Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Il mio augurio di Buona Pasqua, con il ricordo di Gesù Risorto, in sintonia e coerenza con la più grande Festa dei Cristiani, richiama i valori, le virtù, e i princìpi nell’agire umano in generale e in economia: le qualità spirituali che ispirano il “bene-dire” e il “bene-fare”

Forse mai come di questi tempi, il mondo-azienda è la cartina di tornasole della società contemporanea. La coeva crisi delle due maggiori agenzie formative, la famiglia e la scuola, affidano e quasi “rilasciano” al mondo del lavoro giovani spesso sconcertati, indifesi e privi di solidi punti di riferimento, come quelli che costituivano il nerbo dell’agire dei loro padri e nonni, valori esistenziali e lavorativi condivisi, come l’onestà, il rispetto reciproco, l’impegno, il senso di responsabilità e quello di appartenenza.

I media contribuiscono anche a fare una gran confusione sui termini e sui linguaggi. Proviamo a recuperarne il senso profondo e veritiero.

“Valori” è un termine “polisemantico”, cioè dai-molti-significati, usato e abusato di questi tempi. Potrebbe essere quasi sinonimo di “Principi”, e anche di “Virtù”.

Il lemma “Principi”, soprattutto se li si intende di tipo morale, si usa molto, mentre invece il termine “Virtù” è forse un pochino affidato alle nostre memorie giovanili se non addirittura infantili, quando sentivamo questo termine solenne a catechismo in parrocchia.[1] In seguito lo abbiamo pressoché dimenticato, perché utilizzato sempre meno, e noi stessi non lo abbiamo più utilizzato.

In quegli anni un po’ lontani avevamo imparato anche l’elenco delle Virtù, distinguendole tra quelle “cardinali”, cioè Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, e quelle “teologali”, che sono Fede, Speranza, Carità, non dimenticando quello dei sette vizi capitali, vale a dire Superbia, Invidia, Avarizia (o Cupidigia), Ira, Gola, Lussuria e Accidia.

Perché questa piccola lezione di catechismo teologico o di morale cristiana?

Perché il tema dei Valori, Principi e Virtù (e anche dei Vizi) è attinente a tutte le sfere della vita umana, ovviamente compresa la dimensione del lavoro, che di essa è parte assai importante. E a Pasqua ancora di più.

Proviamo a parlarne brevemente, citando solo le Virtù, i Principi e i Valori che più ci interessano sapendo che il Valore principale che voglio sottolineare, anche oggi, è quello del Lavoro, con la “L” maiuscola. Ma iniziamo (senza che la scelta appaia strana), da un vizio, il più taciuto, il meno conosciuto: il vizio dell’Accidia.

La parola, come tutte le altre che danno il nome a vizi e virtù, deriva dal greco antico: akedìa, che significa diverse cose: apatìa, svogliatezza, malinconia, malessere, pigrizia mentale, tristezza, mal stare, distrazione, cattiva volontà, e via definendo. Di questi tempi alcuni psicologi hanno deciso di chiamarla addirittura depressione.[2] Ma io non sono d’accordo, perché il termine medico-psicologico “depressione” rinvia a una malattia psichica, non ad atteggiamenti mentali e morali liberamente scelti dalla persona. Se così fosse non potremmo intervenire più di tanto, perché la malattia si deve curare, se non si è riusciti a prevenirla.

E dunque, questa accidia è un qualcosa che si può attribuire più ad atteggiamenti e comportamenti per i quali agisce anche la volontà umana. Leggiamo, per la cronaca, che decine di migliaia di ragazzi, dal lockdown in poi si sono fatti “prendere” da questo stato d’animo dal quale fanno una enorme fatica ad uscire, ed alcuni proprio non ce la stanno facendo e “sono in cura” da psicoterapeuti, psicanalisti e addirittura psichiatri. Avverto subito che quando un caso va in mano a questi  ultimi specialisti che, in quanto medici, sono anche adusi alla prescrizione di farmaci, la situazione è già – in qualche caso – preoccupante.

È bene dunque intervenire subito, ma in altri modi, il primo dei quali è un’analisi seria del caso e l’avvio di un dialogo trasparente e rispettoso con l’interessato. Proseguiamo ora con altri valori (principi o virtù).

La costanza e la perseveranza sono altri due nomi che descrivono virtù/valori del lavoro. Cerchiamo – nel quotidiano – di utilizzare questi termini, invece del modaiolo resilienza, che è una parola dell’arte metallurgica malamente metaforizzata, che suggerirei proprio di non usare in contesti relativi alle persone che lavorano.

Ancora, ricordiamo altri valori (principi o virtù). La fortezza, o coraggio può essere un ausilio necessario per l’impegno in azienda, moralmente previsto nel rapporto equo e giusto tra prestazione e retribuzione, così come è indispensabile per affrontare prove ardue che la vita ci presenta, come malattie, lutti, difficoltà nello studio e lavorative.

Il menefreghismo è un altro sentimento negativo molto diffusa che si coglie di questi tempi… si tratta di rassegnazione? Di stanchezza? Comunque lo si riscontra in giro, e abbastanza spesso.

Che fare del menefreghismo? Se lo si constata, non si può stare inerti, perché anche questo è un segnale di disagio e di perdita del senso generale delle cose e, ancora una volta, dei valori, come quello del lavoro. Ecco che qui viene utile far capire la differenza sostanziale e concettuale fra “lavoro” e “posto di lavoro”, in questo modo: l’azienda non dà “posti di lavoro”, ma “lavoro”, vero, sostanziale, fatto di commesse, di processi, di organizzazione, di gestione di macchine e persone. Il “posto di lavoro” deriva solamente dal “lavoro” che, se non c’è, e deve essere un lavoro di valore (ecco che torna il termine valore, e la sua catena ordinata, sia moralmente sia economicamente), non può assolutamente fornire “posti di lavoro”! Smascheriamo dunque questo equivoco, soprattutto con chi lavora di malagrazia e con menefreghismo!

Andiamo avanti con il ragionamento. Non dimentichiamo che la responsabilità di ogni lavoratore (così come quella dell’imprenditore), si connette in modo organico con una nozione corretta del concetto di libertà in questo senso ed espressione:  la Libertà è “Volere ciò che si fa, non Fare ciò che si vuole.

Ogni lavoratore è libero di… essere responsabile, non di-non-esserlo. E questo si chiama obbligo morale!

Un altro difettuccio antropologico “Friul-Veneto” è la gelosia professionale, che spesso alligna soprattutto nei lavoratori “anziani” ed esperti, che forse vivono inconsciamente o implicitamente l’antica paura dei popoli “sottani” (sottoposti a nazioni dominanti, come è stato storicamente per Mille anni, prima sotto Venezia e poi sotto gli Asburgo)[3] di morire di fame, perché superati in abilità e forza da colleghi più giovani. Anche su questo bisogna essere vigili e parlarne apertamente, da un lato dando fiducia a chi lavora da tempo in azienda, e dall’altro incoraggiando i giovani, mediante la formazione e un uso ponderato della delega di crescita, sul quale progetto devono essere d’accordo anche gli anziani, in quanto persone di riferimento professionale.

Eccoci dunque con un vademecum pratico che dovrebbe stare nel cassetto e nell’agenda di ogni “Capo” di tutti i livelli (dal Capoturno all’Amministratore delegato!), per poterlo trasmettere ai collaboratori ogni giorno, in ogni momento e situazione, al FINE di conseguire il Bene comune che è costituito da un lavoro buono e redditizio, i cui risultati possano essere condivisi mediante il fondamentale principio-valore virtuoso dell’Equità, che significa “A CIASCUNO IL SUO SECONDO GIUSTIZIA  E MERITO”.

Buona e serena Pasqua del Signore Risorto, a voi e alle vostre famiglie.


[1] Quello che ci veniva impartito, ancora ia tempi delle elementari, in parrocchia e risaliva ai precetti voluti da Papa Pio X, il venetissimo Papa Giuseppe Sarto, di Riese Pio X, appunto.

[2] Cf. Manuale medico diagnostico pratico per le malattie mentali V, Editore Masson.

[3] Con il solo intermezzo del Patriarcato di Aquileia, che comunque spesso annoverava Patriarchi-Principi di origine germanica.

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