Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Tin Piernu, o delle Valli favolose

thTin Piernu da Tercimonte-Tarčmun (1922-1990), alle pendici del Matajur, Benecia, era Valentino Trinco, pronipote di mons. Ivan Trjnko, cultore insigne delle culture locali. Lo trovo in un libro meraviglioso, qui su nelle valli, in cerca di filosofie comuni e solitudini, nei limes estremi, là dove il cielo non ha confini. Adonde el cielo no tiene frontera.

Fotografo, falegname, muratore, elettricista, pittore, intagliatore, Tin Piernu. Uomo elegante, bello, olivastro, probabilmente di cromosomi turco-bosniaci, ché a fine ‘400 questi entrarono per il Passo Solarie e dilagarono per la pianura furlana. Fotografo delle genti slave delle Valli remote, volti rimasti nell’attimo eterno dello scatto e incisi sulla carta dai sali d’argento. Un libro memorabile edito dallo Študijski Center Nediža, il Centro Studi Natisone.

Luca Laureati ha curato la parte fotografica, Michela Predan, Roberto Del Grande, Alvaro Petricig e Andrea Schincariol hanno curato i testi. I racconti che accompagnano la raccolta sono di Pierina “Perina” Crucil Valentova, Maria Iellina Lieščakova, Gino Petricig Lieščaku, Giuseppe “Bepo” Massera Šturmin, Giuseppina “Bepca” Petricig Stefičjova, Pietro “Perin” Trinco; altre testimonianze sono di Severino Braidotti, Bernarda Gos Tamažova, Irma Martinig Ručkina, Maria Elvira Martinig Pačeikina, Antonia Massera Loškina, Ferruccio Mosena Tituz, Fabio Trinco e Ivo Trinco. Le traduzioni sono di Jadranka Križman.

Il bianco e nero non cede a nessun colore, ché quanto arrivarono i colori Tin Piernu smise di fotografare. Il tempo è fermato negli scatti come un momento eterno, che resta come presente da sempre in mente Dei.

Le Valli vivono nel racconto delle immagini calate nel tempo, nei piccoli paesi dai nomi slavi, Topoluove, Lieska, Srednja, Dolenji Tarbi, Čemur, Hlasta, Clodig, Stara Gora (Castel Monte della Madonna), Polava,Utana, Landar, Ažla, Bijača, Bizonta, Dolenje Bardo, Gorenje Bardo, Bročana, Kal, Čeplešišče, Černeče, Čarnica, Kjabaj, Ščigla, Seuze, Klenje, Klin, Kolieša, Kamunjar, Gorenja Kozca, Dolenja Kozca, Hostne, Kraj, Kras, Kravar, Hrastovije, Domejža, Dorboli, Dolenja Dreka, Arbeč, Gabruca, Gnjidovca, Velik Garmak, Gruobje, Jagnjed, Jelina, Jerebi, Laze, Lombaj, Marsieli, Mašere, Medveži, Dolenja Mersa, Mečana, Matajur, Dubenije, Oblica, Obuorča, Ošnje, Ošjak, Peternel, Platac, Klinci, Petjag, Pocera, Praponca, Pulerji, Ravne, Salamanti, Podutana, Špietar, Štuoblank, Sauodnja, Škrutovo, Seuce (Sv. Lienart), Skubina, Slapovik, Solarje, Sarženta, Podbarnas, Španjud, Špinjon, Tarčet, Trinko, Vodniak, Ušivca, Barnas, Zapotok, Zverinac, … e altre borgate perse nel verde delle faggete.

Case di pietra con i nomi degli avi, per restare, e viaggi a piedi a vendere manufatti di legno, rastrelli, cucchiai, scope, stampe, chincaglierie e oggetti d’uso quotidiano, come i cramârs di Carnia. Erano i guziravci… Fino agli anni ’50.

Le foto. Occhi stupiti di bambini e volti legnosi di vecchi, giovani donne seriose dallo zigomo forte e vecchie incanutite. Prime comunioni di bimbi in abiti rimodellati da cerimonie precedenti di fratelli, giacchette stazzonate, e abitini bianchi, per fanciulle stupite. I volti si susseguono senza indugio, pagina dopo pagina, anziani con baffi e cappello, uomini fatti in doppiopetto di grisaglia delle feste comandate, vecchie col fazzoletto in testa e la bocca coi bordi in giù come ferite non rimarginate, niente gioie nei giorni, orecchie a sventola e tagli approssimativi del capello, miseria nera, occhi sbarrati e sguardi anche furbeschi, sorride la Bepca a 25 anni, è tornata dalla Svizzera e già è sposa, eremiti come Štiefan Rusacu, ragazze col sorriso di speranza, ragazzi straniti e madri senza sguardi sul futuro.

E poi i mulini e le fontane, acque correnti di iridee dissolvenze, nelle terre di cui il Provveditore Veneto della Serenissima, Tommaso Lippomano, scriveva nel 1606 “[…] di sopra la Città [di Cividale] nella Schiavonia sono poste ville numero 37, le quali si trovano libere d’ogni altro aggravio […] perché hanno antico obbligo di custodire in occasioni di peste et di guerra li cinque passi, cioè di Puffaro, et Clabuzzar, di Luico, di Cliniz, et di San Nicolò, luoghi et strade di molta importanza […]. In tutto […] quel territorio sono habitati al numero di 9800. […]”. (M. Pascolini, Università di Udine, Fontane e abbeveratoi delle valli del Judrio e del Natisone, Ed. Unione Emigranti Sloveni del Friuli Venezia Giulia, 2013).

Sconvolge constatare la saggezza della Serenissima Repubblica e la speculare stolida insipienza della politica nostrana degli ultimi cent’anni (?), per nulla migliorata con la Repubblica nata dalla Resistenza. Desolante che non si comprenda come i presidi umani vadano tutelati anche con politiche fiscali di esenzione perfino totale, in certi territori come le Valli favolose.

L’acque mi consolano e mi ricordano da dove veniamo amnioticamente, aminoacidi concretati nell’embrione ancestrale, e mi cullano con lo scorrere della loro perennità.

Sicut Philosophia Perennis, Acquae sunt mihi.

Le foto sono nel mito senza tempo, come il nunc aeternum, momento istante attimo senza misura.

E le foto di Tin Piernu mi convocano a un appello che viene da lontanissimo, da avi sconosciuti di prima delle genealogie a me note, che risalgono al 1500 o giù di lì, dalle mie parti rivignanesi. E’ certo che le mie mani parlano di storie longobarde e l’incarnato di Oriente, passando certamente per le Valli fiabesche che ho vissuto due giorni e rivivrò, a Dio piacendo, quando altri giorni opportuni e il tempo giusto incontrerà il mio procedere nel tempo che viene, da sempre in attesa del passaggio, che è un andare errando o un errare andando. Forse un mattino…

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