Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

El cielo no tiene frontera

el_cieloTorno sui mie passi ancora, del sentiero. Lo percorsi un tempo verso Luico e ora mi piacerebbe andare al monte San Martino e a Polava. In cima al costone orientale vedo Oznebrida, di cui scrissi, del nome musicale, come suono dei boschi profondi circostanti.

Il cippo è a Topolove, a est, nord, ovest, sud, la scritta grida al viandante di infinite strade, senza confini, di itinerari sconosciuti e senza mete, di percorsi d’aquila e pensieri, lenti e rapidi come il taglement quantistico.

La stagione dormiente accoglie i sensi e li ristora, rari uccelli, una foschia avvolge il mondo del suo velo. Come per incantamento il tempo è fermo, mentre le storie si raccontano, e di aviti luoghi narrano, e di volti cari mai perduti.

E ora mi avvolge la musica dei giorni e i volti conosciuti dell’eterno femminino e dell’eterno, movimento del tempo e delle sfere, matematica dei mondi, scorci di mistero, un vedere-non vedere la luce che attende, pianeti gemelli azzurri nell’infinito dello spazio-tempo.

E cammino cammino per il sentiero frusciante, mentre tutt’intorno silenti pini neri guatano e passi furtivi sento, stelle cadenti oltre la collina iscurita dal crepuscolo, e vo avanti ancora aspettando lo scroscio della lontana Acqua Scura, la Crna Voda, e lo sguardo infinito della krivapeta delle valli, bellissima.

E torno e cammino da sempre ai confini del tempo e delle lingue antiche, ascoltate fin da piccolo, della piccola Europa, figlia di genti venute dall’Indostan e dalla taigà siberiana, dove il vento e la tigre sono spirito e tuono, o anima e respiro.

Sono lì e non sono, per sempre in attesa del mio ritorno, destinato ad aspettare le campane di San Martino, nunzianti l’Ave Maria della sera.

Sono e sarò come viandante a guatare il volo dell’aquila, che amo fin dai confini della mia coscienza, luce che si accende e vola via, pioggia che calma viene a bagnare i volti, saette del temporale, e vento ruggente tra i declivi.

Vedo me bimbo per mano e altri bimbi che lavorano con i grandi nei boschi di ripa, volti indistinti e odori di vecchie canzoni, musica di parole e richiami secchi e lontani. Non posso sapere se è sogno o sonno, se è passato o deve ancora venire, caro lettore, dal viso sconosciuto e amabile.

Nenie dolcemente incomprensibili mi cullano, ancora bambino, o sempre. Vie oscure e ombrose mi attendono e slarghi, radure piene di sole, alberi in fuga nella corsa, mentre attendo anch’io come una parola che resta, come un pianoforte nella notte.

Attendo quello che deve arrivare e anche quello che non arriverà mai, filo d’erba nella bufera. Cicatrice e strada senza fine.

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