Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Il diritto di sciopero e l’insensatezza

assembleaCaro lettore,

non vi è dubbio che il diritto di sciopero, un diritto sociale fondamentale, sia stato frutto di una faticosa e a volte dolorosa conquista dei lavoratori. Fino a un secolo fa in quasi tutte le nazioni non era riconosciuto e il suo esercizio un reato. Nei regimi autoritari è ancora proibito.

Per i servizi pubblici è regolamentato in Italia da una legge (n. 146/1990) da un quarto di secolo. Sanità, scuola, trasporti sono settori nei quali si è cercato di contemperare il diritto di sciopero con quello, ontologicamente, eticamente e giuridicamente prevalente, degli utenti, dei cittadini.

Altrettanto un diritto sociale e sindacale è quello di assemblea.

Le recenti riunioni sindacali, che hanno interrotto il servizio a Pompei e al Colosseo hanno posto un tema e un problema. Se lo sciopero e l’assemblea sono un diritto, come si può conciliare con le esigenze prioritarie degli utenti, che in questo caso sono turisti provenienti da tutto il mondo?

Il diritto di sciopero è disciplinato -in generale- dall’art. 40 della Costituzione, con la dizione seguente: …esso «si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano».

La legge n. 146 del 12 giugno 1990 regolamenta l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, cioè, in base all’articolo 1, comma 1, «quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione», definendo modalità e i tempi del suo esercizio, ed eventuali sanzioni in caso di violazione, compresa la precettazione da parte delle autorità preposte ai vari settori di servizio tutelati, perché essenziali.

Tralasciamo qui il tema dei picchetti, da svolgere senza impedire fisicamente l’entrata di coloro che non intendono aderire allo sciopero, e quello della sostituzione dei lavoratori scioperanti, trattato come eventuale controversia dall’art. 28 della L. 300 del 20 maggio 1970 (lo Statuto dei diritti dei lavoratori), rubricato «repressione della condotta antisindacale», ma in generale considerata legittima dalla giurisprudenza, se effettuata con dipendenti della stessa azienda (non assunti ad hoc), (cf. art. 2103 c.c. e sentenza Cassazione 12811 del 3 giugno 2009), e se non adibiti a mansioni inferiori (in base ad altri Decreti legge e norme qui non citati).

Infine, nei servizi pubblici essenziali, allo stato attuale della normativa, il mancato rispetto della precettazione non è ritenuta “giusta causa” di licenziamento.

I fatti del 19 settembre scorso, Colosseo chiuso per assemblea sindacale, per altro annunziata anche in inglese con orari sbagliati, hanno smosso le acque in questo campo.

Turisti infuriati e disinformati hanno innescato una sorta di immediata ri-legificazione in materia di esercizio del  diritto di sciopero.

In realtà, la legge n. 146 del 1990 e successive modificazioni, considera solamente la dimensione dell’integrità e della salvaguardia del patrimonio storico artistico. Il nuovo Decreto del Governo inserisce dunque il concetto di “fruizione dei beni”, alla cui disponibilità si condiziona l’esercizio del  diritto di sciopero, per garantire comunque le “soglie minime di fruizione dei beni artistici e culturali nazionali”. Lo sciopero dovrà essere preannunziato almeno 10 giorni prima e in ogni caso di dovranno attuare “procedure di raffreddamento” del conflitto, tese ad evitare l’astensione dal lavoro, se possibile. Nel caso in cui non lo si riesca ad evitare si dovranno precisarne la durata e le modalità, rispettando assolutamente alcuni periodi dell’anno, considerati “in franchigia”. L’utenza dovrà essere, in ogni caso, accuratamente informata dello sciopero o della eventuale revoca.

Anche le assemblee sindacali (regolamentate dall’art. 20 dello Statuto dei diritti dei lavoratori) saranno regolamentate in base alla legge 146, e “potranno essere valutate alla stregua di forme anomale di sciopero, con le conseguenze, anche di natura sanzionatoria, previste dalla legge. In caso di violazione di queste regole, l’Autorità di garanzia aprirà un procedimento di valutazione che potrà riguardare sia i soggetti collettivi (i sindacati), sia i singoli lavoratori. Se l’Autorità di garanzia valutera’ negativamente il comportamento di tali soggetti, applicherà le relative sanzioni previste dall’art. 4 della legge, che consistono in pene pecuniarie per i soggetti collettivi, da un minimo di 2.500 a un massimo di 100.000 euro, e/o delle scansioni disciplinari per i singoli lavoratori che hanno partecipato allo sciopero valutato illegittimo” (dal web).

Detto questo, direi alla buon’ora! Stona ancora una volta l’inascoltabile Camusso che proclama “Questo (questo? l’Italia forse?) è uno strano paese (e dàie), dove anche le assemblee sindacali non si possono fare”. Benedetta donna, ma sa che cos’è il rapporto tra “bene maggiore” e “bene minore”, non dico nell’etica classica e nel diritto comune, ma nel semplice buon senso della nonna? Mi sa che proprio lei lo ignora bellamente, ottenebrata dall’ideologia dei diritti scevra da corrispondenti doveri, che sempre più stancamente e con voce arrochita dal fumo, spero ancora per poco, sostiene pubblicamente.

Che ai lavoratori del settore dei beni culturali debbano essere regolarmente corrisposti stipendi e straordinari è pacifico, ma altrettanto è doveroso che il loro numero sia congruo al sito, non proporzionato -assai spesso- alle clientele locali, purtroppo anche sindacali. Se servono dieci custodi siano dieci e non due, e viceversa, mehercules!

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