Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

C’è un’Italia bella ed “efficiente”, e un’Italia mala e “deficiente”

Non pensi il mio lettore che io sia inopinatamente caduto, nonostante i miei testi e dichiarazioni contrarie, nell’antica eresia manichea, che tormentò il giovane Agostino. No.

Ma la frana di Ischia mi ha indotto a proporre una riflessione apparentemente semplificata. Dico “apparentemente”, perché il titolo potrebbe condurre a pre-comprensioni, giudizi sommari o pregiudizi sulla realtà.

Un breve elenco di bellezze, virtù dianoetiche (direbbe Aristotele) ed efficienze: Delle prime gli Italiani non possono vantare alcun merito, perché si tratta solamente della sorte di essere nati in un territorio, che è il più vario e bello del mondo, per consolidata opinione universale. Lo ammettono perfino i Francesi, e se lo ammettono loro, figurarsi gli altri, dagli Inglesi in poi, fino all’adorazione smisurata dei Giapponesi.

Delle seconde, le virtù dianoetiche, cioè le capacità creative, certamente gli Italiani hanno di che “vantarsi”, anche se con moderazione: non serve qui riportare l’infinito elenco delle creazioni artistiche e dei valori culturali prodotti dal genio italico (così si usava dire fino al fascismo, sintagma poi negletto, per l’abuso fascista dello stesso).

Se poi vogliamo citare le “efficienze”, ebbene, ancora troviamo gli Italiani fra i primissimi del mondo, primi in diversi campi: intendo l’economia generale, quella aziendale, quella dei servizi, a partire da quel mix di virtù dianoetiche e di efficienze che sono le produzioni afferenti al Made in Italy, cioè moda, mobilio, calzature, estetica automobilistica, architettura, etc., senza trascurare alcun settore produttivo.

E veniamo all’Italia delle deficienze. Qui l’elenco è immenso, ed è quello che azzoppa l’Italia, come se la “troppa fortuna” della prima parte esigesse una nemesi, una compensazione.

Intendo, in generale, la politica e principalmente la politica nazionale, interpretata da pessimi attori, salvo rare eccezioni. Un’accolita di legulei freddi ed opportunisti, vanamente contrastati da pochi galantuomini che non vivono di politica, ma che credono nella politica.

Non farò nomi, per non dimenticarne alcuno, e anche per non fare la dispendiosa e fastidiosa fatica di ricordare personaggi che non stimo. Spesso i peggiori sono a capo dei partiti, e in due casi di questo periodo questo è certo.

Lettor mio, sai bene a chi mi riferisco.

A latere di costoro c’è la pletora dei burocrati e dei grand commìs di stato che comandano – nel quotidiano – tutti i servizi. Uno di questi ha addirittura pubblicato un illuminante pemphlettino anonimo che conferma quanto vo dicendo. Questi personaggi, che troviamo dal piccolo dei comuni al grande dei ministeri, variamente diffusi, sono impegnati, innanzitutto, a difendere la propria rendita di posizione, e poi ad attuare le deliberazioni della politica. E allora, non poche volte, si mettono di traverso, non perché hanno rilevato che qualche procedura non è rispondente alla legge, ma perché gli “conviene” rallentare la pratica, o perché temono di mandarla avanti per un remotissimo rischio che qualcuno li quereli.

Dopo queste categorie su cui ho espresso giudizi poco lusinghieri tocca ricordarne un’altra, e non meno importante. Un detto in qualche modo veritiero e nello stesso tempo nefasto recita “ogni popolo ha i governanti che si merita“. Ebbene, se critico politici e burocrati non posso trascurare chi quei politici elegge: il popolo. Il popolo non è quell’entità quasi “sacrale” che qualcuno tenta di far passare come verità, ma una congerie sconfinata di persone ognuna delle quali ha i pregi e i difetti tipicamente umani: anche la pigrizia, l’egoismo, a volte l’incapacità di analisi, l’ignoranza.

Tutte queste deficienze si aggregano a quelle dei due soggetti sopra descritti e succede il patatrac, che consiste in atteggiamenti che favoriscono malversazioni e malgoverno, comprese decisioni su condoni et similia, che sono la prima ragione, ed è solo un esempio, del dissesto idrogeologico non-gestito, oltre che di un altro elemento di inciviltà, l’evasione fiscale, con il suo corollario astuto dell’elusione. E i populisti sono i “coltivatori” pericolosi e indegni dei peggiori “istinti” popolari.

Una piccola cosa capitata a me. Incaricato di un progetto culturale in un comune veneto, e concordato il compenso, ho dovuto penare le pene dell’anima per potere avere un acconto, perché “di solito noi paghiamo gli esterni alla consegna del progetto“. Solo che in quel caso avrei dovuto lavorare per due anni (ovviamente non a tempo pieno) senza vedere un euro. Poi riuscii ad avere il 50% dopo il primo anno di lavoro. So che funziona così, da tante testimonianze di professionisti e imprese che lavorano per il pubblico: una forma indiretta ed iniqua di finanziamento del settore pubblico, a rischio dei legittimi e concordati compensi di chi lavora nel servizio commesso o appaltato.

Per la parte dell’Italia deficiente potrei citare ora la tristissima, cialtronesca e vergognosa vicenda afferente l’onorevole Aboubakar Soumahoro (che finora sembra non essere stata presa sul serio dai suoi supporter politici), ma evito di farlo, perché fatto oramai notissimo e per non aumentare i miei umori negativi.

Vengo alla tragedia di Ischia. In modo chiarissimo si sono manifestate le “due Italie”. L’Italia della deficienza si è mostrata nelle parole di Conte, che ora nega l’evidenza di un condono (la parola “condono” è presente in più parti del Decreto “Ponte Morandi etc.”) che lui firmò da capo del Governo nel 2018 (allora eterodiretto dal genio di Dimaio), decreto che allora fu votato dalla maggioranza gialloverde e (ahi ahi, Meloni!) da Fratelli d’Italia. Meraviglia questo suo negare? No, zero. Basti pensare alle sue posizioni sull’aggressione russa all’Ucraina, che definire ondivaghe e mero e triste eufemismo.

L’Italia dell’efficienza invece si trova nelle parole del Presidente della Campania De Luca, che – tra altro di saggio – ha detto che non esiste concettualmente “l’abusivismo di necessità”, ma solo l’abusivismo, e che si deve intervenire subito attuando le demolizioni decise per legge, oltre a tutto quanto è già stato progettato e finanziato per affrontare il dissesto idro-geologico strutturale dell’Italia.

Le persone devono mettersi in testa che l’acqua torna sempre dove è già stata, e se non trova spazi se li crea. Lezione, non del professor Mario Tozzi, ma del contadino di Glaunicco di Camino al Tagliamento (che conosce il grande fiume alpino a regime torrentizio) Gjovanin dai Manis. Quindi non ci sono scuse, né son credibili le pietose geremiadi che si sentono ululare dopo ogni disastro.

La politica e la scuola hanno il dovere di fare capire che non si può sanare tutto e sempre, ma si deve sanare soprattutto il modo di ragionare degli Italiani. Allora la pars deficiens comincerà ad essere sostituita da quella efficiens.

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