Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Si beve si fuma si fanno baby gang si indulge al vizio si spera sempre

Mio caro e gentil lettore,

se un ragazzo/ ragazza italiani su tre tra i 15 e i 19 anni (è il 33%!) assume sostanze stupefacenti tipo cannabis, e talora qualcos’altro; se oramai osservando i caffè/ bar/ pub fighi si vedono ragazze più o meno splendidamente a nero con il calice di rosso in mano; se vedi adolescenti che chattano uno accanto all’altro con smartphone da seicento euro, e non si parlano; se ciò che comunemente si è sempre chiamato vizio sembra allignare in ogni dove, e se la contemplazione del bello, in silenzio, latita, e se la meditazione non si pratica, vi sarà pur qualche ragione. O ragioni.

Quali? Il sociologo si esercita nelle sue ricerche, lo psicologo si profonde in consigli sui magazine alla moda, il sacerdote invita padri e madri all’ascolto dei giovani virgulti, il professore scuote sconsolato la testa, il filosofo è inascoltato, i sindacati ronfano, ai governi interessa poco o punto, ai partiti oramai inesistenti anche meno… tutti o quasi hanno qualche diagnosi e qualche rimedio, che propongono nei talk show con l’audience maggiore. E tutto continua come prima. Che sta accadendo caro sociologo, psicologo, sacerdote, insegnante, filosofo, papà, mamma?

Com’era quando io e chi mi legge sopra i cinquanta avevamo dai quindici a i diciannove / vent’anni? Io ricordo il mio liceo, il lavoro estivo a portar bibite e fusti di birra da venticinque kili, il basket, la musica, il telefono fisso, la tv in bianco e nero, i pochi soldi, le non-vacanze, l’auto di seconda mano a ventuno anni. Ricordo, ed ero pieno di gioia nella mia turbolenta e vivace giovinezza. Le ragazze, non mancavano cz cz, eravamo sani e forti e pieni di voglia di fare cose, di studiare, capire, fare politica, anche di litigare, fino ai diciotto anni non evitavo le risse, qualche cazzotto, qualche occhiale rotto, un labbro spaccato, mi offendevo facilmente ed ero di parola facile. Anche allora c’erano bulli e bullismi, io stesso sono stato aggredito un paio di volte da due o tre coetanei, ed ho reagito a freddo picchiandoli poi uno alla volta. Avevo sedici o diciassette anni. Non so se era bello, ma era un bullismo diverso da quello dei minorenni metropolitano di oggi.

Quando volevo parlare con qualcuno andavo da lui/ lei senza storie, anche senza telefonare. “C’è Roberto, c’è Maria Grazia, c’è Marina, c’è Andrea?” chiedevo a chi trovavo in casa. E mi rispondevano, e io restavo o andavo via dicendo che li avevo cercati. In serata mi cercavano loro, e si andava al cinema, in palestra, oppure a… fai tu caro lettor mio.

E adesso che succede? Come stanno dentro l’anima questi ragazzi? Vedo la mia figliolona, grande, alta, bella non poco, intelligente e colta, quasi dottorina, musicante esperta, anche lavoratrice nella trattoria vicina. Ma non mi spiega bene come stanno le cose, o sono io che non capisco. Mi rimprovera la lentezza di comprendonio. Come? A me? Ebbene sì “Papà, tu non capisci“. Ma è sempre destino delle generazioni precedenti non capire?

Sembra che il tempo stia accelerando sempre di più, oppure sono le cose che cambiano più velocemente? In ogni caso, antropologicamente parlando, siamo ancora, come in tutti i tempi passati, irriducibilmente esemplari unici, e provvisti di intelligenze diverse, com’erano anche la Lucy del professor Leakey o l’homo naledensis. Se Maria De Filippi e Di Maio trovano adepti tra cui non ci sono io e Beatrice ci sarà qualche ragione, o no? Ma trovano adepti, eccome se li trovano, perché ognuno ha il QI (quoziente intellettivo) suo proprio, come i bambozzi che fanno baby gang a Napoli e Torino e dove volete voi. Stupidi, ma meno dei loro genitori, che lo sono meno dei loro nonni, e forse meno dei loro vicini, e così via.

Come si fa a parlare con questi? Ci interessa? C’è un linguaggio adatto a instaurare un dialogo? Una volta si diceva l’esempio, ché l’esempio è più forte ed efficace di ogni discorso. Vero, ma il tema da svolgere riguarda l’accettazione della miseria umana, che è sempre rediviva, quasi perenne, speriamo quasi, poiché l’evoluzione ominizzante è lenta, lentissima. Siamo sempre e comunque scimmie pelate, homines erecti, idioti deambulanti a fasi alterne, e, nel migliore dei casi, capaci di piangere, di attenzione, perfino di intensificazione solidale, cioè di amore.

Siamo buoni e cattivi, intelligenti e stupidi, scorfani e sublimi, uomini e donne che camminano per questo mondo un po’ sbilenco e un po’ stupefacente, senza la pretesa di capire tutto e tutti.

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