Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Donne Persiane

Charles Louis de Secondat, Barone de La Brède et de Montesquieu mi viene in mente per assonanza del titolo di questo pezzo con il suo

Lettere Persiane, Lettres persanes), pubblicata anonima nel 1721 ad Amsterdam. Lo scambio epistolare fra due persiani che viaggiano in Europa, Usbeck e Rica, offre a Montesquieu l’espediente per pubblicare, in forma di lettere, brillanti saggi nei quali la società e le istituzioni (francesi innanzi tutto), sono descritte secondo moduli relativisti, adottando il punto di vista di esponenti di una cultura diversa da quella europea. Con satira sferzante, vi si traccia un quadro disincantato dell’assolutismo francese, della crisi finanziaria conseguente alla politica economica attuata da Luigi XIV, della crisi dei parlamenti e della società civile nel suo complesso. La critica dei costumi si estende anche alla polemica religiosa in cui si vede un segno di instabilità e decadenza che alimenta dispute e divisioni più che la fede. Veicolo potente dei temi relativisti e della critica alle istituzioni politiche e religiose durante tutta l’età illuminista, le L. p. rappresentano un testo in cui secondo l’auspicio iniziale dell’autore «il carattere e l’intenzione sono così scoperti» da non ingannare «se non chi vorrà ingannarsi da sé» (dalla Prefazione sul web).


Charles Louis de Secondat, Barone de La Brède et de Montesquieu

La Persia evoca territori sconfinati, leggende e meravigliose città. Il nome “Persia” evoca uno dei più grandi imperi dell’antichità, ci ricorda il Re dei re Ciro il Grande, che liberò gli Ebrei dalla cattività babilonese nel 525 ca a. C., e i successori di Ciro, Dario, Serse, che combatterono le pòleis greche e furono sconfitti.

“Persia” evoca Alessandro il Macedone che la conquistò, con le battaglie di Isso e di Gaugamela, arrivando con i suoi soldati fino alle porte dell’India a contemplare le acque turbinose del fiume Indo, che scendono dall’Himalaia.

“Persia” evoca ancora altre dinastie come i Sasanidi che lottarono con i basilèi bizantini, prima di essere travolti da popolazioni turcomanne e mongoliche.

“Persia” evoca una delle due grandi dottrine dell’Islam, quella sciita, che si ritiene la più vicina alle origini, tramite una parentela diretta con Mohamed, l’uomo della Profezia.

“Persia” ora evoca la rivoluzione delle donne, dopo quaranta tre anni di teocrazia.

Nei decenni passati non sono mancati i tentativi di liberazione del popolo iraniano, caratterizzato però dal solo impegno delle donne. Ora pare che le cose siano cambiate. L’occasione è stata la morte di Masha Amini, accusata dalla “polizia morale” di indossare il velo islamico in modo scorretto. E uccisa.

Due parole sul velo che, nella versione più “moderata” ricorda le nostre donne dei secoli passati, ma anche fino al Concilio Vaticano II. E anche le meravigliose Madonne di Antonello da Messina e di Giovanni Bellini, che illustrano un fascino femmineo di grande spiritualità. Una meraviglia estetica e d’armonia coloristica.

Abbiamo l’hijab, un foulard normale che copre i capelli e il collo della donna, lasciando scoperto il viso. Nel Corano il termine è utilizzato in maniera generica, ma oggi è diffuso per indicare la copertura minima prevista dalla shari’a per la donna musulmana. Questa normativa prevede non solo che la donna veli il proprio capo (nascondendo fronte, orecchie, nuca e capelli), ma anche che indossi un vestito lungo e largo, in modo da celare le forme del corpo, che si chiama khimar, diversamente lungo e modellato.

Un altro nome di questa lunga veste è jibab, oppure abaya.

Nel Vicino Oriente e in Egitto sono diffusi i seguenti tipi di veli: abbiamo il niqab, che copre il volto della donna e che può (nella maggior parte dei casi) lasciare scoperti gli occhi. Il niqab può essere diffuso in due forme più specifiche: quella saudita e quello yemenita. Il primo è un copricapo composto da uno, due o tre veli, con una fascia che, passando dalla fronte, viene legata dietro la nuca. Il secondo è composto da due pezzi: un fazzoletto triangolare a coprire la fronte (come una bandana) e un altro rettangolare che copre il viso da sotto gli occhi a sotto il mento.

Se vogliamo specificare ulteriormente… l’abaya (sopracitato), diffuso nel Golfo Persico è un abito lungo dalla testa ai piedi, leggero ma coprente, lascia completamente scoperta la testa, ma normalmente viene indossato sotto ad un niqab.

Ed eccoci ai veli diffusi in Iran: abbiamo il chador, che è generalmente nero, ma può essere anche colorato (ricordo un chador che mi fece vedere la assai da me, e non solo, rimpianta, signora Cecilia Danieli, che andò spesso in Iran per ragioni commerciali dell’Azienda) e indica sia un velo sulla testa, sia un mantello su tutto il corpo.

Possiamo completare la carrellata con i veli diffusi in Afghanistan: quivi troviamo il burqa, che è perlopiù azzurro, con una griglia all’altezza degli occhi, e copre interamente il corpo della donna. Tecnicamente, assolve le funzioni del niqab e del khimar.

Tradizione, cultura, religione, politica: tradizione e cultura in senso storico-antropologico; religione in senso teologico normativo; socio-politico nel senso, inaccettabile, di costrizione.

Ho distinto i tre/ quattro sensi per individuare le ragioni della ribellione che sta prendendo sempre più piede nella grande Nazione persiana. Sembra proprio che l’occasione della morte di Masha sia per ora capace di suscitare proteste più vibranti e generali di quelle precedenti. Ho già scritto qualche giorno fa che non si tratta più solo di sporadiche manifestazioni di piazza limitate alla capitale Teheran e a qualche altra grande città come Isfahan, ma di manifestazioni diffuse in tutto il territorio nazionale, fino ai lontani monti Zagros che confinano con l’Afganistan e le repubbliche ex sovietiche d’Asia.

Si tratta di manifestazioni non-armate, perché le persone tengono in mano solo i veli che simboleggiano l’oppressione politico-normativa che è diventata insopportabile. Si coglie un sentimento diffuso di ricerca della libertà intesa come rispetto dei diritti delle persone, e si sente anche la fiducia che le varie polizie degli ayatollah non potranno uccidere o arrestare tutti e tutte.

Le carceri scoppiano di prigionieri politici e anche di donne, vi sono morti e feriti. Un accenno anche alla signorina Alessia Piperno, colà tenuta in prigione. A lei, come a qualsiasi altro giovane generoso, che pensa di potersi immergere nei luoghi più pericolosi del mondo senza riflettere più di tanto sui rischi, magari anche sostenuti dai genitori, porgo un invito a riflettere sulla congruità e sulla razionalità morale di scelte come la sua, che nulla apportano alla causa delle donne nel mondo, se non una testimonianza inutile e costosa per l’erario italiano.

Quella iraniana è una rivoluzione, non una jacquerie ribellistica à là Ciompi o Vespri siciliani. E’ una “cosa” pericolosa, che pare progressivamente assomigliare alla Francia del 1789. Spero di non sbagliare. Si tratta di seguirne le vicende in modo non inerte, come cittadini e Paesi democratici.

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2 Comments

  1. Devo commentare con un’esperienza personale. Correva l’anno 1994, dunque 15 anni dopo la rivoluzione islamica, stavo a Teheran. Lavoravo per una grande azienda ed un venerdì, assieme ad un collega italiano e ad uno iraniano, ci concedemmo un pomeriggio di relax dopo una settimana di lavoro. Dagli uffici in Vali-e Asr avenue ci dirigemmo a piedi verso un bazar a poca distanza per curiosare e vedere quello che la gente faceva nel giorno festivo settimanale. Ad un certo punto, sentiamo un botto, urla e vediamo un fuggi-fuggi generale. Il collega iraraniano silenzioso, con un volto molto preoccupato, ci invita senza remore a salire su un taxi parcheggiato vicino al marchiapiede sotto l’ombra di grandi alberi. Poco dopo eravamo già di rientro all’Azadi hotel dove pernottavamo. Incuriositi ed impauriti, chiedemmo il perchè di tanta agitazione. Ci disse che i pasdaran avevano sparato ad una ragazza nel vicino bazar perchè aveva un ciuffo di capelli fuori dal suo chador e lei, infastidita dal loro atteggiamento e dagli insulti ricevuti, li aveva mandati a quel paese. Dunque la storia si ripete e credo non siano stati episodi isolati. C’è da chiedersi il perchè non ci fù un seguito, nessuno disse niente, nessuna notizia apparve sul Tehran news dei giorni successivi ! In quel periodo l’Iran era pieno di tedeschi, italiani, francesi, russi (centrale nucleare di Esfahan). Mancavano solo gli americani, ma tutti erano in affari, petrolio e gas abbondavano. Per entrare in albergo dovevi camminare sulla bandiera americana dipinta sul pavimento, calpestandola. Dunque, ritengo che già allora, solidi motivi motivi economici erano alla base del silenzio. Ma adesso perchè c’è questa rivolta (giusta)? Guarda caso, l’Iran si è messo di traverso aiutando Mosca con i suoi droni Kamikaze. Forse interessi USA che, per inciso, stanno vendendo a noi europei il gas liquefatto a venti volte quello che costa da loro oppure per ripicca contro Putin ? Ricordo che già in quel tempo gli iraniani erano scontenti del regime teocratico. I tecnici del cliente con cui avevamo a che fare erano persone laureate a Londra, a Los Angeles, a Parigi e, nei momenti di confidenza, dopo parecchio tempo di reciproca conoscenza, ci dicevano del loro scontento, di come avevano vissuto anni felici nella libertà studiando ed operando in giro per il mondo. Ricordi flash di quel paese, in quegli anni: i Jumbo Iran Air fermi ai lati della pista dell’aeroporto di Teheran perchè venivano usati per cannibalizzare i pezzi di ricambio, la torre di controllo dell’aeroporto di Ahwaz piena di fori di proiettili, una notte nella caserma dei pasdaran assieme ad una decina di colleghi italiani e molto altro ancora. Un popolo gentilissimo, colto ed ospitale, un paese ricchissimo di storia, tradizioni e di una natura incredibile! Qualcuno dovrebbe porsi il perché di tante cose e studiare di più la storia, le culture, i vizi di noi “occidentali”.

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