Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Sud

Sono a Bari, nel plant di un’azienda friulana di meccanica di precisione, oramai multinazionale di tutto rispetto, presente anche in Slovacchia, dove tornerò il mese prossimo, e in Messico dove sono stato diverse volte negli anni scorsi, azienda che seguo da ventidue anni, per colloqui da analisi del clima insieme con un giovane psicologo in tirocinio. Lavoro faticoso quando è fatto bene, che ti spreme come un limone se ascolti attivamente e condividi empaticamente i patemi e le speranze dei lavoratori, operai, impiegati o tecnici che siano. Il giovane è umile e attento e merita di essere aiutato a farsi manager delle Risorse umane. In questa fase della mia vita professionale mi sto dedicando spesso al ruolo di mentore di giovani meritevoli e volenterosi, tanto talentuosi quanto umili, aiutandoli nei tirocini e nelle tesi di laurea. Mi pare di dar così un contributo al miglioramento della gestione del personale e del clima aziendale.

Vengo al Sud da molti anni, soprattutto per lavoro, e mi trovo bene, anche se le contraddizioni logiche ed etiche che incontro talora mi inquietano.

Culture millenarie sedimentate costituiscono i pregi e i difetti di queste genti, popolazioni che potremmo definire antropologicamente “ossimoriche”, cui non manca genialità e vittimismo, fantasia ed eloquenza e una certa furbizia naturale, cultura tout court e “cultura della pretesa”, soprattutto verso uno “Stato” che non hanno mai riconosciuto fino in fondo, dall’Unità d’Italia del 1861 in poi. Questa lamentazione senza fine l’hanno poi estesa al lavoro, anche quando lo trovano in imprese private serie e solide. Non capiscono bene, o non vogliono capire, che un’azienda per durare ha bisogno quantomeno di pareggiare costi e ricavi, altrimenti è destinata a morire. A volte se le cose vanno bene per un mese, dopo due anni o tre di perdite, sopportate solo perché lo stabilimento fa parte di un gruppo friulano da 150 milioni di fatturato annuo, ecco che vengono subito con il palmo della mano aperto a battere cassa.

Il loro eloquio è sempre un po’ faticoso, talora reso enfatico da un modo di parlare echeggiante il discorso “alto” della gente che ritengono “importante”. Ossequiosi e proni, maldicenti e gelosi, se non a volte invidiosi, sono italiani.

Da noi al Nord, invece, specie verso Est, impera una sorta di mutismo, siamo mutoli quasi come i primitivi bestioni, ancora, in parte. Ecco, da un massimo di parole dette fino alla chiacchiera tanto aborrita da Heidegger, al Sud, all’immusonimento sospettoso, al Nord. Siamo ancora -come umani- nei primi tempi evolutivi: solo quarantamila anni fa su forse 3 o 4 milioni di anni di ominizzazione, abbiamo cominciato a emettere suoni che avevano significati condivisi. Un soffio di tempo è passato e quindi si può dire che tutto ciò è plausibile, ma a volte si fa fatica ad accettarlo.

Epperò, forse, non siamo tutti allo stesso punto evolutivo, la natura non fa salti si diceva un tempo, o forse qualche volta sì, a suo piacimento, ché a volte sembra veramente di coglierli, in certi incontri, incroci o situazioni esistenziali, che ci fanno quasi inghiottire, bofonchiando, amarezze ancestrali.

Speriamo di evolvere verso un’umanità più completa. Buona notte, caro lettore.

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