Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Pressapochismi e fraintendimenti

sbalorditoCaro lettore,

stamani conversando con un amico, lungo strade immerse nella malinconica foschia, si venne al tema: se l’etimologia conti o meno più dell’onomatopea. Posto che nella nascita e nello sviluppo dei linguaggi, quantomeno quelli di ceppo indoeuropeo, dal farsi, al fenicio, al greco, al latino e via dicendo, senza dubbio l’onomatopea venne ben  prima dell’etimologia, poiché i segni che fissarono suoni con significati condivisi crearono le basi per la successiva complessificazione verbologica e fraseologica, morfologica, semantica e infine retorica, una volta fondatasi una lingua su etimi condivisi, questi cominciarono ad avere ragione di ulteriori aggiunte sonore, anche se le parole continuarono a “nascere” e a vivere nell’uso, e anche a morire per desuetudine.

Un esempio che gli facevo: oramai sembra una battaglia persa darsi da fare affinché il termine “apocalisse” smetta di essere usato, specialmente da operatori dei media superficiali e pigri, come sinonimo di catastrofe (greco, distruzione), ecatombe (strage dei cento buoi), strage, disastro (qualcosa che avviene contro gli astri), perché “apocalisse”, dal verbo greco apokalùo, significa rivelazione. Così infatti la intese Giovanni quando diede quel titolo al suo libro escatologico e ultimo (ultimo anche della Bibbia). Il suo significato è, dunque, al contrario del suo utilizzo, positivo!

E veniamo a un altro caso, questo legato a un libro dell’ottima filosofa Nicla Vassallo (da me spesso lodata in questo sito) appena pubblicato presso Laterza: Il matrimonio omosessuale è contro natura: falso!. Primo problema: si tratta di intendersi sul concetto di natura, e allora non basterebbe lo spazio dell’intero web (faccio per dire). Poniamo pure che riusciamo a concordare su una accezione non rigida di natura, ma plurisenso, e per far ciò basterebbe la nozione tommasiana (cf. il saggio in tema del padre domenicano J. Nicolas) di natura come essenza, principio di moto e crescita, origine di un ente-che-è, complesso delle sue caratteristiche: in tal modo si potrebbe convenire sulla possibilità che la natura umana si declini in etero e omo-sessualità secondo due diverse disposizioni psico-biologiche.

Ciò che invece trovo inaccettabile, e mi meraviglia un po’, è la scelta, oso dire molto “giornalistica”, di usare il termine “matrimonio” per definire l’unione omosessuale. “Matrimonio” è un termine giuridicamente posto nella storia, fin dalle più antiche civiltà, e nel plesso latino, da cui deriva il termine, significa “ufficio della madre” (mater munus, quante volte l’ho scritto su questo sito, ahimè!). Possiamo convenire, dunque, sul fatto che la “natura” umana si possa declinare in più modi, e ci è anche noto come il “matrimonio” sia stato diversamente declinato nelle varie culture come la monogamia, la poligamia, la poliandria, oppure sia stato non previsto, specie in popolazioni isolate e di limitate dimensioni (tribù africane e sudamericane).

Ciò che non si può accettare è che il termine si usi in contesti di coppia dove l’ufficio della madre non c’è, se non proveniente (eventualmente) da precedenti storie feconde. Cosa costa usare termini come “unione”, “patto” et similia, invece di un termine auto-contradditorio? Lo chiedo all’autrice e anche al suo gentile commentatore Roberto Casati.

Se non vigiliamo sui significati delle parole che usiamo diamo inizio a un tourbillon semantico e cognitivo che non porta da nessuna parte, se non nel territorio dei danni intellettuali e morali.

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