Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

la memoria in-condivisa

alla faccia della BoldriniLettor caro della Liberazione (da tutti i mali, specie da quelli dell’idiozia)

25 aprile, ricordo della Liberazione e della guerra civile. Manifestazioni e polemiche, come sempre.

Ma che cosa è stata la Liberazione? Una partecipazione straordinaria di popolo, con esperienze e atti di eroismo quotidiano: “Non cedo e difendo la mia terra”, un barcaiolo delle valli ravennati, il mugugno silenzioso dei partigiani friulani e cuneesi, la Repubblica dell’Ossola, la Libera Repubblica della Carnia; e poi la fine di una tragedia e di una guerra civile, e l’inizio di un periodo difficilissimo per l’Italia. Non occorre ripetere qui che cosa sia stato il fascismo, regime totalitario coinvolgente quasi tutta la popolazione italiana, per amore o per forza, per più di vent’anni, nel tempo dei totalitarismi europei (cf. Hannah Arendt).

Ricordiamo i proclami del feldmaresciallo Kesselring dopo l’8 settembre ’43, con re Vittorio vigliaccamente in fuga da Pescara (lì è definitamente finita la mediocre monarchia sabauda), e la pena di morte per i renitenti alla leva, i disertori e i militari che, senza ordini (di un Badoglio ambiguo e timoroso) stavano facendo la scelta di rinforzare le brigate partigiane. Ricordiamo anche l’idiotissimo proclama del generale inglese Alexander, che invitava all’inizio dell’inverno del ’44 tutti i partigiani a deporre le armi per riprenderle a primavera (!), così nel frattempo sarebbero stati presi e fucilati dai nazifasciti, casa per casa, valle per valle, borgata per borgata. Proclama eminentemente churchilliano. Churchill non amava gli Italiani, preferiva Mussolini, ed è da me cordialmente detestato.

Ricordiamo le stragi di Marzabotto, di Santa Anna di Stazzema e delle Fosse Ardeatine, Ricordiamo anche il bombardamento alleato sul quartiere di San Lorenzo a Roma, che fece tremila morti civili, prodromo di Dresda. Perché anche gli Alleati compirono stragi insensate.

I giovani italiani di allora parteciparono, moltissimi alla Resistenza, e non pochi alla repubblica Sociale Italiana (tra i quali anche Giorgio Albertazzi e Dario Fo), perché vi fu un tremendo conflitto interno, patrio, doloroso e struggente fin nei precordi più fondi della nazione, con delle crudelissime code e vendette anche dopo il 25 aprile 1945.

Non vi è dubbio che la ragione fosse dalla parte di chi si è opposto anche con le armi ai nazisti e ai fascisti, illusi di poter rilanciare da Salò, un’avventura sconfitta da prima. Non vi è dubbio che il fascismo sia stato un regime obiettivamente pericoloso e deleterio, con delle punte criminali (almeno tre simbolicamente rilevanti: l’assassinio di Matteotti nel 1924, le leggi razziali nel 1938, l’alleanza con Hitler l’anno dopo), e che la Repubblica democratica nata da quelle rovine sia, con tutti i suoi difetti, la miglior cosa possibile per gli italiani.

Ho conosciuto molti combattenti di allora: tra essi ricordo il deputato comunista onorevole Mario Lizzero, il leggendario comandante “Andrea” delle Brigate Garibaldi, ma anche don Redento Bello e mons. Aldo Moretti delle Brigate “Osoppo”. Il “comandante Andrea” era venuto a salutarmi io appena eletto segretario provinciale del sindacato: nella sua visione classica di uomo di sinistra veniva a salutare, lui quasi ottantenne, un “capo” della classe operaia appena trentenne. Andammo a bere un bicchiere di vino e stemmo almeno due ore a discorrere di quei tempi, e lui non mancò di parlarmi con dolore della vicenda di Porzus, e di altre cose. Vidi in lui un uomo coraggioso e onesto. Non avrei voluto incontrare “Giacca”, Mario Toffanin, l’assassino del capitano Francesco De Gregori e di Guido Pasolini (e di altre decine di partigiani non disponibili a cedere il Friuli a Tito).

Perché non è possibile, a settant’anni di distanza, una memoria condivisa? Non solo perché molte persone e gruppi non accettano di considerare che anche i nemici di allora potevano avere fatto una scelta ideale, ma anche poiché perfino alte cariche dello stato contribuiscono a questa confusione. Leggo che la presidenta della camera dei deputati Boldrini vorrebbe togliere le scritte fasciste dall’obelisco del Foro Italico, e ovunque, forse ignorando che esse fanno parte della storia italiana, e sono tutelate dalla legge, così come le successive scritte sessantottine. Storia d’Italia, contradditoria, feroce, trasformista, opportunista, italiana!

Magari, se la informiamo che Mussolini nel 1933 istituì l’Inps e l’Inail, si potrebbe affrettare a chiedere l’abolizione dei sistemi pensionistico e antinfortunistico generali. E studiare un po’ prima di parlare? Magari osservando la raccomandazione di Wittgenstein, sempre e ovunque valida: “Di ciò che non si sa si taccia”.

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