Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

L’amarillide di mamma Gigia

Mi sono documentato, dopo che Silverio da Rivignano, sempre più simpatico man mano che passa il tempo, mi ha detto che li aveva coltivati mia madre, e lui li ha tramandati nel tempo, per diciassette anni. Foto della finestra di mia sorella Marina.

Eccoli qui:

“famiglia: Amaryllidacee, genere: Amaryllis, nome comune: Amarilli, Narciso d’estate, Femmina nuda, tipologia: Perenni, Bulbose, propagazione: divisione dei bulbi, seme, etimologia: il nome del genere dal greco “amarýsso” = io risplendo; il nome della specie “belladonna” è in riferimento all’uso cosmetico della pianta che veniva impiegata dalle cortigiane di Venezia come collirio, per provocare la dilatazione della pupilla. Il genere Amaryllis, nel quale in passato erano classificate anche molte altre piante, come l’Hippeastrum, la Nerine, lo Zephyrantes, la Sternbergia lutea e la Sprekelia formosissima, è da molti considerata oggi un genere monotipico, con la sola specie A. belladonna, con le sue numerose varietà. L’A. belladonna è una pianta bulbosa rustica, originaria del Sudafrica Capo di Buona Speranza). E’ una pianta velenosissima. Presenta un bulbo voluminoso, con forma di pera, a tuniche numerose, le esteriori di colore brunastro, le interiori lanose. Ha foglie nastriformi, grandi, glabre, lunghe 40 cm e larghe circa 3 cm, che si aprono divaricandosi a poco a poco dai due lati. Lo stelo fiorifero è nudo, robusto, pieno, alto fino a 80-100 cm e porta da 6 a 10 fiori, simili a quelli del Giglio comune rosa.” (dal web)

Sono rimasto senza parole, perché li ricordo, quei gigli, e la cura con cui lei si dedicava ai trapianti nei vasi, e io da maschio non capivo molto, ché i fiori li ho sempre visti al naturale, in campagna, primule, violette, papaveri, e poi le mille specie delle nostre montagne, che non sapevo nominare, non conoscevo, ma ne sentivo gli odori forti e ne godevo, io parte di quella natura.

Amarilli, che meraviglia di nome! Ha la freschezza delle “i” e l’amaritudine della melanconia, a me affine. E così i fiori con quel nome, così resistenti, come la melanconia, o spleen o saudade, come una nostalgia, un dolore per la distanza che ci prende, per qualsiasi distanza, da persone o cose amate, o luoghi.

Amarilli, non sapevo neppure avessero questo nome i gigli colorati di mia madre, l’ho scoperto domenica, in bici corsa defatigante dopo quella del mattino e del sabato più gloriose, e un po’ controvento. E’ un’ulteriore conferma che il senso del tempo è del tutto relato alla vita che viviamo e che gli anni trascorsi sono nulla di fronte alla verità delle cose vissute e ancora viventi. Vissute e viventi, poiché nulla muore del tutto, se è cosa vera, solo se è cosa vera, anzi vive per sempre sotto forme diverse, più arcane, a volte in misteriose connessioni, o lampi di ricordi e reviviscenze, che ci costituiscono. Le amarilli di Gigia mi ricordano il presente che scorre, tale perché memore e presago: memore di ciò che lo costituisce come precedenza e presago di ciò che sta preparando, come i bulbi sotterrati delle amarilli.

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