Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

la nuova vita

sullo StellaIn certe culture, come in quella ebraica, il nome dato alle persone è “la persona stessa”, come se quel segno, quel suono assumessero un significato ontologico coincidente con quel “chi” porta quel nome.

Iersera, appena tornato dall’ospedale ricevo la gradita visita del mio medico dottor Gianni, facondo narratore e ascoltatore d’eccezione.

Parliamo di nomi e lui mi racconta delle difficoltà incontrate da suo padre per registrarlo in Comune, una specie di discussione allo Stato civile circa la congruità del nome proposto, che poi sarebbe diventato il secondo nome. Poi passiamo alla mia storia onomastica, meritevole di attenzione. Allora, racconto, in vista della mia nascita, Pietro e Luigia si erano accordati di chiamare con i nomi congiunti delle nonne se fosse nata una bambina (e questo accadde due anni dopo, con mia sorella Maria Caterina), e se fosse nato un maschio, Marco, perché era breve e suonava bene con il cognome.

Nasco io, in casa, come era d’suo allora, lungo e robusto (52cm * 3,6 kg), e mio padre si avvia in bicicletta verso il Municipio per adempiere ai suoi doveri civili. Giunto davanti all’Ufficiale di Stato Civile, questi si complimenta con lui dicendo: “alore Pieri, a ti è nât un biel frutin, cumpliments” “grazie, grazie” si schermisce mio padre, e aggiunge  “e ancje la Gjigie a sta ben“. “Ce mut vino di clama il frutin alore, Pieri?” “Bon, lu clamin Renato“, “Va ben Pieri, alore firme chi“.

Tornato a casa mio padre viene interpellato dalla mamma, e  allora le dice di aver cambiato idea per strada, volendo ricordare un suo fratellino morto a sei anni per una caduta dalle scale. Gjgie, come era abituata a fare, non polemizza dicendo solo “Va ben, Pieri, il frut a si clame Renato“.

E Renato son stato fino ad ora e fino in fondo. Al classico mi son poi accorto che il mio nome era parte participiale passata di un verbo deponente (renascor, eris, renatus sum, renasci, cioè rinascere). Io dunque sono il “rinato”, colui che nasce una seconda volta. Più avanti, studiando teologia e storia del Cristianesimo antico, “scopro” che il mio nome veniva dato a ogni catecumeno/ a che si battezzasse, che lo portava per un periodo accanto al suo proprio (es. Caius Rinatus), a significare la rinascita spirituale che avveniva con il Battesimo in Cristo. Fino ai tempi di Agostino (IV/V sec.) più o meno, venivano battezzati solo gli adulti, perché i bimbi non potevano avere la consapevolezza del sacramento dell’iniziazione cristiana, e fu proprio Agostino a proporre di cominciare a battezzare i bimbi, perché la Grazia divina fosse infusa in loro fin dai primi giorni di vita.

Mentre leggo Il Grande discorso catechetico di Gregorio di Nissa, rifletto che nel tempo il mio nome, determinato da mio padre all’ultimo momento, è stato una rappresentazione fedele di tutto il mio itinerario, sinusoidale per molti aspetti: caduto e rialzatomi più volte, anche in quest’ultimo caso, da completare, perché cammino con le grucce dei paralitici che invocano Gesù, il mio nome mi ha accompagnato e mi accompagna come una sinecura davanti allo Spirito che tutto conosce, e anche quel lontano giorno di febbraio era vicino a mio padre.

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