Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Pensa, gentil lettore, e lo dico un po’ per celia e un po’ “per non morire”, se si applicasse ciò che suggerisce nel Libro IV de La Repubblica Platone

…cioè che il miglior governo, tra monarchia/ tirannide, aristocrazia/ oligarchia, democrazia/ oclocarchia, sarebbe quello costituito da un manipolo di filosofi.

Scrive Francesco Adorno (Introduzione a Platone, Laterza, Bari 1997, p. 92):

La classe dei governanti-filosofi deve stare al potere, in quanto classe di innata sensibilità, di inesauribile curiosità intellettuale; i filosofi vogliono capire e non solo constatare, ma anche far funzionare la convivenza. Essi sono pertanto gli unici che dispongono dei mezzi intellettuali appropriati per non far sprofondare la città nel caos e nel conflitto interno ed estero.

Per Platone non si tratta di porre al potere un gruppo, un partito, un singolo, ma “i filosofi”, che rappresentano la “razionalità”, cioè nessuno in modo particolare o privato, ma tutti, in quanto capacità di essere ciascuno sé in rapporto all’altro.”

Recupero questo breve testo a due giorni dalle elezioni politiche italiane che hanno mandato avanti i più distanti da ogni pensiero filosofico, posto che gli sconfitti lo sono quasi altrettanto, basti ascoltare tra i primi e i secondi qualche “ragionamento” renziano, che non val un’unghia di quelli che proponeva Ciriaco De Mita trent’anni fa, o del presidente toscano -presupponente e antipaticissimo- dal nome che sembra uno pseudonimo (Enrico Rossi), oppure una miseranda battuta di Grasso, o un “ghigno parlato” di Salvini, o un periodo composto da una premessa ipotetica che richiede il congiuntivo e la frase consecutiva correlata che obbliga necessariamente al condizionale dell’ignorante Di Maio, oppure un borborigmo del prof Prodi, che mai pensò a un umile corso di dizione, e una intemerata della ex impiegata Onu Laura Boldrini, e infine, tanto per pietosamente smetterla, godere di una delle metafore di Bersani, come quella della “mucca nel corridoio”, per, minimo, trasecolare di pietà.

Ma, e questo è il tema, se hanno vinto Di Maio e Salvini, mediocrissimo e mediocre -rispettivamente- in sé e per sé, e hanno perso D’Alema (di bruttissimo), Renzi e Berlusconi, il solo terzo dei quali ha mostrato di saper fare qualcosa d’altro nella vita, bisogna cominciare a chiedersi la ragione di tutto ciò. Ero là al seggio e me la sentivo che più di metà dei cittadini elettori seriosamente in fila con me avrebbero votato per questi due che hanno vinto, e mi chiedevo: “ma questi signori e queste signore capiscono che cosa votano? Se potessi farei in modo da non farli votare?”

Atto di presunzione il mio, o elitario, o snob? L’Italia, anzi il 73% degli elettori aventi diritto hanno scelto. Una testa, un voto. Ma è più testa di cazzo quella di chi ha votato Salvini o Di Maio o la mia che ha votato un paio che hanno perso?

Poi ho cambiato pensiero e son tornato ai classici, a Socrate e a Platone, che aveva quasi sempre ragione, e forse torto solo nel tema oggetto di questo post, e al sintagma socratico di ironia complessa, ben studiato dal mio amico filosofo e docente Giorgio Giacometti nel suo recente Platone 2.0 etc., edito da Mimesis di Milano, che propone la possibilità che la politica e la storia, e la vita umana stessa, utilizzino anche la stupidità delle persone per mandare avanti le cose.

Oppure il concetto eminentemente filosofico di eterogenesi dei fini, per cui magari tu parti a fare qualcosa con un obiettivo, e ne ottieni un altro anche più conveniente del primo. Alcuni, come il romanziere inglese Horace Walpole  chiamano serendipity l’eterogenesi dei fini.

Chissà non sia stato meglio che questa volta sia stato io t.d.c., acronimo di evidente trasparenza.

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