Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Fra’ Bruno da Quadruvium, l’ultimo liutaio (ma no!)

Il titolo monacale gli s’attaglia, poiché Bruno è anche magister palestrarum, senza alcuna allure da fitness patinata e fasulla. Lo conosco da trent’anni, ma solo da dopo la prova esistenzial più dura che mi toccò, lo ho visto spesso, in palestra. Poi ho scoperto altre sue doti, è chitarrista e uomo curiosissimo. E’ lui, con sua moglie Isabella, l’editore de La Flame e La Flamute, magazine furlan che merita.

Ed è poi liutaio, mastro costruttore di chitarre, ispiratosi ad abbas Giobatta Morassi da Malborghetto, che usava pino della Val Saisera, per i suoi violini, e non andava in Val di Fiemme come i Guarneri del Gesù e gli Stradivari da Cremona.

E Bruno è sulle sue tracce. Lo trovo in laboratorio, sotto il filo del terreno, bislungo, pieno di odore di resine e legno. Rifiuta il caffè di Isabella perché “è concentrato” su uno stampo per chitarra, che sarà più grandina delle solite. Manda me a bere il caffè, mentre sulla scala zampetta Anna Paola, figliolina svelta. Spalma con pazienza infinita lo stucco di colla e segatura preparato da lui stesso per “pareggiare” i bordi interni dello stampo.

Guardo muto il suo muoversi lento e preciso, come se stesse lì (penso) da trecent’anni, e un altro maestro se ne fosse appena andato via dopo avergli dato qualche consiglio.

In questo tempo nel quale fretta e banalità superficiale sembrano farla da padrone, consola vedere i gesti di Bruno, il progetto di “una chitarra al mese“, se ho capito bene. Mentre fuori tutto (o quasi) corre in frenesia pressapochista e insapore, si sente il sale della vita in quel laboratorio.

Potrebbero trar nutrimento i ragazzi giovani che vanno a scuola, passando un’ora a guardare e a chiedere, che cosa significa quel lavoro lento, perché lo ha aggiunto alla sua vita, ché Bruno è un poco simile a me: ha lavorato per aggiunte, senza quasi mai togliere nulla dalla sua esperienza.

Oggi la proposta social è bruciare le emozioni, in un lampo, in un like, in una lacrima di plastica. Non conosco la sociologia di Instagram, ma leggo che è gradita dai politici che si inseguono lì come animali la preda, o su Twitter, cinguettando come gli vien meglio, o peggio, meglio dir.

Iersera mi trovavo a una cena sociale in mezzo alla campagna, in un vecchio molino adattato a ristorare il viandante, seduto accanto a un ex politico che per poco ha ascoltato le mie e poi mi ha subito invaso con le sue, per mezze ore. Ha dimenticato sul tavolo la rivista che gli avevo donato. Pare che l’attenzione, come stato dell’anima-psiche sia stata defraudata dal solipsismo autogenerativo e disperato. “Se non mi vedi, se non mi ascolti, non esisto“, “Tu, tu sei solo la cassa di risonanza del mio ego“.

Bruno, invece, esiste, eccome!, lì sotto nel suo laboratorio da cui raramente si sente il romor di un trapano elettrico o di una picciola sega, “proprio per essere più precisi“, mi dice, in certi tagli, e per fare dei fori.

Poi me ne vado, proprio per la cena di cui sopra, un po’ a fatica.

Ma mi aspetta nel nobil paesone di San Vito, un vecchio amico, con cui tant’anni fa andai in Russia, che allora aveva altro nome, in auto.

Per strada pioviggina, ma il sole occhieggia dietro le nuvole d’aprile, e promette di illuminare il giorno di domani, che è quando scrivo qui. Poche auto, “è strano, penso, di venerdì pomeriggio“, ma vedo il chiosco di campagna, quello vicino al grande fiume dei Furlani, pieno d’auto “son già a cena“. Ripenso a mastro Bruno, editor di cose belle, mi par di poter dire, senza falsa ritrosia o modestia, di cui son pieni i fossi del disastrato web e della televisione.

Chiederò tra un poco a lui a che punto è la chitarra, a che punto la sua mano ha trasformato il legno in istromento musical, che possa accompagnare il tempo e il sentimento di qualcuno, nella sua unica vita, nel suo presente eterno.

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