Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

La paura, il nervosismo, la preoccupazione vs. il coraggio, la calma, la post-occupazione

Tre in battere e tre in levare, come nella musica, e nella vita. La paura è un sentimento e una passione a volte irresistibile, cui si può opporre solo il coraggio, o fortezza. Si può avere paura di molte cose, del dolore, del male, del futuro, delle notizie inaspettate, degli altri sconosciuti, della perdita di qualcosa di importante. E si può essere preoccupati per tutto ciò, ma, a pensarci bene, perché essere pre-occupati? Perché occuparsi prima di un qualcosa che non è ancora venuto o che magari non verrà? Allora si tratta di ansia, e, nei casi peggiori, di angoscia, di angst, come scriveva Kierkegaard, anche se quella del filosofo danese, così ben studiato dal nostro padre Cornelio Fabro, era piuttosto una condizione spirituale dell’esistenza, una consapevolezza del vivere, che la manifestazione di una paura.

La calma, che non è sinonimo di flemma, è un buon antidoto, ma non è facile da conquistare, è un percorso, un metodo, una via da esplorare, ardua come un sentiero montano, che va salito con calma, passo dopo passo, svolta dopo svolta, per non perdere il sentiero e i bollini rossi del CAI. Anzi, a volte il sentiero te lo devi cercare tu, e forse portarti il secchiello e i pennelli per segnare di nuovo il sentiero a favore di chi verrà su dopo di te, magari meno esperto di te.

Il coraggio, se uno non ce l’ha non se lo può dare, si giustificava così il cuor di leone don Abbondio nel racconto manzoniano, ed è così, ma fino a un certo punto. Come tutte le virtù, anche il coraggio, la greca, aristotelica aretè, cioè la fortezza, va esercitato, va coltivato come un habitus mentale, che può crescere se si ha la costanza per nutrirlo di comportamenti quotidiani coerenti. L’etica del grande stagirita, poi ripresa cristianamente da Tommaso d’Aquino, ritiene il coraggio come la virtù motrice di tutte le altre, così come la prudenza, la phronesis ne è l’ispiratrice. Si potrebbe dire che la vita va vissuta con prudenza coraggiosa o con coraggio prudente, endiadi che avrebbe sicuramente apprezzato sant’Agostino, dove sostantivo e attributo si scambiano in ruoli per sottolineare, di volta in volta, l’una o l’altra virtù, o abito spirituale.

E allora, forse, bisognerebbe mutare il concetto e l’ansia della pre-occupazione in post-occupazione previdente, certo, non in sicumera e temerarietà, perché ciò sarebbe presuntuoso e deleterio, come affrontare una traversata su uno spigolo montano senza appigli nella roccia o ausili di staffe e corde da ferrata: sarebbe un penzolare nel vuoto a rischio della vita. Non è pusillanime chi è prudente, ma chi è prudente è pre-vidente, preveggente, cioè capace di salvaguardarsi dai rischi.

E ora propongo due esperienza in cui i tre sentimenti contrapposti hanno caratterizzato la vita di un grandissimo personaggio della storia dell’arte mondiale, Michelangelo Buonarroti, e di una città-stato dell’antica Grecia, emblema di sentimenti fortissimi e di capacità rare di dedizione e di sacrificio, Sparta.

Leggo che Michelangelo apprezzava e stimava molto fra’ Gerolamo Savonarola, ma non si iscrisse mai al “partito” del domenicano, anche forse per non pregiudicare, ebbene sì, commesse future da parte dei potentati della chiesa, papi compresi, e fece bene. Savonarola aveva molte ragioni, tant’è che il grande artista volle apporre un verso del Salmo 50, il Miserere (scritto, pare dal re Davide per chiedere perdono al Padreterno dopo la morte di Uria e il suo connubio con Betsabea, da cui nacque Salomone) su un suo medaglione: “Docebo iniquos vias tuas et impii ad te convrtentur“, cioè insegnerò le tue vie agli iniqui, e gli empi a te si convertiranno. Michelangelo, pertanto, pur nella sua veemente sfida al tempo e al gusto che allora imperava, nel suo rivoluzionarismo irresistibile, era prudente,

Un altro esempio utile da citare può essere quello del modello di vita spartano, nel quale si possono sintetizzare virtù civiche e anche esagerazioni per noi incomprensibili: la virtù del re Leonida e dei 300 che si sacrificarono alle Termopili, e l’educazione virile dei giovani, maschi e femmine che fossero. Non so se il legislatore Licurgo avesse previsto fin dalla sua legislazione gli esiti della storia cittadina, ma certamente Sparta costituì un buon esempio di paziente capacità politica e militare, al punto da avere la meglio sulla magna Atene dei tempi periclei, e di soccombere solo quando, pretendendo troppo, fu preda, prima dei Macedoni e poi dei Romani.

Prudenza vs. temerarietà. coraggio vs. paura, immaginazione per un futuro migliore.

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