Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Orme del Sacro

Rubo il titolo a un bel libro di Umberto Galimberti pubblicato da Feltrinelli nel 2000, una raccolta di saggi sul “sacro”.

“Sacro” significa separato, dal greco ieròs, dal latino “sacer“, recintato, posto attorno allo spazio del “fanum“, il tempio, il quale è opposto al pro-fanum, a ciò che sta fuori dello spazio separato del tempio. Dunque, il sacro si opporrebbe al profano, come nell’accezione contemporanea, ma questo non è un significato completo, perché al “sacro” si oppone anche l'”esecrando”, ciò che è da condannarsi, perché impuro, empio. Mentre il Santo, per la Bibbia è Dio, l‘Aghios o Theòs , il Sanctus Deus, e solo analogicamente è un attributo che si può riferire ad un essere umano, come nella tradizione abramitica, soprattutto cristiana e musulmana. Il “sacrosanto” è un’espressione usuale contemporanea, di rafforzamento concettuale.

Con la questione del “sacro”, allora, l’uomo ha a che fare da millenni: gli antropologi e i sociologi delle religioni ci dicono: da sempre. Infatti il sensus religiosus ha accompagnato l’uomo fin dagli albori delle civiltà, con i miti e i riti della vita e della morte, quelli di “passaggio”, e il rapporto che egli ha cercato di spiegarsi, prima interpellando la natura, le sue potenze, e infine il divino, sia nella fase arcaica antropomorfica, sia successivamente nella fase “spirituale”.

Il sacro quindi è dentro la vita umana, perché ne costituisce una parte ineludibile, costitutiva. Studiosi moderni e contemporanei importanti come Rudolf Otto, nel suo Das Heilige, 1927, Il Sacro, Feltrinelli 1966, Mircea Eliàde, ne Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri 1965, Aldous Huxley, in Le porte della percezione, Mondadori 1964, ma anche scrittori come Carlos Castaneda, con A scuola dallo stregone, il brujo don Juan, indiano yaqui della Sonora (Messico) e Paulo Coehlo, con L’alchimista, e molti altri, hanno dedicato al tema quasi gli sforzi di una vita.

Il sacro è attorno a noi, ovunque, nella natura minerale, nei fiori, negli animali, nella vita e nell’esperienza umane. L’uomo non può sbarazzarsi del sacro come fosse un ingombro, una sovrastruttura, una pesantezza che impedisce di librarsi in alto. Tutt’altro. Su questo Marx ha torto. Il sacro è mysterium tremendum et fascinans (mistero tremendo, che fa tremare, e affascinante) come dice Rudolf  Otto. Il sacro è aggettivo e sostantivo nel contempo. L’esperienza del sacro è esperienza di realtà, che illumina l’opacità del quotidiano. A chi non è mai capitato di sentire come sacra una pietra, una grande montagna come lo Jôf di Montasio (cratofania litica), un’acqua scrosciante, un’aquila in volo, un arcobaleno? Le teofanie (manifestazioni del divino) fanno parte di tutte le tradizioni religiose. Profeti di tutte le fedi, uomini della conoscenza o della medicina, sciamani siberiani e americani, hanno sempre saputo che il sacro è l’essere che si manifesta nella sua perfezione in qualunque grado, cosicché è l’esperienza assoluta.

C’è una metafisica del sacro, dove il sacro stesso è un “trascendentale” dell’ente, cioè si può dire di tutti gli enti/essenti, c’è una fenomenologia del sacro e c’è un rapporto con il sacro, che l’uomo può avere.

L’uomo lo apprende attraverso la coscienza e i suoi stati, i quali negli imprudenti possono essere anche alterati, come con l’uso di droghe (dimetiltriptamina, acido lisergico, cocaina, etc.). L’uomo ne fa esperienza, ne ha consapevolezza.

Il sacro si manifesta, come abbiamo visto, nella materia, ma anche nella vita, e particolarmente con l’ascesi, che è la via maestra per la mistica, e infine, come insegnano in grandi maestri di spirito orientali, dal cristiano ortodosso Gregorio Palamas, ai sufi mesopotamici come Al Gazhali, agli hindu Shankara e Ramanuja, fino alla theosis, la divinizzazione. San Tommaso e santa Teresa d’Avila raccomandavano di percorrere le tre vie spirituali, successivamente: la purgativa, l’illuminativa, la unitiva, per avvicinarsi fino quasi a raggiungere il Sacro Santo che è Dio. Così come anche la poesia, si pensi a L’infinito di Leopardi, o a Meriggiare pallido e assorto di Montale, accompagna a una conoscenza del sacro per connaturalità, che va oltre le conoscenze sensitiva e intellettiva.

Noi esseri umani con il “sacro” possiamo avere un rapporto di disumanizzazione (tramite lo spiritismo, la magia e il satanismo), di umanizzazione (amore alla vita e alla conoscenza), e perfino un percorso di divinizzazione del sacro. Mi pare che la via migliore, la più saggia, sia quella dell’eudemonismo teleologico, cioè di una ricerca della felicità secondo il fine che ognuno ha, come scelta morale, il quale presuppone una sottomissione al Sacro Santo, non una sottomissione del sacro, né un’indifferenza o rimozione del sacro.

Assurdo e stupido è negare o voler prescindere dal sacro (come alcuni fanno) con la dissacrazione, confondendo il sacro stesso con le convenzioni istituzionali, magari nel nome di un rispetto umano fasullo.

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