Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

non corsa, ma viaggio

Oramai primavera è nell’aria. Compleanno della nonna Catine, la mamma di Gigia, mia madre, andata via a ottantacinque anni nell”80. Da un angolo della finestra le verdargentee foglie dell’ulivo vibrano quasi, al soffio di un lieve vento dell’est. Ancora una volta la stagione si rinnova, e tornano gli odori della terra smossa, dell’erba bagnata da un piovasco, e i voli di uccelli mattutini. Tra poco sarò per strada in compagnia del fruscio noto delle ruote e dell’ingranaggio cambio-pedaliera.

Vento contrario mi avversa da est, come parvenza di burian, ma si va. Non posso (non voglio) girare la prora verso orizzonti a favore di vento.

Prefiero continuar sulla strada senza forzare, incline al viaggio più che alla corsa. La corsa è un anelito alla meta, è una gara, un agone nel quale si dispongono le forze, anche fino a morirne: infatti agone e agonia hanno la stessa radice. No. Mi dispongo al viaggio, che è un andare, anche senza la meta da raggiungere, ché conta il percorso, la perduranza della strada, gli orizzonti diversi dietro a ogni curva.

Il viaggio copre la distanza, anche se il punto di partenza rispetto a quello estremo, grazie alla rotazione della terra, specie se indirizzi la prora verso est, ti ritrovi più a ovest, ché la terra ruota su se stessa  a quasi duemila chilometri all’ora. Tu vai a trenta verso est e ti ritrovi dopo un’ora a millenovecento chilometri a ovest. Per questo non comprendo l’ansia di molti per viaggi esotici, da raccontare nei pranzi, agli “amici”, sperando nell’invidia malcelata di questi. Ah Signor,  come nonmenefreganulla!

Io viaggio con le sole mie forze, senza voler vincere alcuna battaglia, solo quella con la brezza di primavera che mi coglie improvvisa di lato o davanti, come un muro di solido vento. Caro amico che leggi, non ti conosco, ma condivido con te la fermata, il silenzio, il pensiero sul tempo che passa, sul transito delle nostre vite, e questo ci accomuna, umani entrambi, allegri e tristi, stanchi e pieni di forza, caro amico che leggi.

E ancora: la vita non corre in discesa, come la strada prescelta questa mattina di foglie vibranti, di acque, di pezzi di cielo tra nubi più alte e bianche. La vita continua a salire, impercettibile, come il sentiero sul crinale del monte, come il cammino della serpe su un sasso, come il volo dell’aquila beata sulla cresta di confine.

E ringrazio ancora chi mi ha predisposto al viaggio, con la forza nelle mie caviglie magre e nei glutei che tengono insieme la gamba e il suo ritmo. Cedevole alla vita e duro nel vivere, così come si deve.

Il mio sentiero è di sassi e asfalto, di ansie e silenzi, ma è giusto e vero, e quindi è bello e anche buono, nonostante il dolore e la distanza, nonostante. Cioè anche se nulla osta, o qualcosa osta.

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