Villa Ottelio Savorgnan sul fiume Stella ad Ariis di Rivignano

Ricordo un uomo, Alexander Langer

 

Serate a Spello e a Bolzano di metà stagione, quando basta un pullover sopra la maglietta per difendersi a sera dal venticello che sale dalla Val Topina o che scende dall’Adige: si era a convegni sindacali insieme con i colleghi tedeschi e con Pierre Carniti, alla fine degli anni ottanta. Quando si preparava la raccolta di saggi “Le porte del sentire”, un titolo un po’ new age, voci di molti, idee relate e relazionali, fors’anche permeate di utopia, o meglio, di eutopia, ma l’ intenzione era di portare qualche novità nel sindacato. Si trattava di un angolo visuale diverso rispetto alla tradizione della cultura del lavoro, nuovo, alla ricerca di un possibile e ragionevole equilibrio fra produzione e ambiente. Alex Langer era presente con me e altri amici di quel progetto. Molti di noi, in quell’autunno dell’ ’89 fatidico, eravamo reduci dalla Fiera delle Utopie Concrete che si stava tenendo da qualche anno a Città di Castello, all’insegna dei quattro elementi empedoclei, uno per anno, l’acqua, la terra, l’aria e il fuoco. Lì avevamo anche incontrato e parlato con Ivan Illich, quello strano prete austro-croato-apolide che predicava la necessità di de-istituzionalizzare la scuola. Altri tempi, altre persone: forse ancora un poca di nostalgia delle cose migliori del sogno sessantottino. Alex Langer era capace di ascolto come può esserlo un uomo che non ha la preoccupazione di apparire, perché è curioso d’altro, con sé ha già fatto pace, e con gli altri non gareggia. Citius, altius, fortius, diceva, in latino significano più veloce, più alto, più forte, e sono pericolosi: comparativi di maggioranza, che spingono alla gara, alla competizione dell’uno contro l’altro, con tutti di corollari che ciò comporta. La società affluente, della ricerca del successo, dell’essere vincenti a tutti i costi si stava affermando con tutta la sua virulenza, i cui danni stiamo scoprendo ora, a poco a poco. Bisognerebbe piuttosto, sosteneva, vivere lentius, profundius, suavius, cioè più lentamente, più profondamente, più dolcemente. E anche: è necessario darsi il tempo della riflessione, della meditazione, della contemplazione, con questa precisa distinzione semantica che viene da molto lontano nel tempo e dalle dottrine antiche. Lo angosciava il pensiero della guerra, delle guerre che sentiva incombenti e aveva ragione: i Balcani si erano già infuocati e riempiti di morti e di orrore. Condivideva l’idea che i guerrafondai non hanno immaginazione, perché non sanno prefigurarsi quello che succede con una guerra; non hanno cuore, perché trattano gli uomini che combattono come puntini o bandierine sulle carte topografiche delle battaglie; non hanno anima, perché se ne stanno come automi a definire i pro e i contro delle strategie militari senza preoccuparsi di conseguenze che devastano l’umanità.

Era un politico “anomalo”, quasi incomprensibile nel suo ambiente, spesso abitato da persone abili alla finzione, alla premura (non nel senso di cura degli altri), all’utilizzo del prossimo, al pressapochismo razionale ed etico. Nel suo modo viveva solidissimi princìpi senza deroghe, né saltapicchiava di qua e di là alla ricerca di spazi, come fanno molti politici, che vanno e vengono, si distaccano e ritornano, specialmente se subodorano possibilità di rilancio personale. No, era di un’altra pasta, quella di chi non si dispiace di dispiacere, o meglio, non cerca di piacere a tutti i costi al maggior numero possibile di persone ed elettori.

Si potrebbe quasi dire, infine, con le parole di san Paolo (un poco parafrasate) immaginandole pensate da Alexander,: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”. Langer aveva una profonda fede nell’uomo e nelle sue possibilità razionali e affettive.

La sua lezione è ancora buona.

Se n’è andato più di dieci anni fa, d’estate.

 

 

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