Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Deus Deus meus

giovanni gabrieliSalmo 62 (3): Deus, Deus meus, ad te de/ luce vigilo./ Sitivit in te anima mea, quam/ multipliciter tibi caro mea./ In terra deserta et invia et/ inaquosa:/ sic in sancto apparui tibi, / ut viderem virtutem tuam et/ gloriam tuam./ Quoniam melior est misericordia tua/ super vitas:/ labia me laudabunt te./ Sic benedicam te in vita mea:/ et in nomine tuo levabo manus meas. 

L’invocazione a Dio (Deus in latino, caro Mancuso, tu che lo vuoi abolire, “Deus”) è struggente: l’uomo ha bisogno di Dio, con tutto se stesso, specie quando si trova nelle ambasce e nei pericoli della vita; è allora che  di più necessita della divina virtù e della gloria ineffabile… e della misericordia. Lode e benedizioni a Dio (Deus) da parte dell’uomo che umilmente si accetta nel suo limite. Ho preferito parafrasare il testo latino, invece che tradurlo, per rendere il senso, per quanto mi è stato possibile, secondo il sentire contemporaneo.

Ancora una volta, l’ennesima e in futuro quante Dio vorrà, ho ascoltato Giovanni Gabrieli veneziano (di padre carnico), che ha messo in musica l’antichissimo testo, attribuito al re Davide, ma forse di derivazione egizia. Un inno di invocazione al dio-unico Aton-Ra, e poi a Yahwe, e poi a Deus, a Dio, caro Mancuso, che è sempre quello, cui noi piccolissimi umani diamo titoli, ma sarebbe bene tacessimo, invece di scrivere tomi su tomi per vivisezionarlo. Illusi.

Con i Gregg Smith Singers e The Texas Boys Choir, diretti da George Bragg. Vinili comprati negli anni ’70, quando i nati nei ’60 erano bambini.

Registrazioni veneziane in San Marco, il luogo per il quale quelle musiche ineffabili sono state scritte dal grandissimo Giovanni. Le voci cantano in latino, intrecciandosi e movendosi sotto le volte arcane di mosaici antichi. E cantano “Deus Deus meus“, Dio Dio mio, con un atto di fede che la musica espande fino al cielo, come insegnava sant’Agostino.

Solo e disteso in sul divan di casa, socchiudo gli occhi e lo spirito si espande. Allora comprendo come sia la nostra vita (in vita mea, canta Davide re) cagionevole ed esposta, cosicché il canto disteso dei cori, il salmodiare arcaico dell’invocazione mi prepara lentamente, mi apre la mente, mi irrora i sensi interni di luce e di frescura.

La musica e il testo si commettono come un intarsio indicibile, nei ritmi che cambiano, nell’allungamento delle vocali che si rincorrono di voce in voce, sotto le volte arcane di San Marco. E il tempo del canto si rinnova ogni volta, anche se fuori il controcanto è dei temporali di questa strana tarda primavera. Un cielo cangiante tra azzurrità e cupi cumulo-nembi, da cui immagino possa apparire al suono delle trombe angeliche il Figlio dell’Uomo, mentre la nostra povera invocazione “Deus Deus meus”, sale nell’empireo, oltre il tempo-spazio che ci affanniamo a studiare, nell’eterno nunc (qui e ora) di ciascuna vita.

Deus Deus meus, è un segreto che ho confidato a chi lascerò a questo mondo, non sola, sole, soli.

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