milano;

sig. Gianluigi, portierone saracinesca, campione d’Europa con l’Italia, abbandona nel 2021 il Milan per la squadra di plastica del Parigi, che compra tutti e vince solo in Francia;

sig. Hakan, centrocampista offensivo, nazionale turco, emulo di Rivera (un po’ in sedicesimi), nel 2021 abbandona il Milan (arrivato secondo in campionato) proclamando che va all’Inter per vincere, poi il Milan nel 2022 vince lo scudetto senza di lui, e lui rimane male…

un turbinio confuso nella testa…

Sto mettendo in piedi, accanto a una filosofia pratica del lavoro, una filosofia dello sport, per l’importanza socio-culturale che questo aspetto della vita contemporanea ha in generale, e per i suoi aspetti educazionali.

Soprattutto del calcio, ma senza trascurare altre discipline, come il mio amatissimo ciclismo.

Ebbene, il comportamento attuale di questi tre valenti calciatori, sotto il profilo morale, sono la quintessenza della scorrettezza comportamentale e di una certa immoralità. Cattivo esempio per tutti e soprattutto per i giovani. Sulla vicenda Lukaku, essendo particolarmente grottesca, ho perfino scritto al sig. Marotta, Amministratore delegato dell’Inter, senza ottenere alcuna risposta, finora.

Personalmente ho apprezzato nel tempo la ratio operandi di Marotta, anche nei precedenti incarichi, ad esempio a Torino nella Juventus, professionalità confermata anche all’Inter con lo scudetto ’20/ ’21 e la Coppa Italia 21/’22. Si tratta di un bravo dirigente d’azienda, tipologia professionale con cui ho molto a che fare quotidianamente in aziende nazionali e multinazionali.

Il mio lettore assiduo sa che io presiedo diversi Organismi di vigilanza aziendali (ex D.Lgs. 231/ 2001 – Codici etici), che presiedo l’Associazione dei filosofi pratici italiani (Phronesis), che insegno Filosofia e Teologia in diversi atenei (Udine, Padova e Bologna), e che ho pubblicato un congruo numero di volumi di carattere accademico e non solo (cf mio blog Sul Filo di Sofia, che ne dà ampiamente conto)… e mi interesso anche di sport, dove comunque cerco di distinguere – possibilmente sempre – l’intelligenza dal suo contrario.

Occuparsi di sport per uno che viene definito “intellettuale” è un piacere, ma è anche un linguaggio che permette di condividere momenti amicali e dialogici con chiunque, e in particolare con i lavoratori, di tutti i tipi, ovviamente soprattutto maschi.

Riferisco i fatti “lukakiani” che tutti conoscono, in sintesi estrema: venduto su sua stringente richiesta al Chelsea (ooh Londra, amore mio, cantava l’uomo), la scorsa estate, perché il calciatore non riteneva che i fasti sportivi non si sarebbero ripetuti a Milano, dopo che il ragazzone aveva giurato amore eterno all’Inter, per 115 milioni di euro (che affarone, complimenti!), ora s’è fatto l’affare del rientro a queste condizioni, più o meno: una quota non rilevante di prestito annuale da riconoscere al Chelsea, e uno stipendio che il signor calciatore si è degnato di accettare ribassato da 12 a 8,5 milioni di euro. Perbacco, che sacrificio!

E vengo al profilo etico (di cui mi intendo): Lukaku, l’anno scorso, dopo la bella, fragorosa e meritatissima vittoria dello scudetto con Conte, se ne è andato quasi come se l’Inter fosse la periferia del calcio, e il Chelsea, campione di tutto pro-temporeuna specie di Shangri-la spettacolare. Er mejo, si dice a Roma. Bene: colà non sfonda e ora vuol tornare dove lo hanno “adorato” (non si dovrebbe “adorare” nessuno, a parte Dio, ma tuttalpiù “venerare” come la Madonna e i Santi) come un “dio” (si noterà la minuscola).

            Ora, il suo rientro – a parer mio – è immorale sotto vari profili:

a) quello della contraddittorietà del suo comportamento;

b) quello etico relativo agli aspetti economici del rapporto di lavoro (sentir addirittura lodare in giro e sulla stampa il giocatore, perché avrebbe rinunziato a svariati milioni di euro l’anno rispetto al primo contratto con l’Inter, è assai triste);

c) l’esempio malo verso giovani e tifosi, che capiscono la stranezza del fatto più di quanto non si pensi;

d) lo iato comunicativo che si realizza tra il fatto-Lukaku e la situazione generale della popolazione, che vive disagi inauditi, popolazione di cui fanno parte largamente i tifosi;

d) una certa qual ineleganza di tutto il “progetto-rientro”, la cui efficacia tecnica è comunque tutta da dimostrare. E potrei continuare.

Questa è la ratio ethica che mi parrebbe insuperabile, se si vuole esser eticamente distinguibili, come lo è stato senza dubbio il Milan l’anno scorso nelle vicende Donnarumma e Chalanoglu. Ecco, se incontrassi questo bravo giocatore turco avrei un paio di cose da dirgli. E anche a Donnarumma, mal consigliato non so da chi, oltre che dal (da me non, e che Dio mi perdoni) compianto Mino Raiola.

Ora, un po’: di ciclismo

Un mio caro amico che si intende di ciclismo per averlo praticato (nelle categorie giovanili ebbe anche modo di battere in pista un certo Saronni!), mi dice che tutti, dico tutti, prendono sostanze, anche se il sistema organizzativo si è fatto più scientificamente furbo rispetto ai tempi del meritatamente amatissimo Marco Pantani. Il mio amico dice che comunque vince il più forte e mi fa un esempio tecnico: nessuno, neanche in gruppo può andare a cinquanta all’ora e oltre per duecento chilometri e più solo con l’alimentazione normale.

Caro lettore, ricordati della vicenda Armstrong, cui hanno tolto tutti e sette i Tour de France che aveva vinto su strada. Se le cose stanno in questo modo, è stata una grande ipocrisia punire Armstrong, e più parzialmente, dopo avere distrutto Pantani come uomo (non perdonerò mai chi ha pensato ed eseguito questa sentenza mortale!), punire corridori come Contador e Ivan Basso, come Di Luca e Riccò, mentre al reo confesso Bjarne Riis hanno lasciato la vittoria del Tour 1986. Anche un bambino non lombrosiano si sarebbe accorto che quest’uomo non era “giusto”, con le smorfie indicibili che mostrava alle telecamere. Altri smorfiatori danno la stessa impressione. Ho alcuni nomi che taccio per non rattristarmi troppo.

Ora, considerando anche il Tour in corso, faccio fatica a spellarmi le mani per Pogàĉar (accento tonico sulla prima “a”, perdio!), se le cose stanno così. Anche perché tende a mostr(ific)are la sua (finora) preminenza atletica, contendendo a Merckx, potentissimo contadino fiammingo dei ’60/ ’70, la fama di “cannibale”.

Dove sta la dimensione etica nello sport del ciclismo, in questo sport sublime di fatica, che è metafora inarrivabile della vita, se le cose sono gestite come si dice sopra?

E vengo ad alcune ultime osservazioni che riguardano i media (non midia!) sportivi. Salvo lodevoli eccezioni, questi si caratterizzano spesso per le incongruenze lessicali e scorrettezze linguistico-formali per me inaccettabili.

Incuria nella pronunzia dei nomi, soprattutto nelle accentazioni toniche, l’uso di terminologie e sintagmi scorretti e annoianti, come “fare la differenza”, “occupare gli spazi”…, etc. Stupidaggini. Nel calcio poi vi è un profluvio di modi di dire che, se non fossero annoianti, sarebbero solo ridicoli. E anche il fin troppo lodato e osannato Gianni Brera ha le sue responsabilità in questo campo, non tutte edificanti. Una che mi è rimasta sul gozzo (e non sono milanista): la definizione di Gianni Rivera, uno dei più grandi calciatori italiani – e non solo – di ogni tempo, sprezzantemente, come “abatino”, solo perché non era un palestrato.

Gioan Brera fu Carlo, si sa, peraltro era – oltre che una penna eccellente – una buona forchetta e conseguentemente fornito di proporzionata panza… e dunque?

Intanto, può bastare, ma potrei continuare a lungo.

In questa sede, mi sono solo limitato a proporre un tentativo di applicazione di morale pratica, di etica dello sport, di maieutica platonica e di logica argomentativa, con alcuni esempi, all’ambito di alcune attività sportive che, come momenti esistenziali della vita umana, come tutti gli altri momenti, non possono essere esentati da una riflessione eticamente fondata sulle rispettive fenomenologie, consuetudini e responsabilità.

Caro Presidente Macron,

fin dall’inizio del suo mandato presidenziale, non ho provato una particolare simpatia per lei. Si sa che simpatia e antipatia percorrono strade e flussi emotivi misteriosi. Non mi “prendeva” il suo appartenere a un’élite alto-borghese che mi è distante, io figlio d’operai e studioso con le mie sole forze.

Da una settimana, i colleghi della importante Associazione Italiana della Consulenza filosofica e della Filosofia Pratica Phronesis (lei sa che in greco antico la parola significa Prudenza/ Saggezza, proprio la sagesse in francese) mi hanno democraticamente eletto Presidente per un biennio. Peraltro sono un professionista che si occupa di Etica in medie e grandi imprese e fa il professore in ambito accademico.

Ma non le scrivo nella veste di Presidente di Phronesis. Le scrivo come persona e come studioso.

Ovviamente conosco bene la storia della sua grande Nazione e l’importanza che ha avuto nella Storia grande, dell’Europa e del mondo. Senza indugiare su altri importanti momenti di questa storia nazionale, mi soffermo un momento sulle tre parole-valori, sulle tre idee-forza che hanno ispirato i rivoluzionari del 1789: Liberté, Fraternité, Egalité. Non commenterò il secondo e il terzo dei tre termini, che meriterebbero adeguate riflessioni.

Mi soffermerò invece solo sul primo, la Liberté. Penso che lei sappia che i Greci antichi avevano due termini per dire “Libertà”, mentre noi neolatini ne abbiamo uno solo. I Greci usavano il termine (qui traslitterato) Eleutherìa, per significare “libertà-di-fare” in genere, mentre utilizzavano la parola Parresìa, per dire “libertà-di-dire”.

Ecco, vede, i Greci distinguevano le due “libertà”, sapendo bene che un termine di tal fatta non può essere compreso e utilizzato da chiunque nello stesso modo. Questo popolo sapiente, che ci ha dato i fondamenti della nostra comune cultura generale, aveva bene presente che occorre misurare con saggezza (ecco!) le parole che si utilizzano nei vari ambienti e momenti e conseguentemente anche le azioni che si compiono, le quali debbono essere proporzionate e congrue alle varie diverse esigenze dalla vita.

I grandi filosofi medievali, italiani, tedeschi, francesi, inglesi, hanno poi sviluppato la comprensione del termine “libertà”, spiegando bene che si tratta di un valore sempre connesso alle condizioni oggettive di chi lo utilizza nella sua propria vita. In altre parole, la libertà non è mai assoluta, cioè sciolta da ogni vincolo, ma è sempre in-relazione con circostanze e interlocutori vari, presenti nella vita di ogni persona.

Tommaso d’Aquino, in particolare, gigante del pensiero universale, che lei certamente ha sentito nominare, ma non so se ha studiato nei suoi corsi di diritto, ha spiegato bene che la libertà non è “fare-ciò-che-si-vuole”, poiché ciò è impossibile, ma è “volere-ciò-che-si-fa”, ribaltando la logica della decisione. Tommaso, sulle tracce della psicologia aristotelica, sapeva molto bene che, prima di mettere in atto un’azione libera, bisogna pensarci, riflettendo con cura sulla situazione, sui pro e sui contro della decisione da assumere.

Aggiungo: la visione tommasiana, approfondita in pieno Medioevo, è superiore per acutezza, a parer mio, alla visione liberale apparsa primariamente nelle culture settecentesche inglesi e francesi. Pensatori come i suoi Voltaire, Diderot, D’Alembert, oppure come Locke e Hume, e successivamente come Stuart Mill, e molti altri più recentemente (tra costoro cito solo i suoi Michel Foucault e Jean-Paul Sartre), hanno delineato la filosofia liberale sulla “libertà”, sostenendo che “la libertà di ciascuno termina dove ha inizio la libertà altrui”. Qui, pardon, ho ripreso solo in maniera parafrastica quelle tesi.

Qui sta il punto. La visione liberale non è sufficiente. Quello che voglio dirle è che sarebbe bene tornare a Tommaso d’Aquino, anche per parlare della libertà in Francia e della sua tutela in questi periodi drammatici che sta vivendo la sua Patria. Lei sta sostenendo che si deve difendere la laicità e la libertà di espressione in Francia, ripetendo che le vignette su Mohamed pubblicate da Charlie Ebdo, possono, anzi debbono, essere utilizzate nella formazione scolastica. Non mi dichiaro contrario all’utilizzo di ogni esempio che spieghi che cosa sia la libertà di espressione.

Discuto l’opportunità di calcare la mano sul tema, in questo momento storico e della cultura mondiale.

E vengo a una metafora illuminante, tipica della tradizione popolare italiana, questa: “si deve abbeverare il cavallo nella misura in cui ha bisogno di acqua“, poiché, si intende, oltre quella misura il cavallo non beve. Che cosa significa questo modo di dire popolare italiano? Significa che non si può pretendere di affermare e spiegare il proprio concetto di libertà a tutto il mondo, e anche a immense masse poco alfabetizzate, come se lei stesse tenendo un seminario alla Sorbonne.

Bisogna adeguare il linguaggio e il lessico al pubblico, al target che si desidera raggiungere. Insistere su Charlie Ebdo per spiegare la libertà-alla-francese è sbagliato e dannoso. Eviti di insistere, perché in questo modo dà adito a chi conosce bene quel target, di agire (sto pensando al presidente-dittatore della grande e bellissima Nazione turca, che non va confusa con questo politico furbo e opportunista) facendo una gran confusione e incitando alla violenza persone senza cultura e inclini alla violenza.

I recenti tragici fatti di Parigi e di Nizza mi hanno ispirato questa lettera personale, mentre qui non ho inteso trattare la grande questione delle migrazioni, che richiede altro tempo e spazio scrittorio. Mi creda e ci pensi, presidente Macron.

Glielo suggerisce un filosofo italiano.

Sono a tua immagine…

Sono a tua immagine secondo l’ordine della fisicità..

Sono a tua immagine secondo l’ordine dello psichismo…

Sono a tua immagine secondo l’ordine della spiritualità...

Una anafora filosofica oppure una poesia eucologica per dire che abbiamo la stessa identica dignità, fra tutti gli uomini e donne di questo mondo. E potremmo continuare, così: sono a tua immagine secondo l’ordine del valore; sono a tua immagine secondo l’ordine del dolore; sono a tua immagine secondo l’ordine dei diritti; sono a tua immagine secondo l’ordine dei doveri; sono a tua immagine secondo l’ordine della Terra; sono a tua immagine secondo l’ordine della vita.

Ecco: una lezione semplice di antropologia filosofica e di etica generale, caro lettore.

Ve ne è un grande bisogno, perché sembra che – in giro – queste semplici nozioni non siano note più di tanto. La confusione regna quasi sovrana nei media e nelle politiche mondiali. Confusione e cattiva coscienza.

Anche qualche giorno fa, dopo le solite oramai stantie, ripetitive, noiose e inutilmente impaurenti (chissà cui prodest? o sono paranoico?) notizie sulla pandemia, si apprende che a Reggio Emilia, in un agguato, vengono gravemente feriti tre giovani. Come a Bastia Umbra, Come a Colleferro. Ed è poca cosa rispetto ad altri e più gravi episodi che accadono per il mondo. Uno, esemplificativo, la decapitazione islamista dell’insegnante parigino.

Farei imparare a memoria almeno le tre righe dell’inizio di questo pezzo, e recitare obbligatoriamente tre o cinque volte al giorno a tutti. A volte imparare a memoria è utile, come insegnavano i maestri elementari fino agli anni ’60 e poco oltre. A quei tempi si trattava non solo di far recitare a memoria delle poesie, ma anche di esercitare la memoria stessa. Senza avere le nozioni che oggi sono di dominio pubblico tramite la divulgazione scientifica, più o meno tutti sanno che il cervello e la sua parte cortical-razionale in particolare, è un “oggetto plastico”, che cambia, fino a una certa età aumentando i neuroni e successivamente e fino alla morte, le sinapsi, cioè i collegamenti interneuronali.

Il cervello, che produce in qualche modo mente e psiche, può arricchirsi con l’esercizio mnemonico e con il dialogo, con lo studio e l’osservazione del mondo. Di che cosa avrebbero bisogno gli imbecilli di Colleferro, Bastia Umbra e Reggio Emilia e il delinquente diciottenne di Paris-Conflans? Di buoni maestri che gli insegnino a memoria la preghiera di cui più sopra.

Per i figuri citati, che cosa può significare che, scientificamente, tutti gli esseri umani hanno pari dignità? Può significare qualcosa? Magari un qualcosa che li faccia riflettere prima di agire come hanno agito? Non lo so perché non li conosco personalmente e il quarto, quello di Parigi è morto nelle circostanze successive al suo feroce omicidio.

Ecco, mi soffermo su questo ceceno giovanissimo. La disgraziata nazione caucasica è in guerra da decenni. Il sovietismo decaduto trent’anni fa è stato sostituito in modi ancora più rozzi e brutali da un islamismo fanatico che permea diverse fazioni in lotta. Ciò non significa che manchino istanze di libertà negate, ma il melting pot cultural-religioso ha creato spazi per la violenza dichiarata e praticata. Non pochi fuggiaschi hanno trovato risposte, appunto, nell’islam radicale predicato dallo Stato islamico e da imam fortemente inclini alla violenza verbale. E in casa, che maestri ha avuto questo giovine di nome Abdoullakh etc., già morto prima di capirci qualcosa, della vita?

Mi chiedo come abbia potuto così facilmente sopraffare un cinquantenne, come il professor Paty. Forse che quest’ultimo era un omettino fragile e lui un possente giovanotto allenato? Può essere. Anche questo è un tema. Possibile che non ci si possa difendere da un assalitore solitario? E’ chiaro che lo Stato non ha uomini a sufficienza per difendere tutti coloro che si trovano in situazioni potenzialmente pericolose. Anche in Francia, come in Italia, lavorano quasi un milione di insegnanti. Nemmeno tutto l’organico dell’Esercito, della Polizia a della Gendarmeria sarebbe sufficiente. Purtroppo la Francia si trova in una situazione storica e geo-politica infinitamente più pericolosa dell’Italia.

La Francia è stata uno dei principali Paesi colonialisti e anche recentemente ha commesso errori macroscopici nelle politiche militari, come l’ingerenza fellona e criminale di Sarkozy in Libia nel 2011. Detto questo, se pure in soldoni, occorre puntare l’attenzione proprio sull’educazione e sulla formazione, non solo scolastica, ma anche familiare e territoriale. La Francia ha bisogno di maestri e di filosofi di strada, sì, di filosofi di strada.

Fossi in quella Nazione che ammiro anche se a volte mi fa un po’ di rabbia, proporrei proprio un “Progetto Socrate” da finanziare perché degli esperti in discipline antropologiche ed etiche vadano nelle banlieu e, con i dovuti modi dialogici (socratici), si fermino a discutere con tutti, sugli usci e per strada, nei bistrot e nei parcheggi… ovunque.

Una fola? Caro Macron, provi a pensarci.

E in Italia? Anche da noi potrebbe essere un’idea. Di che cosa c’è bisogno se non di questo, di riprendere una via come quella del pensiero? Troppo poco questa principale facoltà psichica e spirituale appare nel suo immenso potere nel giro e nel gioco imponenti della comunicazione e dell’informazione sociale.

Il pensiero razionale è più spesso negletto, dimenticato, disprezzato. Si può addirittura notare in certe persone e in certi ambienti quasi un odio per la cultura, laddove la componente della gelosia e dell’invidia addirittura è minoritaria rispetto a un vero e proprio odio, la passione negativa che costituisce il prodromo di una quasi inevitabile successiva violenza.

E la riflessione torna al punto iniziale: avversione verso la cultura e l’utilizzo del pensiero razionale, ignoranza di base, disinteresse per un’informazione corretta e fondata portano gli esseri umani a cedere, a regredire, ovvero ad esprimersi nel modo primordiale e belluino dell’aggressività.

Quei ragazzotti di Bastia Umbra, di Colleferro e di Reggio Emilia sono innanzitutto ignoranti, crassamente ignoranti e rozzi. E altrettanto lo era quel Abdolullah che ha pensato di ben agire uccidendo il prof Faty, che nella sua immaginazione malata era un blasfemo, un ateo, una vita da spezzare.

Ecco a che cosa serve la cultura e l’esercizio del pensiero critico: semplicemente a diventare più umani.

Quel versetto genesiaco, il 26 del Primo capitolo “(Dio) fece l’uomo a sua immagine” resta la fonte primaria ed essenziale che ho parafrasato nel titolo.

Caro papà…

e questa volta non si tratta del mio, ma di quello del mio amico Cesidio, dal nome di uno sconosciuto santo appenninico. Suo padre è mancato e lui ha voluto scrivere qualcosa, come una lettera, un qualcosa per la memoria e per chi lo ha conosciuto.

“Sembrerà banale, ma risulterebbe alquanto difficile adesso ed in poco tempo descrivere il sognatore che era Nino Antidormi, così come l’utilizzo di frasi di circostanza mal si presterebbero a rendere onore e merito alla sua memoria soprattutto se descrivessero solo i suoi innumerevoli pregi di uomo, rendendo minima o assente ogni sorta di difetto. Di quello che è stato un eterno ragazzo piace invece partire proprio dai difetti e dal fatto che non ne ha mai fatto mistero.

Sua era la capacità innata di renderli “leggeri” citandoli spesso con un’auto ironia che strappava sempre fragorose risate. Questo spirito gli ha sempre fatto affrontare la vita e le situazioni peggiori, tra cui anche la malattia, con una forza d’animo che solo in pochi riescono ad avere. La parola d’ordine della sua vita è stata Amore: in primo luogo per la vita stessa, che ha cercato di rendere piena con qualsiasi cosa potesse condividere con gli altri e poi lottando fino alla fine per mantenerla. Non è un caso che la prova tangibile di quanto vissuto sia rappresentata dalla sua famiglia e dall’elevato numero di persone che nutrono, ancor oggi, nei suoi confronti stima ed amicizia. Per tutti sempre una parola, un consiglio, un aiuto senza mai risparmiarsi.

Come uomo lascia un vuoto incolmabile, un piacere ascoltarlo e non solo per la retorica utilizzata ma anche per l’arguzia e la facilità con le quali trovava sempre la parola giusta per tutti quelli che ne avevano bisogno. Come marito, spesso citava con ironia, di aver trovato in Pina tutto ciò che era il contrario dell’anima gemella, ma con lei aveva dato vita ad una famiglia numerosa e molto unita. Come figlio e fratello non ha mai perso il legame con la sua terra d’origine, la stessa che gli ha dato forse quel senso di protezione tipica dei pastori per il proprio gregge oltre che l’eleganza e la fierezza delle genti d’Abruzzo. Come amico, dai legami giovanili con lo sport, la scuola, l’intrattenimento, a quelli legati al mondo della scuola che come docente ha vissuto, sono innumerevoli le attestazioni di stima ed affetto che ancor oggi gli vengono attribuite. Come padre, nonno e zio rimane e rimarrà nella memoria quale esempio da seguire per la modalità con la quale ha affrontato la vita cercando sempre l’aspetto positivo delle cose, aiutando sempre la crescita nel rispetto dell’unicità di ciascuno e nel capire che la vera ricchezza sta nell’amore incondizionato verso la propria famiglia.

Che il Dio Consolatore possa dar sollievo a quanti ne sentiranno la temporanea mancanza, ciascuno per il lasso di tempo che gli è dato avere e che ancora li divide dal ritrovarlo nella dimensione eterna. Corre l’obbligo di chiudere con una citazione dell’immenso Sant’Agostino: “Coloro che ci hanno lasciato non sono degli assenti, non sono degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di GLORIA puntati nei nostri pieni di LACRIME”.

Nulla vi è da aggiungere, se non un abbraccio, caro Caesidius.

Dear Mister Conte (Antonio)…

un paio di decenni fa ero Direttore Risorse umane di un’azienda con un fatturato forse 15 volte maggiore di quello dell’Inter F.C. Spa di Milano, squadra che mi è simpatica. L’azienda dove fungevo da Human Resources General manager contava circa 5000 dipendenti (ora 7000), quindi almeno cinquanta volte il numero dei dipendenti dell’Inter pazza e imprevedibile. Bene, se avessi qualche anno di meno, mi sentirei di propormi come Direttore del Personale di quella nobile compagine calcistica e, tra le cose più costruttive che proporrei in questi giorni alla Proprietà Suning-Zhang e alla Direzione, vi sarebbe una lettera all’allenatore attuale, il Signor Antonio Conte.

il testo potrebbe essere il seguente, caratteristico di una Raccomandazione formale scritta, e quindi nulla a che vedere con il Codice disciplinare aziendale, cioè con le modalità di una Contestazione disciplinare ex articolo 7, comma 2 della Legge 300/ 70 o Statuto dei diritti dei lavoratori.

Dear Mr. Conte,

lo spirito di dialogo e collaborazione che ha sempre contraddistinto il rapporto tra la nostra Società e Lei, deve necessariamente prevedere trasparenza e verità nelle relazioni tra noi.

Pertanto, in questo caso, ci duole segnalarle che alcune Sue recenti dichiarazioni pubbliche, in occasione dell’ultima partita di Campionato italiano (vinta sull’Atalanta), non sono state congrue e appropriate circa la Sua posizione di dipendente della Società, anche se, trattandosi di una Società attiva nel mondo del calcio, non v’è dubbio che tale rapporto di dipendenza sia di carattere molto particolare: basti solo pensare alla enorme popolarità e fama che tale ambiente comporta anche per Lei, e il trattamento economico con Lei concordato, che nulla ha a che fare con l’enorme maggioranza degli altri lavoratori. In ogni caso, Lei non deve dimenticare mai di essere un “dipendente”, oltre che un valido e stimabile professionista, da molti riconosciuto, nel Suo ruolo.

Prima di procedere con le considerazioni che intendiamo proporLe, non possiamo non farLe presente che, se la Società avesse scelto di procedere disciplinarmente, si sarebbero giuridicamente addirittura configurati gli estremi per un Suo licenziamento, invocando la figura giuridica (ex Lege 604/ 1966 et s.m.i.) della Giusta causa. Un tanto è confermato da non pochi pareri di autorevoli giuristi, che possiamo (o meno) avere interpellato.

Di contro, come questa nostra evidenzia, abbiamo deciso di percorrere la strada del dialogo, mettendo in chiaro alcune questioni che riteniamo essenziali per una prosecuzione positiva del rapporto di collaborazione.

Ci permettiamo pertanto di formularLe alcuni consigli, che se Lei riterrà utile considerare, potrebbero aiutarLa a migliorare il Suo modo di “stare nell’Inter” e, se Lei permette, anche il Suo personale modo di porsi con gli altri. Beninteso, non siamo qui a parlare dei Suoi tratti caratteriali che, come ci è ben noto, non sono modificabili, ma di alcuni suoi comportamenti che, come ben spiegano le più affidabili dottrine psico-relazionali, sono modificabili, se l’interessato è disponibile a prendere in considerazione l’opportunità di un cambiamento.

Nello specifico ci pare di poter affermare che alcune modalità comportamentali Sue sono caratterizzate da un Egocentrismo e da un’Autostima assai, troppo, espansi, espressione di un Ego poco capace di considerare le posizioni altrui. Questo sotto il profilo psicologico. Ma non si può trascurare neppure il profilo etico-morale: Lei a volte pare manifestare una importante carenza di Umiltà e. badi bene, non stiamo parlando di Modestia, ché non è richiesta, specie se fasulla nella sua declinazione falsa.

Le diciamo quindi, con serenità e fermezza, che ci aspettiamo da Lei un cambiamento nei comportamenti, anche perché riteniamo che questo sia possibile tenendo conto della Sua indubbia intelligenza e cultura.

Con i migliori saluti e auspici di collaborazione ulteriore

La Presidenza/ Direzione

(…questo farei firmare al Signor Presidente Steven Zhang)

Imbecilli a buon mercato: un mix di razzisti, di politicamente corretti, di babbei generici e di snob di ogni risma e colore politico

Se ne vedono e si incontrano persone e fatti di tutti i generi e specie.

Statua abbattuta di Cristoforo Colombo

Il primo fatto tra altri, in ordine sparso: “…e allora, qui ci sono o due neri che non mi fanno entrare“, in una banca primaria, in quel di Udine. Qualche dì or sono, giungo verso mezzogiorno per fare alcuni bonifici, avendo telefonato per l’appuntamento. All’ingresso trovo due ragazzoni neri che fungono da commessi, chiedendo ai clienti se avessero prenotato il servizio, come d’uso di questi tempi Covid-relati, facendo entrare con ordine ogni persona, non appena ne fosse uscita un’altra, al fine di non creare assembramenti all’interno.

La frase di cui sopra è pronunziata da un circa cinquantenne, furlàn, giacchino leggero rosso, calvizie non poco incipiente. Il ragazzo cui (non) si era rivolto direttamente, ma si trovava a due metri dall’uomo, trasecola visibilmente, ma non dice nulla. Tutt’intorno forse eravamo in cinque o sei, persone di tipo vario, tra cui si poteva riconoscere la casalinga, il professionista, il pensionato, il giovane… e poi c’ero io.

Passano cinque o sei secondi in un silenzio imbarazzato e intervengo: “Ma ho sentito bene, lei sta telefonando a qualcuno dicendo che qui ci sono due” neri” che la stanno bloccando?” Si capiva benissimo che stava parlando con qualcuno all’interno che, essendo il tono confidente, era certamente conosciuto.

Non mi risponde. Aggiungo, allora: “Si rende conto di avere pronunziato una frase razzista? …silenzio…, poiché qui non si tratta di “neri” che la bloccano, ma di due lavoratori che fanno il lavoro loro affidato… silenzio, e anche perché è noto a tutti gli esseri pensanti che le razze non esistono, sono un concetto antiscientifico“… silenzio.

Mi accorgo anche di star facendo un sermoncino, ma il parlato non mi viene diversamente. Ero incredulo, e immediatamente incazzato.

A quel punto si avvicina anche l’altro commesso, alto circa due metri, una vera ala forte da basket che, alleandosi obiettivamente a me, cerca di tranquillizzare il collega che stava per esplodere. I presenti, allibiti, per circa mezzo minuto non intervengono, finché una signora piccolina comincia a darmi ragione, mentre un signore anziano, al contrario, inizia a proferire una serie di contumelie contro di me del tipo “Lei è un cafone, maleducato, ma come si permette, idiota“, e via così. Ho reagito verbalmente mantenendo un tono fermo, ma senza rispondere con espressioni aggressive, solo dicendo che la mala-educazione forse apparteneva a lui fin dalla lontana infanzia, devo aver detto.

Questo, nell’accogliente Friuli del 2020.

Piccolo parco milanese dedicato a Indro Montanelli: qualcuno vuole tirare giù la sua statua, poiché è stato pedofilo in gioventù durante la Guerra di Abissinia. In America vogliono abbattere la statua di Cristoforo Colombo. La imbrattano di rosso. Poveri ignorantelli.

Altrove si stanno abbattendo le statue di commercianti di schiavi e di generali Unionisti sconfitti nella Guerra di Secessione.

Montanelli, la statua di Colombo divelta a Richmond e a Boston, i commercianti di schiavi, i militari sudisti, tutto da abbattere. E allora, perché non distruggere le statue di Socrate, di Giulio Cesare, di Adriano, che avevano una visione dell’educazione e dei rapporti umani improntati alla greca paidèia? Platone come il mercante schiavista.

Perché non distruggere tutti i libri di Kant, perché ha scritto qualche frase razzista?

Perché non abolire la lettura liturgica delle Lettere di San Paolo, perché non era antischiavista alla lettera?

Ignoranza diffusa, crassa e abbondante. San Paolo, nella Lettera a Filemone implora questo signore di perdonare lo schiavo fuggito, potendo egli come padrone, secondo le leggi romane di allora, addirittura togliergli la vita? A questi signori che fanno d’ogni erba un fascio suggerirei di farsi leggere e spiegare il versetto 11 del capitolo terzo della Lettera agli abitanti di Colossi e il versetto 28 del capitolo terzo della Lettera agli abitanti della Galazia, sempre di Paolo di Tarso, dove si afferma l’assoluta uguaglianza fra tutti gli esseri umani, prodromo filosofico-morale di tutta le norme successive, fino all’Illuminismo.

La servitù della gleba è stata abolita formalmente in Russia solo oltre la metà del XIX secolo dallo zar Alessandro II, ma nei fatti continuò. Del razzismo statunitense e delle sue date ho già scritto nei pezzi precedenti, e non mi ripeto.

Certamente alcune statue sono simboli di ingiustizie radicali perpetrate nei secoli verso milioni di esseri umani, e fanno problema, ma la loro distruzione non migliora la cultura generale, né quella individuale dei manifestanti. Piuttosto è nella scuola dell’obbligo della grande Nazione americana e ovunque che bisogna operare, promuovendo cultura e conoscenza.

Non dimentichiamoci del norvegese Anders Brejvik che poco più di dieci anni fa ha fucilato 77 giovani del partito socialista nell’isola di Utonomja e ad Oslo. Se in America non si placa la guerra ai simboli dell’odio, non dimentichiamo la storia dell’apartheid sudafricana e anche dell’omicidio razzista di Olof Palme, che fu ucciso per strada a Stoccolma, probabilmente da un sicario assoldato dai servizi segreti del Sudafrica.

Non dimentichiamoci dei pogrom russo-ucraino-polacchi dei secoli XVI, XVII e XVIII contro gli Ebrei.

Non dimentichiamoci della Shoah, della Conferenza di Wannsee del 1942 e delle leggi infami italiane del 1938. Non dimentichiamo nulla, se vogliamo che ogni popolo, ogni nazione faccia i conti fino in fondo con i propri fantasmi orrendi.

Questo direi anche alla speaker democratica del Parlamento americano Nancy Pelosi. Non tanto abbattere statue, ma migliorare la cultura degli Americani e dei giovani in particolare, cui, se non possono permetterselo con mezzi familiari propri, son dedicate scuole mediocri: quello che loro chiamano “liceo”, da quasi tutti frequentato, è solo la pallida ombra di un liceo classico o scientifico italiano o tedesco. La cultura media degli americani è scarsa, insufficiente. Loro parlano inglese e conoscono il computer, ma non hanno alba di storia dell’Europa (loro mamma e papà spirituale) e universale.

Prima di abbattere le statue di chicchessia, cari leader americani, abbattete la vostra ignoranza. Anzi, non solo gli americani, tutti, tutte le nazioni sono povere di conoscenza.

Ho letto le schede della Commissione Colao. Un buon lavoro propositivo, ma due cose: quali strutture gestionali saranno in grado di attuarle, anche solo in parte? Perché non si è sottolineato di più l’esigenza di una formazione antropologica ed etica? Non bastano i diagrammi psicometrici per cambiare, occorre la filosofia, caro dottore Colao! E a me ben poco caro prof Conte.

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Gentile Presidente Angela Merkel… (firmato: un cittadino italiano – aspirante europeo)

Il mio caro amico Romeo Pignat, stamane mi ha inviato quanto segue, autorizzandomi a pubblicare la sua lettera.

Nel Land (Assia) di un paese ricco, come la Germania, si suicida il ministro delle finanze, sopraffatto da una tempesta imprevedibile, non governabile, non pianificata. Intanto, da Paesi poveri, provvisori, ex comunisti, come l’Albania e Cuba, giungono aiuti all’Italia: la povertà sembra ancora capace di preservare la ricchezza forte della solidarietà e, parafrasando il presidente albanese Ilir Meta, quella riconoscente della memoria.  Un insegnamento per il nostro Occidente, con la sua forza apparente pervasa di profonda fragilità.

Ludwig van Beethoven

APPELLO ALLA GERMANIA, PER UNA SCELTA GIUSTA, GENEROSA E, FINALMENTE, RICONOSCENTE

Gentile Presidente Angela Merkel,

mi rivolgo alla sua coscienza e alla sua umanità, spinto da un sentimento d’impotenza e, insieme, da un autentico bisogno di cittadinanza europea. A Lei mi rivolgo, come passeggero di una nave continentale condotta ciecamente verso un iceberg prima del definitivo disgelo, mentre molti leader occidentali da diporto continuano a vagare intorno alla tragedia dentro gli sparsi yacht del potere: tanto più incomprensibile, quanto più commisurato alla miopia delle loro parole, a quegli stolti ciuffetti biondo-rossicci che offuscano la loro vista.   

Mi rivolgo a Lei, perché so che, più delle altre, le scelte sue e quelle del suo Paese potranno essere decisive, per il destino e per il senso futuro dell’Europa e del Mondo: se il destino può,  parzialmente, capitare; il senso va cercato, trovato, costruito insieme.

La Germania, nell’ultimo secolo, ha segnato il corso della storia europea. E ha anche perso, miseramente, due guerre, se in questi casi perdere o vincere può ancora significare qualcosa. Il suo Paese, Patria di Goethe, di Kant, di Beethoven, la Germania che ha saputo comprendere, accogliere, valorizzare la bellezza di Tiepolo nella Residenz di Würzburg, è lo stesso Paese che per due volte è sprofondato nell’abiezione, perché la sua cultura illuminata è stata sopraffatta da una hýbris, una tracotanza, un orgoglio smisurato che, con la “apoteosi” del nazismo, ha finito per soffocare il respiro della vita nell’efficiente allucinazione di un deserto di morte e di orrore. Eppure i due dopoguerra, per le loro differenze, potrebbero ancora insegnare qualcosa, per decidere con umanità e saggezza la strada giusta del terzo dopoguerra, quello dopo la lotta contro il Covid-19, che speriamo e contiamo al più presto di vincere.

Dopo la prima guerra mondiale, la Germania, colpevole d’imperialismo ma soprattutto di essere la prima Nazione tra i vinti, subì lo sproporzionato oltraggio del Trattato di Versailles che, come ha scritto Daniel Pennac, “ha fabbricato tedeschi umiliati che hanno fabbricato ebrei erranti che hanno fabbricato palestinesi erranti che hanno fabbricato vedove erranti incinte dei vendicatori di domani.” L’hýbris è stata covata lì, dentro la cella dell’umiliazione, dove anche il ricordo di Kant, di Goethe, di Beethoven sono stati sciolti da un sole malsano e artificiale. 

Dopo la seconda guerra mondiale, la Germania, colpevole del più esecrabile crimine mai commesso contro l’Umanità, è stata invece ammessa al tavolo di quell’Europa che, da italiano, penso con orgoglio essere nata dalla visione di alcuni ragazzi del nostro scapestrato Belpaese, capaci di reagire con serena nobiltà dentro l’esilio di Ventotene. La forza di quel pensiero giovane e generoso ha reso possibile l’impensabile, quasi il contrario di quanto era accaduto a Versailles: accanto agli italiani Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli, ai francesi Jean Monnet e Robert Schuman, al belga Paul-Henri Spaak, al lussemburghese Joseph Bech, tra i padri fondatori dell’Europa fu saggiamente “ammesso”  anche il tedesco Konrad Adenauer, che portò il suo contributo encomiabile e straordinario.

Non solo, dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989, alla Germania fu rapidamente concessa la dignità di riunificarsi. Allora condivisi con soddisfazione e speranza questa decisione, convinto che fosse un passo illuminato verso un futuro migliore. Dovremmo pentircene? Dovremmo pentirci di aver scelto, allora, la strada del “perdono” e della “comprensione”, piuttosto che quella della “umiliazione”, ripercorsa poi cinicamente a danno della nostra madre Grecia, come se la colpa di una ladresca gestione contabile fosse superiore a quella dell’Olocausto? La memoria corta, spesso, è una memoria stupida, che ci conduce a feroci ingiustizie e a inutili sofferenze.

Già nei prossimi giorni, spero che l’eterno feto dell’Europa cominci a vagire e a svezzarsi in modo sano, per affrontare con giustizia e coraggio il terzo dopoguerra: confido, allora, che si allarghi il respiro della memoria e il groppo delle umiliazioni subite inceppi quegli artificiosi determinismi finanziari della nostra “Comunità”, spesso sostenuti proprio dall’oblio e dall’egoistica indifferenza della Germania.

Per mia pigrizia e ignoranza ho sempre frainteso e odiato l’incipit dell’Inno tedesco, quel  famoso “Deutschland, Deutschland über alles, über alles in der Welt”. Poi, leggendo più attentamente il testo, ho capito cosa in realtà volesse significare: “Germania, Germania, al di sopra di tutto, al di sopra di tutto nel mondo, purché per protezione e difesa si riunisca fraternamente.” Ho capito che quelle parole, scritte nel 1846, aspiravano a una fraterna unità nazionale tedesca, superiore ai particolarismi di tanti piccoli stati che, allora, non ancora costituivano la Germania. Dopo la fiducia concessa come fratelli al popolo tedesco nel secondo dopoguerra, sarebbe bello sentire cantare anche qualcosa di nuovo e di nostro: “Europe, Europe über alles, über alles in der Welt”.

Mi rivolgo a Lei, gentile presidente Angela Merkel, perché sono convinto che oggi, come altre volte nel recente passato, il suo Paese possa avere un ruolo decisivo per il futuro dell’Europa e del Mondo: non solo e non tanto per combattere il male invisibile che ci affligge in questo momento, quanto per perseguire un bene visibile e necessario per tutta l’Umanità, che solo può cominciare dall’Europa, il Continente privilegiato. 

La risposta ai nostri bisogni, ora più che mai, non può essere ispirata soltanto dalle proiezioni dei grafici finanziari e degli istogrammi epidemiologici. È anche nella preghiera sommessa e solitaria di papa Francesco in piazza San Pietro. Nell’umiltà dei paria indiani senza casa che rispettano la quarantena appollaiati sugli alberi. Nella dolorosa dignità dei vecchi che muoiono soli e senza respiro nella “peste” di Bergamo, non periferia d’Europa ma centro vitale di economia, cultura, civiltà. Dove operano fabbriche innovative ed efficienti come quelle tedesche e dove la “provvisoria” misura italiana, il nostro senso del limite, ha saputo preservare dall’arroganza annientatrice di troppe guerre, la bellezza autentica di una meravigliosa città d’arte.

In un pianeta sempre più interconnesso e contagioso, c’è un solo modo per tentare di scrivere il prossimo futuro: volere quel futuro che fa bene all’Uomo, non sceglierne uno dei tanti che fanno bene soltanto a qualche categoria d’uomo. Altrimenti, le curve diversamente previste delle epidemie e delle finanze, saranno distorte e divelte da mostruosi focolai di umanità calpestate, di miserie, di ansie, di tensioni sociali più imprevedibili e devastanti del Covid-19.

La Germania, in questo momento di difficili scelte, può avere un ruolo positivamente decisivo.

La Germania ha (voluto e, ndr) perso la Prima Guerra mondiale e, slealmente, è stata messa nelle condizioni di perdere anche il primo dopoguerra.

La Germania ha provocato e perso la Seconda Guerra mondiale e, fraternamente, è stata rimessa in gioco dai Paesi europei amici nel secondo dopoguerra.

La Germania, oggi, può finalmente vincere la sua e la nostra guerra e, soprattutto, portare un contributo lungimirante per affrontare la sfida più difficile: il terzo dopoguerra mondiale,

confidando in Kant, Goethe, Beethoven.

Romeo Pignat,

cittadino d’Italia e aspirante cittadino d’Europa

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