In queste settimane/ mesi negli USA ferve un dibattito distinto e delineato su tre posizioni: la prima, detta pro-life, concerne la scelta per la vita, assolutamente contro ogni ipotesi di interruzione di gravidanza; la seconda, chiamata pro choice, riguarda la scelta libera che può portare anche all’interruzione di gravidanza; la terza, definita pro voice, si riferisce al diritto di ogni donna di fare una scelta libera, senza condizionamenti e/o manipolazioni che la costringano in qualche senso, in qualsiasi senso.
In Italia c’è addirittura – come sempre – ancora più confusione e polemica politica e mediatica. La stampa, i media in generale e la politica, al di là delle legittime e anche utili differenze di opinione, registrano una sostanziale incapacità teorica, culturale, di affrontare il tema (che è anche problema, si tenga conto della differenza semantica tra i due termini – problema che dice inciampo, difficoltà e tema che dice argomento– che spesso sono erroneamente utilizzati come sinonimi).
E’ difficile, quasi impossibile, ascoltare o leggere opinioni fondate su riflessioni di carattere antropologico e morale, riflessioni capaci di collocare il tema della scelta di abortire, di non abortire, o di ottenere un figlio in qualsiasi modo, in una cornice di ragionamento completa, che tenti di tenere in considerazione tutti gli aspetti connessi, da quelli riguardanti le scelte valoriali e morali individuali, passando per quelle culturali e politiche, fino a quelle relate al tema demografico e al tasso di fecondità nazionale, e alla sua formidabile differente distribuzione nel mondo, ad esempio tra Europa e Asia/ Africa.
La valenza etica di queste tematiche è immensa, come si può ben concordare, mentre l’argomento può essere trattato in diversi modi, da quello prevalentemente accademico e scientifico ivi comprendendo gli aspetti medici, giuridici, politici e sociologici, a quello etico e valoriale, fino al modo più dialogico ed empatico. Ed è il modo che in questa sede ho scelto, ovviamente “sullo sfondo” delle mie convinzioni etiche, per affrontare il tema, al fine di non attizzare – se pure nel mio piccolo – il fuoco sulla polemica, assai facile in questi casi.
Proverò a scrivere una lettera a ciascuna delle donne o madri che si riconoscono in ciascuno dei tre “modelli” sopra distinti.
Cara signora che hai deciso di abortire, e che sei tormentata nel cuore e nella mente… ti sono vicino come un fratello. Ti sono vicino, perché sei una persona, che vale come me e come ogni altra persona umana di questo mondo. Ti sono vicino perché immagino che tu non stia molto bene con te stessa, che tu sia pensierosa su di te, su chi ti è vicino e sulla scelta che hai deciso. Immagino che decidere possa essere stato per te molto difficile. Penso che tu sia stata tormentata per diversi giorni fino a che, per qualche motivo che neppure mi permetto di chiederti, hai deciso… Ho sentito da voci circostanti che una delle ragioni della tua decisione è stata anche questa: “come fai a mettere al mondo un bimbo in un mondo del genere?” Mi chiedo: in che mondo? Forse che i “mondi” precedenti, magari quelli del XX o del XIX secolo, erano migliori?
Cara signora che hai deciso di tenere il tuo bambino, e già pensi agli impegni grandi che ti toccheranno per anni… ti sono vicino come un fratello, perché so quanto sia difficile tirare su un figlio. Ti sono vicino perché immagino quanti momenti di sconforto incontrerai e quanto stanca moltissime sere sarai. Sono con te perché sei una sorella nella genitorialità, di questi tempi difficili, in una situazione che non ti aiuta sempre a pensare al futuro con equilibrio e con un ragionevole grado di fiducia. Ti sono vicino nella speranza di potercela fare e nella fede che ciò accadrà. Vedi come qui si citano due delle tre virtù teologali, fede e speranza, perché la carità, la terza, non finisce mai, in quanto è sinonimo dello stesso amore che ci hai messo nella scelta di avere un figlio e di tirarlo su, finché sarà compito tuo.
Cara signora che non sai ancora che cosa decidere, e stai valutando sballottata tra sentimenti contrastanti e parole che senti non sempre opportune ed equilibrate, consigli pro e contro, valutazioni su e per… ti sono vicino come un fratello, perché sei nell’incertezza. Ti sono vicino perché ascolti mille tesi che si scontrano e ti sconcertano senza requie, e lo devi fare perché vivi nel mondo come me e incontri tante esperienze differenti e anche contraddittorie. La ricerca della tua verità di vita, in questo momento, passa per la scelta se (provare ad) avere un figlio, o meno. Si tratta di una ricerca nella quale, mi permetto di dire per esperienza, occorre mettere davanti a sé con chiarezza tutto, positività e negatività che conosciamo di noi stessi, perché se il fine è quello di diventare genitore, nel momento in cui la nuova vita ti farà visita, dovrà essere messa al primo posto, nella tua vita. Non sempre, te lo dico con sincerità, io stesso sono stato in grado di rispettare questa Legge di natura, che è semplicemente umana.
Inoltre, due ultime brevi lettere voglio scrivere, la prima a una donna che vuole essere madre a tutti i costi, anche chiedendo a un’altra donna di diventarlo per lei, biologicamente, la seconda a quella donna che vorrà, dovrà (?) accettare di essere disponibile.
Cara signora che vuoi essere madre a tutti i costi, anche al costo di incaricare una tua simile a partorire per te. Qualche domanda. Sono d’accordo che se si adotta un figlio da un orfanotrofio lo si ama come se fosse proprio (esperienza della mia famiglia). Perché dunque desideri che nasca un bambino da un’altra, provenendo da due gameti altri, la cui origine sarà: per il “padre” tenuta rigorosamente nascosta, perché gamete deposto in un’agenzia specializzata, e circa la madre idem, anche se la “madre” accogliente dovrà certamente conoscere la “madre” donante. Che cosa potrà pensare un figlio nato da un’altra madre biologica e da un padre-gamete, nel momento in cui comincerà a farsi delle domande? Cara “madre-che-accoglie” il figlio d’altra, forse che nasconderai per sempre quanto accaduto, a tuo figlio?
Cara signora che “presti” (non voglio dire “affitti”) il tuo corpo per partorire per altri, che cosa te lo fa fare? Il bisogno? Un illustre giurista italiano ha scritto recentemente che la legittimità di una “gravidanza-per-altri” è moralmente analoga alla donazione di un organo sano a chi lo ha irrimediabilmente ammalato: un cuore, un fegato, del midollo osseo, per il citato giurista, sarebbero come un figlio nato da altra. Non sono d’accordo, perché un essere umano non è comparabile a un organo di un essere umano, perché è un vivente cosciente, mentre un organo è una sua parte, che non vive se non dentro l’intero.
In questo caso, filosoficamente, non si dà autosimilarità, vale a dire che la parte non rappresenta il tutto. E di conseguenza, a me pare, ciò sia un illecito morale e dovrebbe essere, per tutti, un illecito giuridico e quindi un reato.
La maternità surrogata o gravidanza per altri, o utero in affitto (horribile dictu, che rinvia alla legislazione sulle locazioni immobiliari) non può essere legittimata da alcuna aspirazione alla genitorialità, perché, diciamolo chiaramente: avere un figlio NON E’ un diritto, ma un desiderio che può diventare DONO.
Infine, il tema delle adozioni è una delle connessioni pratiche e operative a quanto sopra trattato. Quando un bambino deve venire al mondo o è già venuto al mondo, innanzitutto DEVE essere (comunque e in ogni caso) riconosciuto e registrato. Sull’adozione di coppie omosessuali ho già scritto più volte e non mi ripeto. Dico qui, ancora una volta, che non la condivido, per ragioni che ho spiegato in altri scritti.
Il 27 Marzo 2023 è mancato all’improvviso Gianni Minà, si legge, di un male cardiaco.
Lo conoscevo di fama televisiva e giornalistica fin da quando ero ragazzino. Visibile, inconfondibile, particolare, quell’ometto dal baffo furbetto e dal capello lunghetto. Dalla voce, anch’essa, inconfondibile.
La pietas per chi non c’è più viene prima di tutto. Quando muore qualcuno, chiunque, si fanno sempre i bilanci orientati al bene, alle capacità, all’unicità, all’eccezionalità del defunto. Ed è normale. Quando la morte accade, come insegnava Epicuro, non c’è più nient’altro… di chi chi muore. Solo un corpo che non ha più vita, il suo soffio, la coscienza, il pensiero. Quello che Rovelli spiega essere quasi l’effetto del vento solare e di altre “cose” fisiche. Mah, solo questo? Boh.
Ed è ciò che ha fatto, quest’uomo. Quello non scompare, quello è “eterno” come ha insegnato Emanuele Severino. Da un punto di vista metafisico, se si riconosce la plausibilità di questo sapere, il filosofo di Ca’ Foscari non può avere torto, come pensano sia taluni che ritengono amenità le dottrine di Platone. Ciò che è stato e che ha fatto Minà non smetterà mai di essere-stato-fatto, ed appartiene, a questo punto, all’eternità di ciò che ha fatto, agli “essenti” che sono ciò che ha fatto. Gli “essenti” non passano, come passa la vita.
Certamente empatico, anche troppo, perché l’empatia non può essere tale da far identificare, pressoché, l’interrogante e l’interrogato. Certo, il dialogo, come insegnava il solito Platone, quello dai pensieri strani, è naturaliter aperto-all’altro, ma non può e non deve essere con-fusivo, cioè confondente A con B. Nel caso di Minà questo mi è sembrato accadere in più casi, come in quello dell’intervista a Fidel. 16 ore di quasi pura adorazione, mi si dice da parte di chi, persona fededegna, ha ascoltato l’intera intervista. Non so se questo sia proprio il miglior giornalismo. Certamente il giornalista può anche parteggiare per l’intervistato o tifare per una squadra, ma è preferibile lo faccia con più discrezione che passione.
Le altre interviste, quelle a Pantani, a Muhammad Alì-Cassius Marcellus Clay, il Dalai Lama, Pietro Mennea, le ho viste quasi integralmente. Buone, molto buone, ma con un pizzico di servilismo sottile che mi ha sempre dato un po’ di fastidio.
Minà è stato certo un grande giornalista, pieno di risorse e coraggioso, ma ha anche avuto al massimo grado l’istinto di riflettersi nel suo ospite, perché quello è il mestiere del giornalista, quello di vivere di luce riflessa.
Mi permetto di mettere giù questo saggetto divulgativo pensando ai miei lettori più giovani, che poco o nulla sanno di questi ultimi sessanta/ settanta anni di storia patria.
Non sarà un testo scientifico, perché non ne ha la pretesa, né io sono precisamente uno storico: la mia prospettiva sarà dunque politologica e sociologico-antropologica, su uno sfondo etico-filosofico.
Per poterne parlare con lo stile annunziato, riporto di seguito – integralmente – il titolo del pezzo. Ne commenterò solo una parte.
C’è un’Italia meravigliosa, ricca, intelligente, onesta, laboriosa, quella della storia, della letteratura, della musica, dell’arte, del pensiero, della solidarietà, dello spirito che, nonostante tutto prevale, ma c’è anche un’Italia marcia, oscura, terribile, anche perché (ancora) solo parzialmente svelata e conosciuta: se partiamo dagli anni ’50 cominciamo con il citare il cosiddetto “caso Montesi”, e poi la morte strana di Enrico Mattei, il “Piano Solo” e la strage di piazza Fontana, il (tentato) golpe Borghese, il terrorismo di sinistra e lo stragismo di destra sui treni e alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, l'”affaire Moro” dalle sue premesse a via Fani, a via Caetani, etc., la P2, la morte improvvisa di papa Luciani, la tragedia di Ustica, il cosiddetto “mostro di Firenze”, la scomparsa (sempre meno misteriosa) di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, l’attentato a papa Wojtyla, le stragi di Via d’Amelio e di Capaci, i Servizi deviati e la Banda della Magliana, Sindona, mons. Marcinkus e lo IOR (la Banca Vaticana), l’omicidio Pecorelli, e la morte di Roberto Calvi sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra, tacendo di parecchie altre… molte delle quali sono connesse a quelle sopra citate.
C’è infatti un filo nero e rosso che collega in qualche modo un po’ tutte le vicende che ho elencato, come se una mente malvagia avesse armato tante mani altrettanto malvagie.
Vi sono episodi, come la morte di Mattei e la strage di Ustica che non hanno ancora trovato, a quasi sessant’anni e a oltre quaranta – rispettivamente – alcuna conclusione chiarificatrice ufficiale, anche se si sa che l’aereo Itavia, con ottantuno passeggeri a bordo, decollato da Bologna e diretto a Palermo, fu abbattuto quasi certamente da un missile Exocet dell’aeronautica militare francese, e probabilmente da un Mirage 2000, che stava inseguendo dei Mykoian–Mig 25 libici, forniti dall’Unione Sovietica, uno dei quali fu trovato abbattuto sulla Sila; mentre il piccolo jet sul quale viaggiava Mattei, che era inviso alle cosiddette “Sette sorelle” del petrolio, Shell, Total e Bp in testa (Olanda, Francia e Gran Bretagna), per il suo legittimo attivismo con i Paesi arabi del Vicino oriente al fine di dar valore alle attività delle società energetiche italiane Agip e Eni, cadde per un guasto a qualche decina di minuti dal decollo.
Che dire dell’immensa letteratura che si è sviluppata attorno al “caso Moro”, dei tre processi, delle testimonianze, delle connivenze, dei silenzi, del commando assassino di via Fani (da chi era veramente composto, Morucci? Solo da lei e dai suoi compagni più o meno in seguito resipiscenti?)?
Perché si è impedito che il PSI di Bettino Craxi, Signorile e Martelli continuasse a provare la strada della trattativa con le BR? Anche recentemente l’on. Claudio Signorile, che nel 1978 era vicesegretario del Partito Socialista, in quota “sinistra lombardiana”, ha spiegato in una intervista che tramite il suo conoscente (amico? non so se, e fino a che punto…) Franco Piperno, docente di fisica in Calabria e uno dei capi di Potere Operaio, avrebbe potuto avere contatti con il gruppo (posso dire “riformista” o “gradualista” o “moderato” delle Brigate Rosse?) di Valerio Morucci e della sua fidanzata di sempre Adriana Faranda, per trovare una via d’uscita per il Presidente Moro? E chi è stato il più severamente inflessibile? Andreotti, Cossiga (mi vien da dire con un po’ di rabbia, poverino), Berlinguer, Ugo La Malfa? Che voleva un’immediato ripristino della pena di morte per i brigatisti per “Stato di guerra”, misura che non si sarebbe potuto costituzionalmente assumere, come ebbe a spiegargli Cossiga, che era un valente giurista. D’accordo con La Malfa si dichiararono, allora, il combattente della Resistenza Azionista Leo Valiani, e anche il Presidente Pertini non pareva contrario. D’altra parte il compagno Sandro aveva, per parte sua, accettato la sua condanna a morte, poi evitata con una rocambolesca fuga da Regina Coeli, una cum Saragat, auspice il compagno Giuliano Vassalli e un medico connivente con il partigianato romano, e aveva in qualche modo partecipato alla decisione del CLN Alta Italia per la fucilazione immediata del Duce, una volta arrestato. Dongo e Giulino di Mezzegra furono decisioni, certamente del compagno Luigi Longo, ma anche sue. Anche sugli esecutori materiali c’è stato contrasto tra l’ipotesi che sia stato il “colonnello Valerio”, cioè Walter Audisio o altri, forse anche inglesi (o giù di lì).
Et de hocargumento, satis.
Quanto dava fastidio Aldo Moro ad Americani e Sovietici? Quanto la sua strategia (di lungo periodo) di completamento del coinvolgimento della parte produttiva italiana e delle sue storiche rappresentanze, collideva con quelle menti e quelle mani malvagie che ho citato supra?
In tema suggerisco al mio solerte lettore di cercare sul web (you tube) l’ampio servizio curato dal giornalista Andrea Purgatori e l’intervista a Francesco Cossiga, che tanta parte ebbe nella vicenda.
E sull'”album di famiglia” delle Brigate Rosse? Per quanto tempo la sinistra storica (il PCI) e quella extraparlamentare scrissero e dissero che le BR non erano di sinistra, ma esaltati killer fascisti? Fu la meravigliosa compagna Rossana Rossanda che scrisse chiaro e tondo che le Brigate Rosse appartenevano alla grande famiglia della sinistra storica. Si ascolti qualche video intervista del co-fondatore (con Renato Curcio e la moglie di questi Margherita “Mara” Cagol) Alberto Franceschini, figlio e nipote di partigiani emiliani, in gioventù iscritto alla Federazione Giovanile Comunista, per capire che-cosa-erano le BR, peraltro mossesi – in modi anche molto diversi (si pensi al cosiddetto “movimentismo” assassino del professor Giovanni Senzani) – per quasi trent’anni, dal breve rapimento del dirigente Siemens ing. Amerio (il volantino di rivendicazione diceva “rapirne uno per educarne 100”, maoisticamente), che è del 1974, se non ricordo male, alla crudelissima uccisione del professore Marco Biagi, economista e giurista del lavoro dinnanzi all’uscio di casa. Intellettuale socialista e cristiano, uomo buono, come Moro.
Anche il professor D’Antona subì la stessa sorte, ed era un uomo del Partito Democratico di Sinistra. Così, senza – grazieadio – morirne, ebbe sorte analoga il famosissimo giurista professore Gino Giugni, che ebbi modo di conoscere personalmente (a Roma, bevendo un caffè con Giorgio Benvenuto, in una pausa di un convegno nazionale della Uil, quando ero segretario regionale di questo sindacato e componente della Direzione nazionale), “padre” dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori, almeno due decenni prima. Le BR erano di una sinistra radicale (cf. il pezzo precedente su questo blog) che non accettava gradualismo, moderazione, condivisione, ricerca dell’accordo tra le parti sociali, e pretendeva di rappresentare le classi “subalterne” con la violenza e senza avere ricevuto alcun mandato. Per presunzione, superbia, orgoglio spirituale? Sì, un sì grande come una casa. Infatti, nonostante siano riuscite, con altre formazioni similari a terrorizzare l’Italia per trent’anni, alla fine sono finite.
Potrei approfondire il tema per conoscenze dirette di varia natura di questo tema, ma preferisco fermarmi qui. Ritengo opportuno solo dire che ai tempi di quando anche dalla mie parti questo movimento si stava radicando a partire da gruppi di “autonomi” (che erano la sinistra della sinistra extraparlamentare), essendo io quello che sono ancora, un socialista moderato cristiano, venivo accuratamente evitato da qualche mio amico che stava prendendo una brutta strada. Anche su queste tristi italianissime vicende consiglio di cercare qualche video, dove gli ex brigatisti si raccontano, o con lo stile freddo e “politico” di un Mario Moretti, oppure con la commozione sincera di Franco Bonisoli. “Uomini” delle brigate Rosse, come ebbe a chiamarli il grande papa Paolo VI. Uomini, come te e come me, come gli altri eversori e come le loro vittime.
Antropologicamente (lo dice la parola stessa!), uomini, fatti come il dottor Karl Marx non ha mai capito (o non ha voluto capire): commistione inestricabile di bene di male, laddove il male non è mai banale, cara Hannah Arendt!
E delle “cose di destra”? quella eversiva dei Nar e di altre formazioni, come Ordine nuovo. Come hanno potuto nascondersi dietro terrificanti stragi, riuscendo a non farsi “beccare” per anni? …magari per poi ricomparire a distanza di tempo, tipi come Massimo Carminati, amico di Fioravanti, e anche dei banditi della Magliana, e anche di cooperatori “regolari” come Buzzi.
Che cosa può pensare un teologo come me delle segrete/ secretate vicende vaticane, dalla morte strana di papa Luciani, all’attentato a Giovanni Paolo II, al rapimento di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, del comportamento di mons. Marcinkus e dei suoi rapporti con il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi?
Che cosa pensare del ruolo e dei rapporti di Enrico De Pedis “Renatino”, il leader dei banditi del Testaccio della Banda della Magliana con esponenti e prelati vaticani? Forse che Emanuela fu rapita per farsi restituire denari prestati allo IOR (Istituto Opere di Religione, la banca del Vaticano) dalla mafia tramite i banditi romaneschi? Come fa il “recuperato alla ragione” Antonio Mancini, sempre di quel conglomerato di criminali, a sapere tutte le cose che dice nelle interviste che ognuno di noi può trovare sul web? Io lo trovo sincero, ma resto sconcertato.
Come è stato possibile che quattro contadini o postini ultra sessantenni “sderenati” (termine friulano per dire senza arte né parte), intendo i Pacciani, i Lotti, i Vanni, i Faggi e le loro amiche compiacenti (peraltro oramai tutti deceduti), abbiano ucciso in un paio di decenni otto coppie di giovani che si erano appartati nei dintorni di Firenze, senza che gli inquirenti riuscissero a fondare delle prove inconfutabili per le quali le verità processuali potessero finalmente coincidere con le verità fattuali? In che misura e senso c’entrano le famiglie del medico Vannucci da Perugia e del farmacista fiorentino? Personalmente ritengo che i sopra citati c’entrino in parte, e certamente meno di qualche personaggio di ben altra collocazione sociale.
Continuo con le domande…
E se dovessimo interessarci delle connessioni fra mafia e politica, che cosa ne uscirebbe? Forse non solo le ipotesi infondate di un Ingroia (che strana fine professionale e politica per un magistrato che sembrava sulla cresta dell’onda, ma altrettanto è accaduto a Di Pietro: chi troppo vuole e ciò che segue...).
Ma le vicende che hanno portato alle crudelissime morti di Falcone e Borsellino dicono di coperture e indicibili rapporti… Chi ha raccattato con gesto furtivo la famosa agenda rossa del dottore Paolo? Per farne che? Per portarla a chi? Come mai l’uomo di Castelvetrano ha potuto latitare per tre decenni, rimanendo quasi sempre nella sua grande Trinacria?
Chi ha chiuso uno, due, tre, quattro, decine di occhi, in modo da permettere che per mezzo secolo mafia, camorra e n’drangheta imperassero su un terzo dell’Italia e ne invadessero anche la restante parte? Come faceva un Salvo Lima a stare seduto vicino al “divo Giulio” al Congresso della Democrazia Cristiana e poi in “patria”, laggiù nella più bella terra del mondo, accompagnarsi ai “dazieri” fratelli/ cugini Salvo e compagnia sparante?
Chi, chi, chi? Perché? E la domanda filosofica per eccellenza resta ancora senza risposte soddisfacenti.
Il (non l’, ooh, distrattucci scrittori di documenti di lavoro) R.S.P.P. (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, cerca di imparare l’acronimo, lavoratore che mi leggi!) di un’azienda manifatturiera del Nordest assai importante, mi racconta che un preposto, a fronte di una sua (del RSPP) opportuna, utile, necessaria e obbligatoria segnalazione di una mancanza di vigilanza in tema di sicurezza del lavoro, si è sentito rispondere che (allora) anche il RSPP avrebbe dovuto provvedere a mettere a posto un’altra “cosa” della sicurezza…
…come se si trattasse di un piccolo mercanteggiamento tra due carenze/ mancanze/ omissioni: se non mi metti a posto quella cosa io non mi occupo di quelle che mi stai segnalando. Più o meno. INFANTILE (ed è dire poco).
Il tema della sicurezza del lavoro NON è una moda e NON è un… lavoro. Bisogna che questi due concetti entrino nella testa delle persone. Sono assertivo e poco filosofico, perché me ne occupo e conosco i sentimenti e i meccanismi del “settore”. Come presidente di organismi di vigilanza sono stato coinvolto recentemente da due “mancati-infortuni-mortali”. Tecnicamente così si chiamano e vanno registrati da chi si occupa di sicurezza in azienda, cioè il R.S.P.P., e devono essere presi in considerazione anche dal Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (il R.L.S.) e dalla Direzione aziendale, nonché da chi si occupa di Risorse umane.
Dove è stato istituito il Modello Organizzativo e Gestionale (M.O.G.) previsto dal Decreto Legislativo 231 del 2001, ed opera – secondo la Legge – un Organismo di Vigilanza (O.d.V.), ove accada un infortunio e anche un “mancato-infortunio”, detto Organismo deve essere informato per iscritto insieme con gli Enti aziendali sopra descritti. Questo Ufficio, autonomo e giammai eterodiretto da alcuno, pena la decadenza di ogni sua efficacia de facto et de iure, si muove immediatamente verso i vertici aziendali scrivendo un verbale contenente un giudizio sull’accaduto ed eventualmente dei suggerimenti per migliorare l’organizzazione e la gestione degli aspetti rilevati carenti.
Ogni lavoratore e ogni preposto è tenuto ad osservare le regole della sicurezza, senza chiedersi se altrettanto fanno anche gli altri e, se lo riscontrasse dovrebbe farsi parte diligente per far osservare garbatamente l’obbligo di tutela e di autotutela sempre e comunque, senza far gare a chi è più furbo.
Ricordo qui al lavoratore e al preposto che in Italia vige una legislazione forte in tema di tutela della sicurezza del lavoro, che ha inizio fin dalla metà degli anni ’50, con i Decreti legislativi 547 sull’antinfortunistica del 1955 e con il 303 del 1956 sull’igiene del lavoro; ricordo il famoso Decreto legislativo 626 del 1994, e il Testo Unico contenuto nel Decreto legislativo 81 del 2008, con le integrazioni del Decreto 106 del 2009. Non si dimentichi l’articolo 9 dello Statuto dei diritti dei lavoratori del 1970, Legge 300, né regolamenti e norme territoriali e aziendali che pure vigono.
Ogni lavoratore, nessuno escluso, anzi ogni addetto, dal giovane appena assunto all’amministratore delegato, tutti, sono tenuti al massimo di attenzione per la tutela della salute e sicurezza di sé stessi e dei colleghi.
Ogni altro commento del tipo: spetta a te spetta a me, guarda lui che non lo fa... sono chiacchiere. Talvolta pericolose.
Una quaestio disputata, come avrebbero detto/scritto Tommaso d’Aquino, Alberto di Colonia, suo magister, o Johannes Meister Echkart, docente alla Sorbonne, abbastanza imbarazzante, sia sotto il profilo morale, sia sotto il profilo socio-educativo, sia sotto il profilo civile e penale, per quanto – generalmente – si tratti di atti di non eccezionale momento criminale, ma comunque assai fastidiosi, specialmente se perpetrati nei confronti di cittadini fragili come egli anziani, che non vengono “esentati” dagli “attacchi” come obiettivi, anzi, al contrario sono spesso preferiti, proprio perché maggiormente indifesi e di facile approccio.
Nel nostro tempo, almeno da mezzo secolo, la sociologia come scienza “a-valutativa” o quasi meramente descrittiva, ci ha spiegato che tutto ciò che accade nella società è prevalentemente generato dalla… società stessa, come soggetto collettivo. Ovviamente, tale descrittività possiede intrinsecamente una robusta valenza politico-morale, poiché mette obiettivamente “a lato” o tra-parentesi la responsabilità personale-individuale di atti liberamente compiuti. Poniamo pure che il disagio generato da azioni sbagliate nasca dalle ingiustizie sociali, per cui consegue che, se la politica riuscisse a rimediare alle ingiustizie, magari solo come effetto secondario (se pure utilissimo), otterrebbe un miglioramento delle relazioni sociali, inter-soggettive, intergenerazionali, e infine una drastica riduzione della criminalità, a partire da quella minore.
Si potrebbe commentare in questo modo: magari fosse così, ma non è così, ed è facilissimo provare a individuarne le ragioni con un esempio semplicissimo come il seguente: a parità di condizioni sociali di disagio si hanno esiti molto spesso assai differenti: da una famiglia disagiata può uscire un giovane che diventa facile preda di esempi delinquenziali e vi aderisce, e un suo fratello che, invece, decide di percorrere una strada radicalmente diversa, positiva, di impegno, di lavoro, di studio, di crescita personale e professionale. Nel caso esposto, si può trattare di due fratelli, che possono essere perfino gemelli monozigoti. Ciò spiega con chiarezza come le componenti filogeneticamente generative di esiti eticamente positivi o negativi attengano anche ai caratteri delle persone singole, non solo alle condizioni economiche. Questo ragionamento già spiega la ragione per cui più sotto esprimerò una critica severa alla presa di posizione della consigliera comunale del PD milanese, Monica Romano.
Riporto un brano giornalistico che attiene alcuni fatti accaduti recentemente a Milano.
“Sembrava talmente assurda la notizia che in tanti non ci hanno creduto. «Sarà un profilo fake», «sono andato a controllare, non può essere vero» i commenti che giravano ieri su Twitter. E invece. La consigliera comunale del Pd a Milano Monica Romano è scesa in campo giorni fa per difendere la privacy delle borseggiatrici rom, filmate da un gruppo di volontari che ha creato una «squadra anti borseggi» e diffonde sulla pagina social «Milanobelladadio», seguita da oltre 171mila follower, immagini e video delle ladre seriali, per allertare i passeggeri. «É squadrismo. La smettano, sia quelli che realizzano i video, sia chi gestisce i canali Instagram che li rendono virali, di spacciare la loro violenza per senso civico».
Il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini ieri ha twittato: «Anziché premiare chi aiuta lavoratori e cittadini che ogni giorno rischiano di essere derubati, la priorità della sinistra a Milano e a Roma è proteggere la privacy dei delinquenti. Incommentabile». E pure per il deputato di Azione-Italia Viva Ettore Rosato è «incredibile. Fra poco proporrà di processare le vittime dei borseggi?». L’autrice, appena eletta nell’assemblea nazionale del Pd, ha ribadito invece che «giustificare la giustizia privata è inaccettabile. Nessuno qui nega che esista un problema di sicurezza a Milano, la soluzione non è filmare i volti di queste persone, spesso minorenni, per poi diffondere i video su canali che hanno centinaia di migliaia di visualizzazioni. Non siamo nel far west. Se fanno video li consegnino alle forze dell’ordine».
Non è stata contestata solo da politici del centrodestra. É stata travolta da commenti di elettori PD («prendersela con chi filma i criminali anziché coi criminali è veramente deludente»), ironie («quando organizzate una fiaccolatadove sono i sindacalisti dei borseggiatori?») e vittima di insulti da parte di hater. Il PD si schiera con Romano, minaccia querele, azioni civili e penali: «Piena solidarietà alla collega bersaglio di una campagna di odio nata da un post sulla sua pagina Facebook in cui si limitava a chiedere che le autrici di borseggi non fossero messe alla pubblica gogna», un «richiamo giusto che nulla toglie alla determinazione nel perseguire i reati ma che pone l’attenzione su modalità comunicative pericolose, che possono generare altra violenza e senso di insicurezza, promuovendo l’idea di una situazione incontrollata e di una giustizia fai da te». Chiude garantendo che «la nostra parte la stiamo facendo fino in fondo, semmai è il governo a dover battere da anni un colpo sul potenziamento delle forze dell’ordine in città». Non fosse che negli ultimi anni al governo per 6 anni in varie sfumature c’è stato il PD. E non servono i video sui social ad alimentare il senso di insicurezza, giusto ieri il sindacato Rsu denunciava che per gli addetti in servizio alle stazioni della metropolitana milanese minacce e aggressioni «sono diventate una routine».
Il caso ha scaldato ieri anche il Consiglio comunale, i dem che hanno preso la parola in aula per difendere la collega hanno screditato il canale social («ha un ritorno economico», «è connivente con il centrodestra», «fa solo danni, peggiora l’immagine della nostra città»). Il consigliere FdI Marco Bestetti avrebbe gradito «almeno un tentativo di equilibrio da parte di Romano, non avrei mai immaginato che un consigliere si ergesse a sindacalista delle ladre rom, attaccando solo chi mette in guardia le vittime».”
Dico la mia: se, ovviamente, sono contrario a “giustizieri” à la Charles Bronson (poi bisogna vedere, de facto, a come uno può reagire se dei criminali gli ammazzano la famiglia, se si limita a chiamare i Carabinieri…), quello che mi dispiace e mi disturba è la visione quasi unilaterale, indulgente e comprensiva che traspare dai toni usati dalla consigliera milanese, e dal paventare conseguenze per chi dovesse reagire ai furtarelli con destrezza. Faccio un esempio. Se la vittima, invece di essere una pensionata settantacinquenne, ben scelta dalle ladruncole, si fa per dire, perché resa lenta dall’età e facilmente spaventabile, la “vittima” è un cinquanta/sessantenne allenato alle arti marziali, che con una mossa di judo, senza farle male, mette in condizioni di non nuocere la bambinotta, che conseguenze dovrebbe patire questo signore?
Io ho qualche dubbio che possano configurarsi estremi di reato, perché si tratterebbe di una reazione proporzionata e non destinata ad offendere, quella del judoka. Non si tratta mica di lodare operazioni come quelle della polizia americana, che pare essere fuori controllo in molte situazioni.
Non dimentichiamo che vige, sia in morale sia in punto di diritto, il diritto sacrosanto alla legittima difesa, per cui, se una/o cerca di derubarmi, io resisto e, se posso, cerco di divincolarmi dal rischio, anche spintonando l’aggressore. O non vale più, cara consigliera? Peraltro la signora consigliera milanese minaccia di denunziare non tanto chi dovesse predicare o praticare le vie di fatto reattive, ma chi cerca di documentare questi fatti per fornire una documentazione probatoria alle polizie. Mi sembra che il principio di tutela della privacy delle ladruncole non possa prevalere sul principio di tutela dell’integrità psicofisica del cittadino, perché uno strattone violento a una signora e o a un signore anziani li può far cadere per le terre con il rischio prossimo di rottura di qualche arto. Magari il femore. Viene prima, in una scala morale, la tutela della privacy o la salvaguardia di un femore già cagionevole per densitometria?
Questo per quanto concerne la concretezza di quegli eventi da strada.
E veniamo agli aspetti etico-sociologici, pedagogici e di diritto. E’ evidente che una delle cause generative di quel fenomeno criminale è da collocarsi negli ambienti che li producono, nelle famiglie delle ragazzine, nell’educazione che (non) ricevono, nelle loro esperienze di vita. Ecco: se però l’ambiente che le “produce” è tendenzialmente o realmente insensibile alla cultura del rispetto della proprietà e soprattutto dell’integrità psico-fisica altrui, è evidente la difficoltà di accedervi con strumenti educazionali e pedagogicamente adatti.
L’ente locale e le forze di polizia devono allora impegnarsi primariamente nella ricerca di quelle famiglie per ottenere il rispetto dell’obbligo educativo di legge, entro il quale vengono proposti i valori principali della convivenza civile, e poi anche procedere nella vigilanza e, ove necessario, nel contenimento di quei “reati” (virgoletto in quanto formalmente non sono reati penali quando commessi da minori).
La politica e il legislatore debbono, nel contempo, emanare norme che contengano, sia la parte construens dell’educazione morale e civica, sia la parte di prevenzione del rischio per tutti i cittadini, comprese le ragazzine che, forse inconsapevoli, anch’esse si sottopongono a dei rischi.
Per non sbagliarmi citerò – virgolettando – l’articoletto pubblicato oggi, 11 Marzo 2023, sul Currierun de Milan.
“(omissis) …prova a riscrivere la toponomastica: il Comune di Bologna ha deciso di uniformare i sottotitoli dei toponimi cittadini dedicati agli uomini e alle donne che fecero la Resistenza lasciando solo i termini “partigiano” o “partigiana” e togliendo tutte le altre denominazioni a partire dal termine “patriota”.
La motivazione ufficiale è che c’era bisogno di uniformità (chissà perché? ndr), ma è chiaro che dietro c’è il tentativo maldestro di eliminare una parola, patriota, che oggi è utilizzata, a volte strumentalizzata, dai militanti di Fratelli d’Italia. E’ lo spirito (idiota, ndr) del tempo: sui social ci sono parlamentari di FdI che postano la foto di Meloni augurando una “buona giornata ai patrioti”, ma la risposta non sta nel cancellare la parola sotto ai nomi di chi ha combattuto il nazifascismo.
Per dirla con lo storico Luca Alessandrini, la parola ha radici profonde nella sinistra risorgimentale (Mazzini, Garibaldi, Nievo…, ndr), e magari sarebbe utile ricordare che la rivista dell’Anpi si chiama Patria indipendente. Ai tempi in cui governava il sindaco Guazzaloca circolava una battuta: “Quando non hai progetti da approvare in giunta, cambia i nomi alle vie, se ne discuterà per mesi“. Non è questo il caso di Lepore, ma per diventare la città più progressista d’Italia, non serve pasticciare con la storia.”
Condivido e sottoscrivo ogni parola e ogni riga dell’articolo qui riportato, aggiungendo solo che, veramente, ogni giorno che viene pare avere la sua sorpresa inadeguata, quand’anche ridicola, e a volte, come in questo caso, storicamente e moralmente offensiva. Chissà se vi sarà qualche buona persona, e intelligente, della sinistra bolognese, che si voglia opporre a questa autentica imbecillità. Dico subito che c’è, io so che c’è!
Lo so, in buona compagnia, non solo del Professor Luca Alessandrini, ma anche del Professor Giovanni Orsina, e di chissà quanti altri saggi cittadini bolognesi di quella sinistra democratica e gradualista di cui Bologna va giustamente fiera, come chi mi ha scritto in tema.
Mi chiedo anche se il saggio compagno Bonaccini abbia condiviso la scelta. Ne dubito fortemente. Forse lo condivide chi lo ha “battuto” alle primarie del PD, ma non ne sono del tutto convinto, perché attribuisco alla neo Segretaria qualche discreta facoltà di riflessione, se non altro perché giovane e senza zavorre mentali di sorta.
Con questa decisione, non so se il Signor Sindaco se ne rende conto, la destra, e Fratelli d’Italia in particolare, si possono fregare le mani, perché a questo punto possono annettersi completamente il concetto, il lemma, il termine, la parola, in definitiva la semantica storica di “Patrioti” italiani, comprendendo anche quelli tipo Mazzini, Garibaldi e Nievo, tentativo già fatto da sor Benito, non a caso sozialista romagnolo, prima del suo fascistismo fascista.
Se il Signor Sindaco sapesse chi mi ha scritto condividendo – in toto – la mia opinione, forse si farebbe qualche domandina.
…nessuno può avere la precisa nozione della misura della disperazione, da un lato, e della forza della propria speranza, dall’altro, al posto di uno che sale sopra una carretta del mare, consegnando anche otto o novemila euro a chi gli promette di portarlo nella Tierra prometida, da terre di guerra, di miseria e di paura. Per più di mille miglia marine in pieno inverno e con il mare forza cinque, abbracciato ai propri figli piccoli e magari a una moglie incinta.
Cutro di Calabria
Si possono, però, avere idee sull’insieme del problema. Parto da una domanda: è possibile per l’Italia e per l’Europa accogliere una massa umana che fugge da disastri inenarrabili nel numero di svariati milioni di persone? Certamente, allo stato attuale, no. E dunque quale è forse il tema principale di questo aspetto e momento della storia del mondo? Mi pare si possa dire che è il modello di sviluppo e la distribuzione delle risorse, assolutamente iniquo tra le varie parti del mondo.
Le risorse sono a disposizione senza una razionale ed eticamente fondata modalità di attribuzione: dalle risorse energetiche, all’acqua potabile, al cibo, alla casa, ai presidi sanitari, al lavoro e quindi al reddito da lavoro. Molte parti del mondo, vaste zone dell’Africa, dell’Asia e dell’America meridionale sono ancora strutturate sulla base dei residui storico-politici del primo colonialismo, o pervasi da un nuovo modello di colonialismo.
Francia e Gran Bretagna in primis, cui hanno fatto seguito moltiplicando la presenza e il potere economico-militare, gli USA, tengono ancora retaggi significativi dei loro domini coloniali formalmente passati di mano a governi locali. Un esempio: il FCA, cioè il Franco coloniale ha ancora corso nelle Repubbliche centroafricane, di tradizione francese e francofona. Un esempio nell’esempio: da soli trent’anni l’Alto Volta ha assunto la denominazione autoctona di Burkina Faso. Ancora: il Presidente Mitterrand negli anni ’90 poteva atterrare a Ouagadougou con una scorta militare tale da far rimanere nascosto in casa il legittimo Presidente della Repubblica Sankara.
Occorre dunque organizzarsi per un futuro che è già qui, demograficamente, socialmente, culturalmente, economicamente.
E ora una domanda: che cosa ci fa la Cina in Africa? Sta investendo miliardi di dollari in infrastrutture, fabbriche, porti, aeroporti, strade, aziende produttive, ingraziandosi le popolazioni e i politici locali, in paesi dove crea e finanzia lavoro. Paradossalmente bisognerebbe imitarla, ma a modo nostro, con il nostro modello (imperfettamente) democratico.
Che cosa ha fatto Angela Merkel a partire dagli inizi del suo mandato oltre una ventina di anni fa? Ha integrato in Germania circa quattro milioni di lavoratori turchi e dal 2011, quando è scoppiata la guerra civile in Siria ha aperto la porta ad almeno un milione di Siriani.
Altri dati, quelli demografici: in Italia abbiamo un tasso di fertilità per coppia di 1,2. Vale a dire che nel 2050 gli “italiani” saranno quattro milioni di meno… E noi continuiamo ad avere una legislazione che non consente un rapido inserimento giuridico nella “nazione italiana”, non solo a chi qui lavora da anni, ma nemmeno ai loro figli nati in Italia, che devono attendere il diciottesimo anno di età per “essere e soprattutto sentirsi” Italiani. Sul tema vi sono anche idee diverse, come quelle di chi non ritiene più molto importante sentirsi appartenere a una “nazione”, visto dove-è-ormai-andato-il-mondo negli ultimi decenni, preferendo un sentirsi “cittadino-del-mondo”, cosmopolita, se non apolide.
Di contro, la Francia, che sta facendo politiche attive per la famiglia da almeno trent’anni ha un tasso di fertilità per coppia di 1,85!
Forse allora occorre un progetto di due tipi e con due obiettivi, distinti ma conciliabili: a) una riforma delle normative per il riconoscimento della nazionalità italiana (e/o di altre Nazioni) che la renda possibile in tempi più rapidi, certamente con tutte le opportune garanzie culturali di “accettazione dell’Italia” in tutte le sue sfaccettature costituzionali di cittadinanza democratica e b) un progetto di investimenti colossale nelle nazioni, soprattutto africane, dove anche tradizionalmente, storicamente e anche logisticamente possiamo avere una voce in capitolo.
Il tema è, in generale, la distribuzione delle risorse, a partire da quelle energetiche, nel mondo, secondo principi – ancor di più – di razionalità, piuttosto che solamente di un’equità moralmente fondata.
Circa quanto accade in mare o su terreni aspri ed insidiosi, quali quelli della cosiddetta “rotta balcanica”, occorre rivedere le regole di ingaggio per il soccorso in mare, ma questo è solo uno dei temi e progetti.
Si parla di riforma dell’Accordo di Dublino, di contributo dell’Unione Europea per l’accoglienza. Tutto sacrosanto, ma non sufficiente…
Ciò che mi preoccupa è l’incapacità della sinistra italiana, ora che sta cercando di ristrutturarsi su una linea politica (opportunisticamente) radicale (Conte + Schlein + Landini), non riesca a contare veramente, proprio perché si sta spostando sempre più su posizioni che il-più-del-Paese non sceglie, basti osservare i risultati delle ultime elezioni, con questi tre racconti: a) di un fascismo redivivo, cosa assurda, su cui però occorre un comportamento diverso da quello del ministro Valditara e più consono, analogamente a quello tenuto dalla preside del Liceo classico Michelangiolo di Firenze, b) di una legislazione sociale che sarebbe liberticida e ingiusta (Jobs act), cosa non vera; c) di una prevalenza dell’attenzione ai diritti civili (lgbtq+) e scarsa attenzione a quelli sociali (Statuto dei Lavori).
Con la “linea di Firenze”, per modo di dire, non c’è molta speranza di costruire linee politiche che dialetticamente riescano a competere con una destra vincente, e ciò si riverserà anche sul tema macro delle migrazioni e sulle misure di grande politica sovranazionale necessarie, che sono da assumere con convinzione.
La beatificazione in vita della giovane donna (ricordo ai miei cari lettori che la Chiesa, prima di procedere a una beatificazione istruisce un lungo e complicato procedimento per esaminare la biografia del “candidato” alla beatitudine pubblica, e poi agli onori degli altari, la santificazione, che inizia ben dopo la morte dello stesso/a, nonché testimonianze plurime di persone che lo/a abbiano conosciuto/a bene, e infine un avvenimento che si possa definire plausibilmente “miracoloso”, in capo al/la beatificando/a) è già in corso (si vede che l’attuale mondo PD si ritiene più competente – sul tema – della bimillenaria Santa Madre Chiesa), ma…
vedere dalle parti della segretaria neoeletta vecchi arnesi immarcescibili come Franceschini, di quarantennale anzianità parlamentare, ministro più volte, suo predecessore come segretario nazionale (tra i dieci succedutisi dell’ultimo quindicennio), o il greve Bettini de rroma, già illustra in qualche modo alcuni aspetti della “grande novità” schleiniana.
Hovvìa! (per dirla alla fiorentina), siamo al nuovo!
…peccato che non ci sia più Walter nei dintorni
Se ho capito bene, sintetizzando le sue priorità paiono già essere le seguenti: a) attenzione primaria al mondo Lgbtq+ dove i temi generali delle famiglie comunque declinate, anche “arcobaleno”, non sono focalizzati se non genericamente, e prevalentemente orientate verso i contenuti del Disegno di Legge Zan (grazieadio mai approvato), che, così come è potrebbe prefigurare la figura di un reato d’opinione perfino nell’ambito di questo mio testo; b) ambiente e clima, ma non si capisce in che senso, modo e utilizzo delle risorse; c) diritti senza doveri (questi ultimi mai da lei citati, ma è un costume a sinistra, ormai da anni, da dopo che finirono i tempi dei grandi compagni Enrico Berlinguer e Pietro Nenni e, se si vuole, anche Claudio Martelli); d) conflitto russo-ucraino su cui dovrà esprimersi, ora che è esposta al giudizio interno ed esterno dei suoi e degli altri… etc.
Ho già scritto qualche settimana fa che questa giovine signora avrà visto e interloquito in tutta la sua vita con meno lavoratori e imprenditori di quanti ne incontri io in un giorno solo. Ed è tutto dire, quando la si sente già pontificare su qualcosa che non conosce, se non pochissimo, per ragioni anagrafiche e biografiche, se si sa qualcosa di lei.
E c’è da sperare che non sposi del tutto anche la cancel culture e il politically correct…
Parto con la mia riflessione critica e filosofico politica dai processi di formazione dell’attuale “personale politico” dei partiti in vista di un’entrata nelle istituzioni elettive. Ricordo ab initio, per i lettori più giovani, come si selezionava chi era interessato alla politica fino a un paio di decenni fa o poco più: chi voleva fare politica si avvicinava a una sezione di partito di paese o di quartiere cittadino; dopo avere partecipato ad alcune prime riunioni, si dava disponibile a volantinare, attaccare manifesti, partecipare ad assemblee e comizi; successivamente poteva venire proposto come candidato/a alle elezioni dei comitati di circoscrizione (nelle città), e successivamente alle elezioni di un consiglio comunale. Se poi l’aspirante ad una attività politica manifestava qualità, poteva venire nominato/ assessore fino ad essere anche eletto sindaco. Oppure. seguendo un altro percorso, ma anche proseguendo nel primo, poteva essere candidato ai consigli provinciali, regionali e perfino in Parlamento (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica).
La prosecuzione della carriera poteva arrivare in seguito anche a un Sottosegretariato o a un Ministero, e infine alla Presidenza del Consiglio e/o della Repubblica, oppure, dalla nascita dell’Unione europea, a deputato del Parlamento di Strasburgo o componente degli Organismi di Bruxelles.
Ora, quale è stato il percorso di questa signora? D’accordo che i tempi, i mezzi e i modi sono profondamente cambiati dai decenni che partono dal Dopoguerra fino al Duemila, che la società è cambiata nella sua costituzione di classe in stratificazioni sociologiche assolutamente nuove. Non lo conosco bene, salvo alcune notizie trapelate sui media dopo l’esplosiva acquisizione di popolarità della “nostra”. Per me, che seguo la politica da prima che lei nascesse, è un mistero: la ho vista spuntare dal nulla come un fungo nell’umidità del bosco.
Prima di dire la mia propongo due posizioni antitetiche che ho registrato da parte di due amici filosofi. Il primo sostiene ironicamente che c’è addirittura da dubitare sulla sincerità di un eventuale suo giuramento di fedeltà alla Repubblica patria, nel caso in cui si trovasse a farlo dinnanzi al Presidente della Repubblica, ricevendo magari un incarico di Governo. Il secondo collega filosofo, proclamandosi apolide o perlomeno cosmopolita, non è interessato alla fedeltà alla Patria Italia, per cui non ritiene che sia indispensabile lo sia anche la suddetta. Questo secondo collega è addirittura sarcastico, nei toni. Il primo ironico, il secondo sarcastico, due modi certamente in qualche modo e misura filosofici di ragionare.
Io provo a stare sul pezzo in modo diverso: osservo lemanovre susseguenti al congresso del PD: vecchi vizi immarcescibili, correnti che si affannano a presentare le “correnti” interne come centri di riflessione; presentazione di libri di militanti imbolsiti… e qui mi fermo un momento: ne ho sentito parlare per Radio radicale, dove gli amici e compagni si sono fatti fare una lezione di filosofia e di sociologia politica da Lucia Annunziata [riflessioni interessanti, quando ha parlato di “PD territoriali”, però dette con il tono saccente e da superioriy complex che è proprio di questa giornalista], mentre D’Alema si è faticosamente arrabattato sulle “radici della storia della sinistra”, da Marx-Gramsci a Berlinguer, e recuperando perfino [!!!] il vituperato Bettino, cioè Benedetto Craxi, morto in “esilio”, termine giuridicamente improprio, ma evocativo di uno stato della situazione colmo di un grande malessere etico e politico. La tristezza continua a sinistra.
Poi ci sono i “vecchi” saggi, brave persone alla
Cuperlo, che credono ancora al metodo correntizio, magari non à la
Franceschini, che è una vecchia lenza democristiana, senza accorgersi che il
possibile-mondo-di-una-“sinistra-possibile” [l’aggettivo non ha nulla
a che vedere con il movimentino del simpatico Civati di Milàn] va da tutt’altra
parte.
A guardare lo spettacolo, anche dopo il Congresso, vien da pensare immediatamente che pare il set di una commedia tragicomica tendente al grottesco. Su un lato ci sono coloro che non si limitano a criticare Renzi & Calenda, mentre dall’altra ci sono quelli, come la Segretaria appena eletta, che starebbero con Conte notte e giorno. Povero “Partito storico della sinistra”! Questi si chiamano Speranza, Provenzano, Bettini, ma anche Bersani che ha rinunziato alle fatiche improbe della prima fila. Dal loro punto di vista non si sono accorti che stanno correndo dietro a uno che è ontologicamente un “notabile democristiano fuori tempo massimo”. e di più non dico su un personaggio sul quale mi sono già esercitato troppo, e non a suo vantaggio.
Non è che i primi debbano accodarsi a Renzi & C., ma mi
pare evidente che l’unica strada percorribile per una “sinistra
possibile” sia quella capace di dialogare con la contemporaneità dei nuovi
mezzi di comunicazione, con i “valori” delle ultime generazioni, che
non hanno dimenticato la solidarietà e i sacri principi di eguaglianza
evangelico-socialista, ma vogliono declinarla secondo il principio di equità,
che è l’epicheia
aristotelica.
Il principio di uguaglianza è da collocare solamente nel
giudizio antropologico della struttura di persona, nella pari dignità di ogni
essere umano, ma non nella struttura di personalità, che dice irriducibile
differenza, unicità mia, tua, sua, caro lettore! Una sinistra che non si accorge che oggi i
giovani desiderano rappresentarsi nella vita in modo diverso da come lo
volevano i giovani anche solo di mezzo secolo fa, non può accostarli, e nemmeno
portarli a condividere una lotta politica.
E questo lo spiegano la sociologia e l’antropologia
culturale: oggi, il valore più importante percepito è la possibilità di essere
sé stessi, non di essere uguali a tutti gli altri! Una sinistra
capace di dialogare con il tempo attuale deve cominciare a capire cheil valore
principale non è l’uguaglianza, ma l’equità nella libertà.
Ancora Aristotele e Tommaso d’Aquino. I signori sopra citati non studiano più [se
mai hanno studiato]. Studino con umiltà la filosofia morale classica, dallo
Stagirita fino a Kant, per saper declinare anche il principio del dover-essere-come-lo-richiede-la-realtà-fattuale-attuale,
che non è quella di Marx, di Lenin e di Gramsci, ma neanche quella di
Berlinguer e di Gorbacev.
Se una “sinistra possibile” vuole vincere di nuovo
differenziandosi dalle destre al potere, soprattutto da quella salviniana, deve
saper declinare valori ritenuti “di destra”, come il successo
individuale e il non-collettivismo, con il rispetto dell’individuo-persona che
non è ascrivibile a nessun operaio-massa modernamente declinato.
Non sto proponendo un relativismo etico all’americana, né un liberismo economico senza leggi regolatrici, che ritengo indispensabili, soprattutto a livello sovra-statuale [una UE vera!], ma uno sforzo di comprensione dei nuovi linguaggi che rappresentano un mondo nuovo, preoccupante per molti aspetti [clima, guerre, pandemie…], ma pieno di potenzialità straordinarie.
Una “sinistra possibile” non teme di concordare con
la cultura politica di destra sul tema delle migrazioni, e si misura non sul
ruolo delle ONG o su porti aperti o chiusi, ma sullo sviluppo del Sud del
mondo, rischiando anche topiche ed errori. Un esempio, se il da me [e non dal
PD, ahi ahi] rimpianto ministro Minniti [di sinistra!] ha fatto accordi con i
Libici di dubbia efficacia e con esiti morali anche negativi, lo spirito della
sua iniziativa di “lavorare in Africa” era giusto, corretto,
eticamente fondato e politicamente lungimirante.
Una “sinistra possibile” non tema di misurarsi su
un tema controverso come il “reddito di cittadinanza” di matrice
grillina, e accetti di selezionarne rigorosamente i beneficiari, smettendo di
ululare, una
cum travaglieschi borborigmi giornalistici, all’attacco ai
poveri!
Il tema delle “stesse opportunità”
di partenza, tipicamente “di sinistra”, se declinato in modo
assoluto, è realisticamente assurdo. Bisogna invece creare le condizioni per un’istruzione
accessibile ai massimi livelli per tutti… quelli che vogliono istruirsi. Per
illustrare questo principio devo di nuovo ricorrere alla mia biografia
personale e a un esempio esterno.
Quando la mia umile famiglia condivise con me che sarei
andato al liceo classico [incredibile dictu per chi aveva solo la licenza elementare,
come i miei genitori!], vi andai con profitto. Altri miei coetanei non ci
andarono, a volte anche potendo economicamente farlo con facilità. In questo
caso come si considerano le pari opportunità di partenza? Io, partendo da più
indietro, sono andato più avanti. Che legge ho violato? Quella delle pari
opportunità? Al contrario, io ne avevo di meno. E allora? La verità è che è
antropologicamente insopprimibile l’irriducibile differenza della struttura di
personalità singola.
Il mio bisogno, come quello degli altri coetanei, era quello
di studiare; il mio merito è stato quello di aver studiato [e di continuare a
farlo], mentre altri, pur potendolo fare, non lo hanno fatto. E’ di destra che
io abbia raggiunto il livello accademico di due dottorati di ricerca? E’ di
destra il merito acquisito con la mia fatica, con il coraggio dei miei e con
l’aver io avuto molta forza fisica e psichica e salute?
No, non è né di destra né di sinistra, cari Schlein, etc.,
mentre i vostri detti e fatti sembra che vogliano farlo apparire tale, come
quando avete polemizzato con la nuova dizione del Ministero dell’Istruzione e
del Merito neo istituito, perché la parola Merito, che significa differenza antropologico-filosofica,
vi fa paura, perché la ritenete di destra. Suvvia! Studiate, studiate.
Merito e bisogno vanno declinati assieme, come tentava di
fare, inascoltato, il Ministro della Giustizia del governo Craxi, Claudio
Martelli, a metà degli anni ’80.
Un altro esempio è quello di un grande imprenditore, della
mia stessa classe sociale: egli partì per la Germania mezzo secolo fa, o poco
più, come garzone gelataio, e oggi ha tremila e cinquecento dipendenti con un
fatturato di oltre cinquecento milioni di euro, che lo hanno fatto diventare un
gran signore, ma con il lavoro retribuito di migliaia di persone, lavoro che ha
creato lui con i suoi valorosi collaboratori, dal più giovane dipendente
all’amministratore delegato.
Cara Sinistra, caro PD e cara Segretaria, ce la fai a discutere in questo modo di come “essere sinistra” oggi senza aver paura di condividere valori che non sono storicamente nati nel tuo grembo, per poi declinarli con i tuoi? E magari anche il valore semantico, politico e morale della parola “Patria”, termine da te negletto, perché pensi che sia ancora fascista. Dai!
Se sì, se riesci a discuterne e a considerare in questo modo l’essere-di-sinistra-oggi hai speranze, altrimenti, lascerai il TUO campo di lavoro politico e sociale ai furbi populisti che si spacciano per sinistra e a quelli che saranno sempre voces sine fine clamantes, toto populo inutiles.
(Ripropongo qui un pezzo che scrissi a fine settembre 2022 dopo la sconfitta elettorale del PD)
“Fèstina lente” ovvero “adelante, Pedro, pero con juicio…”, il latino e lo spagnolo in aiuto alla grande incertezza
…del maggiore partito della sinistra italiana dopo la
sconfitta elettorale.
Mi ero ripromesso, dopo il titolo-articolo pubblicato lunedì
26 settembre 2022 post
crash in ogni senso della politica italiana, di tornare sul tema.
Approfitto del fatto di avere ascoltato per due o tre ore in
viaggio in auto gli interventi nella direzione nazionale del Partito
Democratico, dove si è consumato un autò da fè impressionante del gruppo dirigente, un atto di
auto accusa impregnato di un po’ di contrizione e di molta attrizione. Uso questi due termini teologico-morali, contrizione e
attrizione per
tenermi nel mood della
riunione che, iniziata con la relazione del segretario Letta, capace di citare
per due volte dei passaggi evangelici, è poi proseguita con altre citazioni di
altri oratori, abbastanza a sproposito, sia delle Sacre scritture sia di
espressioni in lingua greca e in lingua latina.
Per il PD tutto, una riflessione informativa: contrizione significa
dolore e
pentimento per il male compiuto come offesa a Dio stesso; attrizione è
come dire dolore [anche se non tanto] e pentimento per il male compiuto, e non
per avere offeso Dio, ma per paura della pena eterna dell’inferno. Una
differenza radicale, tanto grande da far concepire teologicamente la contrizione come
sufficiente per accedere al purgatorio, anche a fronte di peccati gravi e senza
la confessione formale dei peccati, e l’attrizione come atteggiamento sufficiente per il perdono
divino, ma solo dopo una confessione formale. Detto altrimenti, il peccatore contrito
è atteso comunque dal purgatorio, il peccatore attrito può rischiare l’inferno.
Questo vale per la casistica canonico-penalistica classica.
Che cosa c’entra con la direzione del PD? Vedremo più avanti: qui mi limito a
dire che tutti/ tutte erano almeno “attriti/ e” per il male commesso
di avere sbagliato, non solo la campagna elettorale, ma le politiche degli
ultimi dieci o dodici anni, troppo confusamente “governativistiche” e
poco attente ai bisogni del popolo, cui sono stati più attenti i populisti di destra e
di sinistra. “Di sinistra” per modo di dire, visto che si tratta dei
grillini.
C’è chi ha tirato fuori di nuovo le “agorà
[!!!] democratiche“,
nonostante, se si vuole usare correttamente il greco, si debba scrivere “agorài“,
perché l’espressione è plurale. Mi sono affaticato a scriverglielo due o tre
volte a “contatti PD nazionale”, ma si vede che, o non leggono,
oppure la cosa non gli sembra importante. Possibile che non vi sia nessuno in
quei luoghi che abbia fatto uno straccio di liceo classico? Una volta da quelle
parti c’era il professor Alessandro Natta, oggi ci sono invece le Serracchiani et similia.
Altra perla odierna, peraltro pronunziata da una delle migliori intervenute, la Ascani. A un certo punto ha esclamato una cosa del genere: “…dobbiamo essere saggi, come suggerisce il detto latino festìna lente, con l’accento sulla “i”, mentre si deve scrivere e dire fèstina lente, con l’accento sulla “e”.
Anche qui, è importante questa cosa? poco, molto?… dico,
rispetto al quasi deserto propositivo della riunione, su cui arrivo subito. Se
si vuole essere seri,
e seeri
non à la Calenda,
ma à la Marco Aurelio,
sarebbe bene rispettare anche le nostre madrilingua, e non usarle a sproposito.
Di più: Pollastrini, una “storica” dell’antico Pci,
a un certo punto ha detto con enfasi che “ci vuole uno spirito santo” [al
minuscolo perché noi laici… alla faccia dei cattolici del PD, che però
probabilmente poco conoscono dello Spirito Santo come terza Persona della SS.
Trinità, Dio Unitrino]. Figurarsi la Pollastrini. Dimenticavo, lei intendeva lo
“spirito santo” [rigorosamente minuscolo!] come “partecipazione
popolare”.
Su questo potremmo anche disquisire e fors’anche [pur se solo
in parte] convenire, perché, teologicamente, lo Spirito Santo “soffia dove vuole”
e pertanto può senz’altro “soffiare” sulla partecipazione popolare,
visto che la
Chiesa è il Popolo di Dio [cf. Lumen Gentium I, Roma 1965].
Naturalmente provvederò a inviare alla direzione del PD una
copia di questo pezzo e i riferimenti bibliografici per una, se non necessaria,
opportuna acculturazione specifica, se si vuole persistere nelle citazioni
filosofiche e scritturistiche.
Vengo al dunque. Innanzitutto l’analisi del voto. Solo Letta
prova a farla con una sufficiente dovizia di supporti logici e di
argomentazioni, oltre al cavalleresco tirarsi indietro come segretario, virtù presente in
pochissimi altri di quel consesso. Certo, gli spettava, ma almeno mostra una
onestà intellettuale di cui gli altri / le altre sono nella maggioranza (degli
interventi che ascolto) privi/ e. Non uso lo schwa, IMBECILLI! [qui mi rivolgo ai tifosi/ e di questa
idiozia].
Si sbaglia Letta, a parer mio, però, quando prova a
ri-sostenere che la colpa del fallimento del “campo largo”, che
doveva comprendere tutti, da Renzi & Calenda a Fratoianni, e forse a
Ferrando e Marco Rizzo, e soprattutto i 5 Stelle, è da attribuire al furbo capo
di questi ultimi. No, caro Letta: è sbagliato il concetto e il progetto. Non puoi
far ragionevolmente convivere Renzi & Calenda con Fratoianni [e mi fermo
qui], se quest’ultimo ha sempre votato contro il Governo Draghi. Ma come fai
solo a pensarlo? Già Prodi sbagliò clamorosamente quando onorò di credibilità
il Bertinotti che lo pugnalò “senza se e senza ma” [ridicolo sintagma
che il perito chimico di Torino si attribuì orgogliosamente, così come con
altrettale sentimento si gloriò talvolta di non avere mai firmato un accordo]. Repetita quoque
non juvant [se proprio si vuole ostinatamente usare il latino].
O il PD è capace [non lo è stato finora], sperando che lo sia
in futuro, di proporre una politica riformistica complessiva dove possano
armonizzarsi diritti
& doveri sociali [dimenticati dal PD da oltre un decennio] e civili [privilegiati
dal PD da altrettanto tempo, peraltro senza successo, scimmiottando una sorta
di partito radicale di massa], oppure non avrà futuro, perché sarà sostituito
del tutto, “a destra” dal duo liberal-riformista R & C, e “a
sinistra” da quel dandy-falsodemocristiano di Conte e codazzo cantante. Senza
che con questa citazione di destra e sinistra sia un modo per con-fonderle. Ma
oggi non bastano questi due poli: piuttosto si esige di distinguere tra culture
politiche populiste che sono sempre più rossobrune e culture politiche dell’intelligenza, della
competenza e della ragionevolezza.
Non ho ascoltato chiarezza sul piano programmatico, mentre
già il Partito deve fare i conti con le fughe in avanti di chi si auto-candida
alla segreteria come De Micheli o Schlein [pure!]. All’improvviso, come la canzone di
Mina. La “gente” [chissà se De Micheli si ritiene “gente” o
benaltro dalla
gente] non ha il senso delle proporzioni, a volte.
Quale il tema? Come si può sintetizzare un riformismo
realistico e capace di leggere i “segni dei tempi”. Eppure non è
difficilissimo. Equità sotto il profilo fiscale, NON aumentando tasse in alto,
ma equilibrando le aliquote alle categorie produttive, diciamo fino a 150.000/
200.000 di reddito annuo, che è lo stipendio di un dirigente industriale bravo
e responsabile, che deve essere alleato del riformismo. Si tratta della
borghesia intelligente e produttiva che anche Marx apprezzava moltissimo, ma
sembra che i suoi mezzi nipotini non la capiscano. Mi spiego meglio: non sto
parlando dei vacanzieri di Capalbio, che sono bene rappresentati anche nel PD,
ma di chi opera nell’economia reale, non nel terzo settore privilegiato degli influencer e
del giornalismo televisivo, che è uno dei settori più deleteri di questi ultimi
anni.
Circa il Reddito di cittadinanza, invece di seguire a papera i 5S [cf.
esperimento di etologia di Konrad Lorenz], recuperare il Reddito di
inclusione selezionando le posizioni dei percettori e obbligandoli
a considerare seriamente le offerte di lavoro. Politiche attive del lavoro
fatte da chi le sa fare, cioè le società di somministrazione, non dai
fantasiosi navigator,
opera del Dimaio vincitore
delle povertà e tritato dalla sua stessa ambizione, senza senso
della misura. La sorte lo ha collocato finalmente dove meritava di stare da
tempo, l’oblio.
Il PD dovrebbe saper parlare di diritti civili senza
allinearsi al mainstream
[dico e scrivo ancora una volta, ahi ahi Letta!] della scuola
materna obbligatoria dai tre anni di età, del D.D. L. Zan, che, così come è
congegnato, prevede il reato di opinione. Io, socialista autentico e antico, ho
scritto cinquanta volte che la maternità surrogata [evitando l’espressione
atroce di “utero in affitto”] è un abominio morale e socio-culturale,
così come quasi lo è l’adozione da parte di coppie omosessuali, per ragioni
educazionali e socio-culturali. Per queste affermazioni, in base allo “Zan”
potrei essere denunziato da qualche anima bella, inquisito da qualche giudice
ecumenico e condannato. Ma siamo impazziti?
Sono esempi di come il PD si è perso, non è stato più né
socialista né cattolico democratico. Posso continuare.
Sulla pace e la guerra. Senza fumisterie incomprensibili, il
PD dica tutto insieme che l’Ucraina, aggredita, deve essere sostenuta fino al
raggiungimento di una situazione che la metta in sicurezza, evitando qui di
parlare di Crimea e/o Donbass sì, Crimea e/o Donbass no, ma chiarendo che la pace la pace la
pace su cui ululano Conte e altri non si ottiene se non da una
onorevole posizione di autodifesa. Non vada in piazza il PD su una
“piattaforma” grillina” o vagamente pacista. Potrebbero
svegliarsi i partigiani
della pace in sonno da cinquant’anni, perfettamente
“sovietici”, a volte ingenuamente nascosti anche in mezzo ai
cattolici.
Il PD smascheri chi si attribuisce ogni merito di qualsiasi
cosa, come ancora si azzardano a fare i 5 STELLE CHE HANNO PERSO – RISPETTO AL 2018 – CINQUE MILIONI DI VOTI,
e parlano come se il 25 settembre avessero vinto, su questo aiutati da
giornalisti e giornaliste almeno superficiali [tipo la Manuela Moreno di Rai 2
Post].
Non si vergogni [c’è qualche d’uno che comincia a
vergognarsi, come fa Salvini, quasi, nel PD] di avere sostenuto il governo
Draghi, che ha mostrato il volto buono e forte dell’Italia. Agenda
o non agenda
Draghi, l’Italia, con quest’uomo è stata più credibile e creduta nel mondo.
Sulla lotta alla pandemia, sul tema della guerra e su quello energetico, anche
Meloni, intelligentemente, e fregandosene di Salvini e dei suoi seguaci un po’
vigliacchetti [pensavo che Giorgetti avesse più attributi, mi sbagliavo], si
sta collegando alle politiche del governo Draghi, con cui non vuole creare una
cesura pericolosa, ma vuole proseguirne le parti più efficaci, per l’Italia.
C’è una grossa e profonda riflessione da fare sulla
democrazia, sui meccanismi della rappresentanza in una società ipermediatizzata,
su ciò che sia reazione
e su ciò che sia conservatorismo… perché anche io sono progressista
socialmente e nel contempo conservatore del bello italiano e della cultura. Reazione e conservatorismo non sono la stessa
cosa, cari del PD! Troppi di voi fanno confusione, o per ideologia o per carenze
culturali, di grazia!
Per la verità non ho ascoltato solo le cose più ovvie dai
politici più politicanti
[maschi o femmine che fossero], perché diversi interventi si sono
distinti per lucidità e passione, ma, guarda caso, non tanto quelli dei
“potentati” [e anche qui vi sono delle distinzioni da fare, ad
esempio un Misiani non dice mai banalità], ma piuttosto gli interventi delle
persone più “di confine”, come la calabrese Bossio o la
italo-iraniana, di cui non ricordo il nome, che ha spiegato come il cambiamento
stia avvenendo nella sua grande Nazione, non solo per la presa di posizione
delle donne, ma ancora di più perché assieme con le figlie stanno scendendo in
piazza i padri, con le sorelle i fratelli, con le mogli i mariti.
Analogamente, un partito che non tenga le donne nel loro
giusto merito, non può cambiare, soprattutto se le donne non imparano a
solidarizzare tra loro e se i maschi non la smettono con le “quote
rosa”, WWF della distinzione di genere.
Infine, invece di continuare a demonizzare “la peggiore
destra d’Europa” [lo ho sentito affermare anche oggi], il PD vada a vedere
perché Fratelli d’Italia, con un gruppo dirigente piuttosto mediocre, a parte
la leader,
Crosetto e qualche altro, ha preso il 26% dei voti dati? Un 26% di imbecilli?
Mi pare di no.
Io non la ho votata, ma non ho neanche votato PD, io che dovrei trovarmi lì di casa… Qualcuno se lo vuol chiedere? Gli interessa?
MI AUGURO CHE QUALCUNO CHE STA DA QUELLE PARTI ABBIA LA PAZIENZA (E ANCHE L’UMILTA’) DI LEGGERE QUESTO SAGGIO.
Non farò nomi da allocare in ciascuna delle categorie “antropologiche” del titolo. Mi limiterò a descriverli, e ad attribuirli a ciascuna delle categorie stesse, lasciando al lettore il compito (se vuole) di “indovinare” di chi si tratta.
Ubique praesentes viventesque
I panegirici televisivi e giornalistici per la dipartita dell’uomo che (si dice) ha (abbia?) inventato i talk show , o addirittura la televisione di intrattenimento italiana, mi nauseano. Ora è-tutto-un-dire “che bravo“, “che innovatore“, “il linguaggio televisivo con lui è cambiato“, e via lodando sperticatamente. Non una critica, mai un dubbio. Pare si faccia sempre così con i morti. E’ un vizio italiano, e forse non solo italiano. Temporis personarumque actorum laudatores.
Spero che non sarà altrettanto per me, quando verrà il mio tempo, con tutti i difetti che ho! Se faccio mente locale sul soggetto in questione, vedo un ometto ingrassato, in ultimo spesso farfugliante, ben capace di rivolgere domande assai banali – a mio giudizio – al suo interlocutore; di lui ricordo anche insinuazioni e motteggi vari, e un sorriso talora subdolo o corrivo. Lo tratto in questa sede come penso si meriti, anche per l’indecoroso processo di squallida beatificazione, e blasfema (ipallage retorica) che si vede in tv. Dimenticavo: un uomo sempre uso ad un linguaggio romanesco capace di semplificar banalizzando perfino il dramma. E a toni scanzonati e acri. Il “tutto” oggi così ammirato dal sentir comune pubblicizzato da media. Appunto, dai media: sembra che l’opinion (non è inglese, ma un troncamento) prevalente sia quella descritta, perché la mia opinione, ad esempio, così come qui rappresentata, non ha spazio. Anzi sì, perché anche il mio blog è un medium! (pronunzia medium), peraltro visto da qualche migliaio di persone al mese. Un sopravvalutato… il “nostro”, a mio avviso.
Un altro, che si vanta di essere allievo del sopra citato. Guitto siculo che pensa di far ridere con il nulla, perché sale e teatri colmi di persone lo attestano. E’ l’audience, la prepotente audience. Onnipresente, capace di battute che paiono esilaranti, ma a me fanno solo pena. Sarà perché io ho uno scarsissimo sense of humor, essendo difficile smuovere in me l’ilarità con motti di spirito, o perché le sue battute sono trite, ritrite e inefficaci? Che sia io insensibile o lui banalotto?Ubi ilaritatis praesentia vere stat? Aggiungo: costui invecchia tagliandosi i capelli e mollando i baffi. Emerso dai villaggi turistici dove potrebbe utilmente tornare. Colà non mi incontrerebbe mai. Inutile… sempre a mio parere.
La moglie del primo citato, dalla voce infelice, raduna palestrati giovinotti e inclite giovinette per false riflessioni televisive sull’esistenza e sui valori, ma da intendere come virtù, accezione che lì non è chiara, anche se certamente non come li intendevano i “bravi ragazzi” della banda della Magliana. Perché anche i criminali hanno i loro “valori”: li chiamano in questo modo. Ma non basta non assomigliare a quei criminali, perdio! Pedagogicamente, secondo me, pericolosa.
Eccone un’altra: intrattenitrice, comica, ex insegnante di lingua italiana. Non sono un bieco moralista che si scandolizza (“o” in luogo di “a” aulico) per una parolaccia. Però, est modus in rebus, e questa donna mi sembra ecceda un po’ nel dirle, le parolacce, in orari di visibilità infantile. Non capisco se il suo agire sia tale per vendere qualche cosa… Militante volgare. Inadeguata, parmi.
Furbetti e muςiςins (pron. – imprecisamente, perché non conosco i segni fonetici – muchichins, subdolo, in friulano della Bassa) un uomo di tv e uno che dell’essere contro-la-mafia ha fatto un mestiere ottimamente retribuito. Furbetti, sine ullo dubio, opinione mea.
C’è un Ministro della Repubblica che, a fronte di un’aggressione a giovani studenti davanti a un liceo fiorentino da parte di un gruppo di picchiatori neofascisti, e di una lettera di riflessione filosofica e pedagogica sul grave fatto rivolta agli studenti scritta dalla preside di quella scuola, si premura di bacchettare quest’ultima, mentre non spende una parola o un rigo per segnalare il fatto dell’aggressione, in sé gravissimo, che deve certamente provocare sdegno, indignazione e pensiero critico per il sostrato cultural-politico preoccupante dell’aggressione. Inadeguato, a mio avviso. Meritevole di sostituzione, sia lui o meno d’accordo.
Arrogante: un conduttore televisivo che, quando parla, gli si arriccia la faccia in un ghigno terrificante. Invecchiato male, molto male. Questi ha lavorato, sia per la Rai, sia per Mediaset, sempre ottimamente retribuito, come usa in quei mestieri quando fai audience, non importa se informi o dis-informi. L’arroganza di questo signore ha anche caratteristiche – per me evidenti – di immoralità.
Irritanti: sono, nel mio immaginario, almeno due (tra molti altri): il primo è un giornalista padre padrone del suo quotidiano. Questo signore, spesso autore assai ineducato e perfin violento nel linguaggio, è irritante ancor di più per i toni irridenti e falsamente tranquilli. Per valutarlo non si devono dimenticare, oltre a giudizi largamente condizionati da pre-giudizi (che sono giudizi incompleti e non correttamente documentati, nonostante la boria dei toni e le continue assicurazioni sulla validità delle fonti), anche la sua ondivaghezza sempre rafforzata da una assertività proterva che può ingannare il lettore meno attento. Facile intravederne il nome e cognome. Sta a sinistra, ma con cattiveria (mia convinzione dove l’avversativa “ma” potrebbe anche essere omessa). Il secondo idealtipo rappresentante della trista categoria, sempre giornalista è, ma non responsabile di una linea politico-mediatica. Le sue “colpe” sono di carattere meramente “tecnico”, nel senso che, essendo un “lettore di telegiornali”, si espone ogni giorno per almeno mezz’ora al giudizio di chi ascolta la sua pronunzia affannata e affannosa, un respirar sbagliato, e un continuo errare (nel senso di sbagliare, non di girovagare) nell’accentazione dei termini, del tipo “àmministratore” in luogo di “amministratòre”, oppure “vìcepresidente” invece di “vicepresidènte” e via elencando: almeno un fastidioso errore ogni tre o quattro parole. Noto questo fenomeno ed est mihi non sopportabile. Irritanti, ripeto, per me.
Fasulla mèntore del politically correct è una scrittrice, come suolsi dire, engagé. Dovrebbe bastare per considerarla militante (a volte il/ la “militante” assomiglia a un/ a militonto/ a) di una corrente di pensiero quantomeno dannosa, in buona compagnia di una ex funzionaria dell’Onu, assurta poi ad altri compiti istituzionali e ora parlamentare. Dannose, a mio tranquillo avviso.
Tra i noiosi annovero due “campioni”: uno è un politico “nato” tre o quattro anni fa, con la sfiga di un timbro vocale fastidioso e comportamenti da fuoriclasse dei voltagabbana, mentre l’altro fa un mestiere diverso, l’allenatore di calcio in serie A, da un paio d’anni di una squadra gloriosissima e a me non antipatica. Siccome del primo ho scritto e riscritto in questi anni talmente tanto da annoiarmi anche al solo ricordarlo, mi soffermo un momento sul secondo tipo, raccontandola così: “Stamane sono in viaggio in auto e ascolto Radio Sportiva, che lo intervista. Prima che inizi a parlare prevedo, conoscendo i tratti e il dizionario lessicale del suo modo di esprimersi che, entro le prime cinque parole che pronunzierà, dirà un fatidico aggettivo con copula, costituente il predicato nominale: “E’ normale“… e lui inizia addirittura proprio con il sintagma “E’ normale“, prima e seconda parola, e poi, dopo una decina di termini detti, lo ripete. Chiudo la radio.”
Tre milioni e mezzo di stipendio annuo (nessuna gelosia da parte mia, in rima), come, più o meno, l’Amministratore delegato di Stellantis (Fiat). Proprio noiosii due, a mio avviso (ed è dir poco).
Come posso, infine, dimenticare almeno due conduttrici televisive, una gratificata in modo decisivo dalla sua filogenesi, l’altra “campione” di spocchiosa arroganza, nei tratti e nella postura. Se sopporto (senza supportare) la prima, non digerisco in alcun modo la seconda. E, proprio da ultimo, una o due campionesse delle vacanze a Capalbio, “quella che nella cuccia del cane si trovarono ventimila euro”, e quella che dirige giornali e scrive, ma soprattutto l’importante è apparire. Si fa sempre più difficile indovinarne i profili. O no?
Dispiace constatare che diversi di questi idealtipi weberiani stiano da una parte politica che mi sta a cuore. Fors’etiam è per queste ragioni che, da tempo oramai, questa parte politica… perde.
Il rischio che pavento, infine, per me e per tutt’Italia, è che a questo elenco io debba ben presto aggiungere un’altra persona appena ieri assurta a un ruolo politico rilevante, che ha appena annunziato con solenne puntiglio “Saremo un bel problema per il governo Meloni“. Bene, faccia opposizione, ma non contro l’Italia.
Così come da mio intendimento osservato in questo scritto, ne taccio il nome, Patriae caritate.
Scegliere questo candidato a mio avviso significa dare al PD ancora qualche speranza di muovere qualcosa a sinistra di ragionevole, di razionale e di socialista democratico, magari anche (perché no?) di qualcosa che sia memore della parte migliore del Partito d’Azione.
Filippo Turati
Il mio amico Claudio, insegnante di filosofia e di storia, conoscitore finissimo delle vicende del mondo slavo e caucasico, dell’ex Unione Sovietica e della Rus storica, e mio antico compagno di liceo, la vede in questo modo, offrendomi una sintesi di ragioni a me completamente consentanee:
“La Schlein, se dovesse vincere, trasformerebbe il PD in un’arca di nostalgici ideologici e di minoranze Lgbtq+: non approderebbe da nessuna parte. Il diluvio continuerebbe, potendo eventualmente incontrare altri relitti 5 Stelle , e imbarcarli per aumentare la confusione.
Oggigiorno gli aiuti all’Ucraina sono necessari e la Schlein mi sembra molto ambigua. Alcuni anni fa ho letto il libro di Huntigton sullo scontro di civiltà. Allora molti lo hanno deriso e criticato. La guerra in corso mi sembra invece rientrare nella categoria dello scontro di civiltà: o la democrazia o le dittature più o meno mascherate. In Italia molti non lo hanno capito e piagnucolano perché sono stanchi della guerra (standosene ben pasciuti e al caldo), e pensano che Zelensky sia colpevole di tutti i guai che ci affliggono. Costoro vanno alle marce della pace, ma non hanno visione politica, anzi, aggiungo, hanno un atteggiamento immorale, nonostante i buoni propositi.”
Con il massimo rispetto per chi partecipa alle marce per la pace, condivido sostanzialmente la posizione di Claudio, che ha una lunga esperienza di insegnamento e anche di militanza politica in aree “insospettabili” per chi volesse insinuare che è un filo-bellicista.
Ai nostri tempi giovanili lui molto più “a sinistra” di me, ci siamo trovati, da uomini maturi, sul versante socialista democratico cui io appartengo fin dall’uso di ragione, come figlio della classe operaia, che, come sanno bene coloro che conoscono la Storia, è sempre stata gradualista e moderata.
…e riflessiva, perché naturaliter consapevole che le cose cambiano solo a partire dall’autoconsapevolezza dei limiti antropologici dell’essere umano, e da una paziente ricerca di sempre nuovi equilibri di democrazia e di giustizia nella libertà.
Sento dire in tv che Bonaccini sta chiedendo a Schlein di essere sostenuto nel caso lei non vinca, ottenendone, pare, prima una risposta positiva, risposta però, in seguito, recisamente smentita. Infatti, mi chiedo prima di tutto per quale ragione una candidata che spera di vincere, dovrebbe dare ex ante la disponibilità a collaborare con il suo “fiero vincitor” avallando in questo modo, implicitamente, la propria sconfitta e, in secundis, come si possa attuare una convivenza politico-gestionale positiva per un partito finalmente riformista (come avrebbero voluto in tempi e modi diversi Bettino C. e Walter V.), se i due progetti paiono essere così differenti.
Del resto, sono dell’idea che ogni organizzazione umana, partiti compresi, per quanto possano oggi – sociologicamente – essere chiamati “organizzazione”, necessiti di una leadership chiara e condivisa, non perché io sia un laudator dell’idealtipo “uomo solo al comando”, ma perché il leader, con la sua tipica personalità, deve incarnare con chiarezza e senza ambiguità una linea politica visibile per tutti. Così funziona tra gli uomini di questo mondo, non solo in base alla letteratura filosofica e psicologica fin dai tempi di Aristotele e fino a Freud e a Max Weber e oltre, ma anche nelle prassi che conosco direttamente, come nelle imprese economiche e nelle strutture della cultura, per tacere del sistema militare e di quello ecclesiastico.
In ogni caso, chiunque dei due vinca, a mio parere, dovrà iniziare da una revisione radicale dell’antropologia vetero-marxista che ancora permea quelle zone politiche, pena una nuova impasse, che sarebbe forse definitiva. Per fare ciò, per la verità, non vedo (purtroppo) preparato/ a né l’uno né l’altra. Chiarisco subito che un cambiamento di indirizzo antropologico presuppone immediatamente una revisione dell’ideologia politica storica sottostante e corrente.
Che cosa intendo per “revisione antropologica”? In questa sede ne ho parlato spesso e ora la riprendo, poiché mai come su questi temi e di questi tempi repetita juvant.
Con questo sintagma filosofico intendo che bisogna rinunziare solennemente all’utopia dell’homonovus, così come si legge ancora qua e là in articoli e pamphlettini nostalgici, in questo caso soprattutto dalle parti di Schlein o di ex militanti delusi dall’andazzo impoverito di idee e di entusiasmi di questi tempi post-rivoluzionari.
La “sinistra nuova” dovrebbe (necessariamente), studiare (studiare molto, perché ogni tanto mi capita di leggere che lo studio approfondito, scientifico, anche accademico, di un argomento, non serve o non servirebbe a molto), approfondire, prendere in mano e far propria un’antropologia che si fondi su una sorta di Realismo aristotelico-tomista declinato con il personalismo Novecentesco di un Mounier e di un Marc Bloch (socialista cristiano), che utilizza, assieme alla visione classica, intuizioni ed afflati che appartengono, solo apparentemente in modo strano e sorprendente, anche alla ricerca della fisica teorica più recente, che sta superando ogni riduzionismo deterministico nei suoi ultimissimi studi sulla coscienza-come-atto-in-divenire, non come stato-in-luogo determinato e immutabile (Giacometti 2022). L’uomo, nella sua struttura, non è emendabile per una via meramente socio-politica. Rassegnamoci (rassegnatevi Bonaccini e Schlein). L’uomo può solo essere trattato per come è, ed è in due modi.
E anche questi due modi ho spiegato più volte in questa sede, così: a) l’uomo è (non “ha”) una struttura fatta di un corpo, di una mente e di una sensibilità spirituale, che tutti gli umani accomuna in dignitas e, b) l’uomo è (non “ha”) una struttura fatta di genetica, ambiente e educazione, tali da rendere ognuno un unicum, irripetibile, irriducibilmente. Le due strutture, cari Candidati, convivono! e vanno considerate assieme, non in contrasto, per cui l’emendazione, la resipiscenza, il pentimento, il cambiamento interpellano singolarmente la struttura b) su cui bisogna lavorare ad personam, con il dia-logo e lo studio dei principi etici, mediante il modello filosofico maieutico di Platone e dei maggiori saggi d’ogni tempo e luogo, che vanno studiati in modo approfondito e non solo orecchiato negli attivi di partito o di circolo, come si usa dire oggi.
Ancora una volta, dobbiamo ammettere che l’unica “rivoluzione” possibile è quella del cuore, che, se avviene, può mettere in moto anche il cambiamento sociale. Il primo nemico della sinistra, e di tutto il genere umano, non è primariamente la classe-che-sta-di-fronte-come-avversario-o-addirittura-nemico, non è la “Democrazia cristiana” odierna, né il “Sistema delle multinazionali” guidato dagli Usa, ma sono l’egoismo, l’invidia, la superbia, la vanagloria, l’egocentrismo, il narcisismo, cioè i vizi morali che possono caratterizzare qualsiasi anima umana, e non solo come nevrosi bio-psicologiche da Manuale Medico diagnostico psichiatrico. Vizi morali presenti ovunque, in ogni territorio, in ogni tempo luogo, nazione, ambiente, famiglia, gruppo organizzato e partito. Ovunque.
Un altro nemico che il nuovo gruppo dirigente deve sconfiggere, rendendosi prma di tutto conto della sua pericolosità, è la chiacchiera vana e le discussioni poco o punto documentate su temi decisivi come l’Etica, che il più delle volte si sente citare a sproposito. L’etica non è una serie di prescrizioni morali legate al qui e ora, maè la scienza del discernimento nel giudizio valutativo sull’agire umano, condividendo la nozione di ciò che sia bene e di ciò che sia male, che non è mai banale (cara Hannah Arendt!).
Infine, se quanto vengo dicendo è plausibile e condivisibile, solamente da una nuova Antropologia filosofico-morale può discendere una proposta politica di sinistra, capace di coniugare armonicamente libertà e giustizia sociale, proposta che riesca a parlare a vecchi e giovani, a militanti storici e di mezza età, a possibili simpatizzanti e – soprattutto – a chi non va più a votare e non partecipa alla politica, perché vinto da un formidabile scetticismo esistenziale e morale.
Un ultimo consiglio non richiesto a chi diventerà Segretario: rinnovi tutto il gruppo dirigente, senza astio, ringraziando con simpatia, e nel contempo invitando chi ha vissuto una stagione dirigenziale ad essere disponibile a viverne un’altra senza incarichi particolari, e soprattutto senza potere.
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LA FILOSOFIA E' UN SAPERE ANTICHISSIMO E MODERNO CHE SERVE A RIFLETTERE SUL SENSO DELLA VITA E DELLE COSE;
SERVE A INQUADRARE TEMI E PROBLEMI CON LOGICA E CHIAREZZA;
SERVE QUANDO SI STA BENE E, ANCHE DI PIU', QUANDO SI STA MALE;
SERVE A TUTTE LE ETA';
SERVE PER LA RAGIONE E PER IL SENTIMENTO;
SERVE...
Se vuoi, se ne senti il bisogno puoi scrivermi (eagle@qnetmail.it) o telefonarmi (339.7450745), anche per fissare un incontro"
PhD - Prof. Dott. Renato PILUTTI, Filosofo pratico (ex L. 4/2013, Associazione nazionale per la Consulenza filosofica Phronesis) e Teologo
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