Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

il tempo e il racconto

paul ricoeurCaro e paziente lettore,

ti propongo un testo non facilissimo, ma a cui sono affezionato, come punto di passaggio essenziale di un mio prossimo libro, a mo’ di  cordiale anticipazione…

“Accanto alla metafora e al simbolo Ricoeur pone la questione del tempo,[1] e la considera partendo dalla lunga pista proveniente da Aristotele e Agostino, e finanche a Newton, Kant [che lo categorizza], Heidegger [che lo pone come sostrato del Sein] e Husserl. Il nostro propone il tessuto costituito da una trama sul tempo fisico-cronologico, il κρόνος, da esplorare e conoscere, e un ordito sviluppato in base al καιρός, cioè al tempo opportuno, il tempo interiore. Il tempo si fa senso quando si riconfigura nell’esperienza dell’uomo, e da assoluto come punto di vista dell’orologio segnatempo, o relativo allo spazio [come punto di vista diremmo einsteiniano], si fa luogo ed esperienza.

«La posta in gioco ultima e dell’identità strutturale della funzione narrativa e dell’esigenza di verità di ogni opera narrativa, sta nella natura temporale dell’esperienza umana. Il mondo dispiegato da qualsiasi lavoro narrativo è sempre un mondo temporale. […] Il tempo diviene tempo umano nella misura in cui è articolato in modo narrativo; per contro il racconto è significativo nella misura in cui disegna i tratti dell’esperienza temporale».[2]  

Il tempo del racconto si relaziona al tempo del lettore, così come la spiegazione sta alla comprensione, e lo fa in tre passaggi mimetici, di imitazione: a) mimesi come precomprensione dell’azione, che ha già una struttura linguistica; b) mimesi come capacità dell’opera narrativa di dare forma[3] alle azioni umane; c) mimesi come capacità di riconfigurare l’azione stessa dell’uomo tesa al suo proprio fine. Il filosofo ritiene possibile una innovazione capace di creare nel tempo nuove entità del discorso, in grado di produrre un senso nuovo mediante la metafora e la polisemia della parola che costituisce il racconto.

La teoria di Ricoeur è attenta alla lezione aristotelica e alla retorica classica, attraversando la semiotica e la semantica moderne, e alla fine giunge all’ermeneutica, come teoria filosofica atta a individuare nel senso il luogo nel quale la metafora vive e vivifica il discorso, arricchendo infinitamente la denominazione implicita nell’accezione corrente del lemma. La metafora manifesta nel linguaggio la sua più propria dimensione creativa e veritativa, mediante la quale gli uomini possono constatare le infinite possibilità performative del linguaggio nel rapporto con la realtà, nel tempo.

La parola diventa così un elemento costitutivo del discorso, soprattutto come dimensione dove la metafora prende forma per poi svilupparsi e completarsi nella narrazione. La metafora è scintilla di senso, giammai mero ornamento stilistico: è piccolo poema, è un evento del testo e del discorso, e infine del racconto. La sua potenzialità è enorme, perché consente di riconfigurare la realtà stessa, scoprendone ulteriori dimensioni ontologiche che altrimenti resterebbero inaccessibili all’umana esperienza: l’immaginazione trasforma la visione del mondo, produce nuove aree concettuali, in cui un senso nuovo è dato, proponendo nuove comprensioni dell’esistenza.

La “verità metaforica”, mentre attenua o addirittura sospende la “referenza” ordinaria del significante, attivando quella “altra”, inventa una sorta di riscrittura della realtà, e addirittura dell’essere-al-mondo di ciascuno di noi. Il nostro essere-nuovo è non più solo un essere-dato ma un poter-essere: per Ricoeur vi è una relazione stretta, necessaria fra temporalità, storia e funzione narrativa del racconto, tramite la “via lunga” dell’ermeneutica.

Il tempo è il tema filosofico che regola il racconto dell’uomo dall’inizio, sia come configurazione delle sue azioni, sia quasi come rifìgurazione, ricostruzione e perfino trasformazione dell’esperienza viva nel tempo mediante il racconto. Egli si confronta, così, con tutti gli autori che hanno concentrato la loro attenzione sul tempo, come dimensione essenziale ed esistenziale, e sul rapporto tra la sua dimensione fisica e la sua dimensione interiore, soggettiva, performativa. Mentre nel racconto il tempo viene organizzato, l’esperienza del tempo vissuto dà significatività al racconto, che diventa una sorta di rifigurazione, nell’esperienza del lettore: il tempo è sempre il referente del racconto, mentre il racconto articola il tempo come forma dell’esperienza umana.

Vi è una relazione tra la configurazione all’interno del testo del racconto, e la rifigurazione del mondo reale del lettore, fuori dal testo del racconto. L’ermeneutica deve qui indagare tutto ciò che nel racconto è presentazione di una storia, distinta e distante dall’esperienza quotidiana, ma senza un distacco radicale e definitivo da essa.

L’ermeneutica, tra racconto e temporalità, svolge una “mimesi” intesa in senso dinamico come un processo attivo di imitazione e rappresentazione dell’azione. Imitazione creatrice nel triplice senso: come precomprensione dell’azione, in quanto l’azione umana è già strutturata linguisticamente; come capacità dell’opera narrativa di configurare, di dare forma al mondo delle azioni umane; infine, come capacità dei testi narrativi di alimentare una nuova prassi capace di ri-figurare l’azione. Dunque la mimesi è una sorta di imitazione creatrice e non una copia di ciò che le preesiste, perché il racconto è il modo umano di vivere nel mondo, rappresenta la nostra conoscenza pratica e intelligibile del mondo.

La forma del racconto è una forma di conoscenza più intuitiva e immaginativa della conoscenza logico-argomentativa e matematica, è una conoscenza legata al tempo: il racconto infatti dà forma alla successione informe e silenziosa degli eventi; mette in relazione esordi e conclusioni. Il racconto, partendo dal tempo crea in qualche modo il tempo stesso. Nell’esistenza il tempo è narrato dal linguaggio presente nel racconto, cosicché l’autore e il lettore si avvicinano al mondo raccontando e leggendo storie. La mimesi del racconto non è statica o fotografica, ma è una dimensione cognitiva, una esperienza del tempo configurata, sintetizzata: una produzione dinamica di ciò che rappresenta.

La narrazione umanizza il tempo della vita dell’uomo, perché diventa un contesto nel quale plausibilmente questa vita si svolge, ed è anche una speciale conoscenza del mondo dell’uomo e del suo spirito.

 

[1] Cfr. in Ricoeur P., Tempo e racconto, vol. I. Il tempo raccontato, Jaca Book, Milano 1987 – 1999, 95.

[2] Ibidem, 186.

[3] E per forma qui si intende proprio, metafisicamente, come ciò che vitalizza, armonizza e configura, non come ciò che meramente è esteriore a un qualche contenuto o materia, come si intende nella vulgata corrente.

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