Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

temperamento, carattere, personalità e comportamento

paperinoI pensatori antichi rappresentavano il carattere umano come un insieme di forze spirituali che dovevano essere governate dalla ragione. Platone proponeva l’immagine del cocchio trainato da due cavalli, uno di impeto e l’altro di desiderio (ira e concupiscenza), ma guidato dalla ragione stessa. La psicologia aristotelica immagina una suddivisione più raffinata tra le varie energie che muovono l’essere umano, e così anche Agostino e Tommaso.

Dopo la rivoluzione filosofica e scientifica dei XVI/XVII secoli, il tema passò di mano dai filosofi ai medici, che recuperarono alcune ipotesi ippocratee proponendo la dottrina dei quattro temperamenti: 1) il sanguigno, caratterizzato da affabilità, simpatia, spontaneità e ottimismo, da intelligenza viva anche se un po’ superficiale; 2) il nervoso, connotato da profondità intellettuale, amante della solitudine e della riflessione, ricco interiormente, ma a rischio di tendere alla melanconia o addirittura alla tristezza; 3) il  collerico è appassionato e di forti sentimenti e dedizione, progetta e realizza quanto più gli è possibile, poco capace, però, di accettare i limiti altrui e talora violento e spietato; 4) infine, abbiamo il flemmatico, che si pone come un riflessivo paziente, capace di operare nel tempo con costanza fino ad ottenere dei risultati encomiabili, ma necessita, per contro, di essere stimolato spesso.

Il padre Antonio Royo Marin così li esemplifica riconoscendo: tra i sanguigni, San Pietro, Sant’Agostino, Santa Teresa d’Avila; tra i nervosi, San Giovanni Apostolo, San Bernardo di Chiaravalle, San Luigi Gonzaga, Santa Teresa di Lisieux, Pascal; tra i collerici, senz’altro San Paolo, San Girolamo, Sant’Ignazio di Lojola e San Francesco di Sales; tra i flemmatici San Tommaso d’Aquino (cf. in Teologia della perfezione cristiana, IV edizione, Ed. Paoline,Cinisello Balsamo 1987).

Nella modernità, sappiamo che il termine carattere si usa, sia per dare una cornice psicologica descrittiva all’insieme dei comportamenti e delle loro motivazioni , sia per delineare i tratti di personalità che caratterizzano ciascuno di noi come individuo unico e diverso da ogni altro, irriducibilmente.

Riporto di seguito una definizione:

« Complesso unitario e organizzato di forme di vita psichica, che dà un’impronta particolare al comportamento dell’individuo. Come tale il carattere è una struttura risultante da una costante interazione tra individuo e ambiente, ed è l’agente responsabile del fatto che la vita di un uomo ci appare naturalmente un’unità psicologica e non una mera sequenza di fatti »
(Fabio Metelli, Introduzione alla caratterologia moderna. Padova, Editrice Libraria Siciliana, 1951, p. 11)

 

e un’altra:

« Configurazione relativamente permanente di un individuo a cui ricondurre gli aspetti abituali e tipici del suo comportamento che appaiono tra loro integrati sia nel senso intrapsichico che in quello interpersonale »
(Umberto Galimberti, Carattere, in Psicologia. Milano, Garzanti, 1999, p. 170)

 

Vi sono oggi studiosi che preferiscono parlare di personalità, più che di carattere, per evitare eviterebbe valutazioni di ordine assiologico.

Il nostro Galimberti, infatti, afferma:

« Nella storia della psicologia il termine “carattere” […] è stato preceduto dai termini temperamento e costituzione, dove sottesa era l’ipotesi di una dipendenza fisiologica dell’indole dai tratti somato-costituzionali. […] Oggi al termine carattere si preferisce il termine personalità di volta in volta definito in base ai criteri adottati e perciò descrivibile in modo oggettivo »
(U. Galimberti, cit., p.170)

 

Un altro studioso, Enrico Cattonaro, non la pensa così:

« Abitualmente con il termine personalità ci si riferisce all’intera organizzazione mentale dell’essere umano in ciascuno stadio del suo sviluppo, mentre con il termine carattere si sottolinea piuttosto l’aspetto oggettivo della personalità, il suo manifestarsi concreto attraverso un tipico comportamento, un costante modo di reagire di fronte all’ambiente, per cui acquista rilievo particolare il lato affettivo e volitivo della personalità stessa. »
(Enrico Cattonaro,Enciclopedia filosofica vol.3. Milano, Bompiani, 2006, p. 1636)

 

Altri studiosi contemporanei, a partire da Wilhelm Dilthey, si sono cimentati con il tema, come Vittorio Benussi e Eduard Spranger, il quale propose una sua classificazione dei caratteri, base per i successivi studi dell’americano Gordon W. Allport.
Walter Ehrenstein propose una interessante suddivisione dei caratteri in tre tipi: a) globali, cioè sintetici, b) analitici e, c) misti.
Ognuna di queste categorie ha punti di forza e punti deboli, come tutte le classificazioni.
Ludwig Klages si dedicò a distinguere i caratteri tra due gruppi, il primo degli “istintivi”, e il secondo dei “razionali”, mentre Jung, nella sua ricchissima elaborazione preferì un altro tipo di dualismo, quello tra “introversi” e “estroversi” (significati noti a tutti), non trascurando una terza ipotesi, quella degli “amboversi”.

 

Ernst Kretschmer non trascurò riferimenti (di retaggio positivistico) alla costituzione corporea, distinguendo i caratteri in questo modo: a) ciclotimico, cioè euforico-depressivo (solitamente di costituzione picnica); b) schizotimico, rigido con tendenze autistiche (solitamente di costituzione leptosomica); c) atletico, calmo, tenace, ma anche emotivamente esplosivo (ovviamente di costituzione atletica).

Altri autori da ricordare sono: Philipp Lersch: per lui il carattere  il sostrato dinamico delle disposizioni naturali individuali.

Albert  Burloud ritenne che il carattere sia l’aspetto singolare della personalità individuale.

René Le Senne preferì distinguere tra carattere e personalità, dando al primo termine un significato di permanenza quasi congenita, e al secondo una dinamicità operante nel corso della vita: in altre parole la personalità si costruisce nel tempo sulle basi del carattere.

In questa rassegna asistematica, mi limito a ricordare ancora studiosi e ricercatori importantissimi, a cavallo tra filosofia e psicologia, come: Emanuel Mounier, Solomon Eliot Asch, Karl Jaspers, Sigmund Freud, Melanie Klein,  Alfred Adler, Wilhelm Reich e Ludwig Binswanger.

A tutto quanto sopra scritto, bisognerebbe aggiungere almeno un sintetico elenco di ipotesi neuro-scientifiche, che in questi ultimi decenni sono state formulate, spostando  spesso l’asse analitico da un piano essenzialmente filosofico-psicologico a un piano più biologistico e genetico. Vi sono dottrine che ritengono addirittura essere fortemente limitata la libertà deliberativa del soggetto umano, al punto da mettere in questione l’intera tematica del libero arbitrio e della responsabilità individuale. In altri momenti e luoghi ne ho parlato e ne tengo conto.

Che dire ancora: che il tema resta aperto da quasi tre millenni, e che chiunque abbia a che fare, per ragioni affettive, familiari, lavorative e, comunque, relazionali, deve tenere conto che ognuno di noi, al di là di ogni possibile classificazione, è e resta unico, irripetibile e irriducibilmente individuo.

Non aspettiamoci mai, perciò, che il nostro “altro” sia riconoscibile dal suo incasellamento caratteriale nell’una o nell’altra “scuola di pensiero”, perché il suo comportamento, in qualche modo e prima o poi, deborderà sempre da ogni categorizzazione, e richiederà ogni volta il nostro sforzo interpretativo, meglio se aiutato da una certa empatia, da un senso creaturale del limite e del proprio destino, di cui si è co-autori.

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