Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Ho visto Dio di spalle, ma non aveva tempo per me

esodiNel racconto biblico di Esodo (3,6) vi è un passaggio in cui Mosè intravede Dio, ma non faccia a faccia, temendo di morire, e perciò si nasconde il viso con il mantello. La chiamata da parte del Signore si completa con la dichiarazione del Nome stesso di Dio (3,14) “Io-sono-colui-che-sono, …dì agli Israeliti che Io-sono ti ha ordinato…”.

Mi è stato raccontato un episodio di questo genere: “Ero lì tra il sonno e la veglia, sedato, in terapia intensiva, e mi è parso di vedere qualcosa o qualcuno che si muoveva nella penombra… e non capivo, poi in qualche medo mi è sembrato che quella figura fosse Dio stesso”. Quasi allibisco, perché il narratore, mio amico, è agnostico.

Vedere Dio e rimanere in vita non è possibile, perché Dio è inaccessibile ai nostri limitati sensi esterni, e anche a quelli interni, a meno che, facendo il vuoto dentro la nostra anima, operando la spoliazione di ogni desiderio, la smemoratezza di ogni pulsione, la dimenticanza del nostro stesso io, non riusciamo a percepire nel silenzio spirituale una sorta di pienezza inspiegabile, non di felicità, ma di gioia tenerissima e ardita.

Non so se lì, come spiega il Maestro Johannes Eckhart, si possa dire che indugia per qualche istante eterno Dio stesso, ma non saprei come provare a dire meglio. Forse la situazione descritta da F. è qualcosa che assomiglia allo svuotamento della meditazione profonda, che diventa contemplazione dell’indicibile, di ciò che non ha nome, se non lo stesso dell’ESSERE. IO SONO, dice a Mosè dal roveto ardente, “io sono” può dire a ciascuno di noi se ci mettiamo in ascolto.

La voce interiore non ha parole, ha solo un calore ineffabile, avvolgente, e qualche volta, rarissima, forse l’ho provato anch’io, ma solo quando sono riuscito a staccarmi dall’ansia di esser-ci (Heidegger), dalla pre-occupazione, e mi sono rivolto all’occupazione spirituale della consapevolezza, del limite, assaporando il bene semplice dell’amicizia, del fare il bene solo per il bene medesimo, dell’ascolto senza premura di ogni patema, di ogni inezia magari importante per un altro-come-me.

Allora una specie di luminoso sentimento mi ha accompagnato, se pure per brevi istanti: forse è proprio ciò che, di Dio immenso, solamente possiamo cogliere in questo stare terreno, in questo cammino infinito verso la verità.

 

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