Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La violenza bianca, ma sapete ignorantissimi e violenti giovanotti USA che eravamo tutti neri come il carbon, all’inizio, quando ci siamo erti in piedi per monitorare la savana e i suoi perigli? No? Oh babbei, studiate, studiate!

…e cercate di avere in classe con voi anche il Presidente in carica! (ché gli farebbe bene, forse).

L’ennesima strage negli Stati Uniti d’America fa riflettere su molte cose. E’ violenza allo stato puro, intanto e, come quella dei terroristi, solo debolmente – o per nulla – “giustificata” da teoremi e teorie messe per iscritto e veicolate sul web e dalle tv. Che la violenza sia un dato permanente nella storia umana è noto, anche se oggi sembra addirittura in crescita, come dato percepito, contrariamente alle statistiche, che attesta il contrario, per la rapidità e completezza con le quali diventa di dominio pubblico. In altri pezzi, infatti, ho ricordato (cf. Il declino della violenza di Steven Pinker, 2011) come statisticamente la violenza e il numero dei morti ammazzati siano in declino, e non lo farò di nuovo.

Qui mi interessa cercare di analizzare brevemente le ragioni di certe sue esplosioni, come quelle delle due ultime stragi americane a El Paso e a Dayton.

L’origine della specie umana, dall’Homo naledensis (1700K anni fa, cioè un milione e settecentomila anni) e da Lucy, la piccola donna della Rift Valley scoperta dal professor Leakey, presenta dei tipi umanoidi di pelle scura, neri, pelle che poi, con l’andare dei millenni e lo spostamento dall’Africa centrale verso nord, verso l’Egitto e la Mezzaluna fertile, il Golfo arabico e la Mesopotamia, si è progressivamente schiarita, fino a diventare pallida come quella dell’assassino plurimo di Oslo Anders Breivik. Che si è creduto e si crede superiore a chi-non-è-bianco-latteo come lui, solo perché ha 1.700K anni di meno del Naledensis. Così come Crusius, quello del mercato di El Paso o Tarrant, quello che ha ucciso nei mesi scorsi quasi cinquanta fedeli musulmani a Christchurch in Nuova Zelanda.

Follia?, come dice Trump con i suoi cinguettii, ebbene no! Troppo comodo: anche se avessero ragione Spinoza e Libet al 100%, troppo comodo.

Si tratta di gesti definibili come “folli”, ma non di follia nel senso psico-patologico, come da Manuale Medico-Diagnostico IV o V. Almeno pare. I killer di El Paso e di Dayton non erano ricoverati psichiatrici in fuga, né persone sottoposte a Trattamento Sanitario Obbligatorio. Erano e sono ragazzi americani ventenni, completamente immersi nell’humus culturale e nel mood sociologico attuali, fatti di telematica, web a manetta, superficialità informativa e ignoranza tecnica e morale clamorose. Il risultato, su menti fragili e incapaci di discernimento e di pensiero critico, è quello che abbiamo visto. Hanno compiuto stragi, senza guardare in faccia a nessuno: addirittura il ragazzo di Dayton ha fucilato sua sorella e il fidanzato di questa.

Strage non significa propriamente distruzione di massa come in guerra o omicidio plurimo, anche se di fatto stragi possono essere compiute, sia da privati cittadini, sia da governi o strutture militari. Dresda e Coventry sono due nomi che ricordano stragi compiute tramite bombardamenti a tappeto.

Specialmente negli USA vi sono esempi – oramai storici – di stragi compiute da singoli cittadini, per vendetta o per frustrazione, da lavoratori licenziati o maltrattati, che covano odio per anni e infine danno la stura alla violenza non selettiva, quasi a far pagare a chiunque altro il proprio dolore. Lo stalking e lo straining, e anche il mobbing possono costituire moventi. E poi vi sono queste esplosioni di violenza di difficile spiegazione, a partire da Columbine.

Altre stragi sono avvenute nelle carceri durante rivolte dei detenuti. Non occorre ricordare quanto già più volte qui trattato: le stragi dei vari terrorismi, da quelli politici a quelli religiosi, ambedue fanatismi irrazionali, eppure capaci di coinvolgere molti.

Il nome di Anders Breivik non si dimentica: 77 morti ammazzati fra Oslo e Utoya nel 2011. L’assassino ebbe addirittura a protestare per la qualità morale della detenzione, non pentito, anzi convinto di aver fatto bene con il suo agire in difesa della “razza bianca”.

Questi ultimi sono solo la punta dell’iceberg di una situazione che preoccupa. La disponibilità di armi da un lato, il degrado culturale dall’altro costituiscono i punti che generano processi causali difficili da fermare. Ma su questi due ambiti bisogna lavorare.

Lavorare da parte di chi e come? Tutti sono chiamati a occuparsi di questo tema ampiamente educativo, a partire dalle famiglie e dalle scuole. Anche se in Italia (finora) non sono accaduti episodi del genere, abbiamo comunque avuto recentemente fatti su cui riflettere. Si pensi a Corinaldo e alla strage in discoteca, alle sue motivazioni superficialmente criminali della banda di giovanissimi ladri, assolutamente insensibili all’incolumità altrui; si pensi al diciassettenne che ha buttato giù da una balaustra un cassonetto colpendo un dodicenne e ferendolo gravemente, solo perché era incacchiato. Il 17enne non si è chiesto minimamente se avrebbe potuto ferire qualcuno con il suo gesto iracondo.

La scuola: decine di migliaia di insegnanti precari sono stati regolarizzati da Renzi cinque anni fa e ora altrettanti lo saranno dal governo in carica. La qualità cultural-pedagogica di molti di questi è scarsa o addirittura insufficiente, perché premiati da cursus studiorum non rigorosi e selettivi. Che cosa possono dare agli adolescenti costoro? Il governo grillin-leghista pare voglia addirittura annullare le prove Invalsi per timore che svelino l’arcano di una impreparazione diffusa. Nascondiamo lo sporco sotto il tappeto, invece di pulire la stanza.

Che cosa possiamo pensare di questi progetti? Chi sarà in grado, per competenze e autorevolezza, di occuparsi dei nostri ragazzi, e-ducandoli? Certo. educandoli, perché ogni umano ha un potenziale latente che può essere fatto emergere con le dovute modalità. Perfino il truce Crusius di El Paso. Teniamo duro, ognuno nel proprio, con perseveranza.

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